Dopo quello che è accaduto domenica al Bentegodi di Verona, parlare subito, con lo scopo di “uscire” prima di altri, sarebbe stato solamente deleterio. È per questo che ci siamo presi qualche giorno per riflettere per bene, perchè in questi casi parlare a mente lucida è la cosa migliore da fare. Ed è cosi che ci siamo accorti di ritrovarci davanti a una pagliacciata di dimensioni gigantesche.

Il pallone calciato in curva
Siamo al minuto cinquantatre della partita tra Hellas Verona e Brescia, quando l’attaccante della squadra ospite, dopo aver sentito dei “buu” a lui indirizzati, ferma l’azione e calcia il pallone verso quello stesso spicchio di curva. L’arbitro interrompe il gioco per ammonire l’attaccante, salvo poi capire il motivo di tale gesto e minacciare la sospensione della partita.
Balotelli decide di lasciare il campo, così avversari e compagni provano a calmarlo e soprattutto rassicurarlo.

La partita andrà avanti, ma nelle ore seguenti si alzerà su di essa – e sulla città di Verona – un polverone mediatico dalle proporzioni gigantesche, con giornali, politici ed emittenti televisive che non faranno altro di parlare dell’accaduto e di gettare fango su tifoseria, squadra e città di Verona.
A fine partita sull’argomento interverrà anche l’allenatore dell’Hellas Ivan Juric, che dirà di non aver sentito nessun coro razzista indirizzato a Balotelli, accusandolo di essersi inventato tutto per avere qualche minuto di notorietà.
Di peggio dirà invece il presidente Setti: “quella dell’Hellas è una curva ironica, non fascista”.
Il primo dunque ha stizzito ogni voce, il secondo le ha confermate. Una vera buffonata.
La verità però è un’altra: questo non è un caso di razzismo, e no, non lo stiamo dicendo per andare controcorrente rispetto a tutti quelli che stanno sostenendo l’opposto da ben due giorni, ma perchè applicare il “politicamente corretto” a un ambiente come la curva di uno stadio è una follia; cosi come è folle pensare di punire ed eliminare cori di discriminazione territoriale.
Attenzione, non vogliamo far passare il messaggio che fare dei “buu” a ogni giocatore di colore sia una cosa sacrosanta. Assolutamente no. Vogliamo invece soffermarci sulla parola “ di colore”, o “negro”, come ha usato in radio il capo ultras dell’Hellas. Su di lui, è inutile soffermarsi: è stato bandito per venti anni da tutte le manifestazioni sportive, ed è giusto che sia cosi. Noi invece, che siamo decisamente più intelligenti, soffermiamoci su questo concetto: è giusto, nel 2020, fare ancora distinzioni di pelle?

Un caso montato ad arte
Fatta questa premessa, possiamo ora parlare del caso vero e proprio: inutile e insensato. Una cosa del genere, in un paese che vorrebbe davvero far sparire i razzisti dalla circolazione, non avrebbe avuto tutta questa visibilità e tutto questo ritorno mediatico. Adesso invece dovremo subirci giornali che non parleranno di altro per almeno dieci giorni, televisioni che inizieranno una campagna diffamatoria contro la città di Verona, e cosa peggiore di tutte, politici che proveranno a sfruttare il “caso Balotelli” per le loro campagne politiche. Proprio come ha già provato a fare il signor Salvini, con la frase “vale più un operaio dell’Ilva che dieci Balotelli”. Un vero e proprio disgusto. In una società sana, tutti si sarebbero accorti che a rivolgere quei ormai famosi “buu” siano state quindici o venti persone e non un intero settore come descritto da molti. Sarebbe bastato prendere quelle persone e allontanarle da tutti gli stadi d’Italia con un daspo, senza infierire contro un’intera città e un’intera curva. Sì, gli ultras dell’Hellas sono da tempo immemore conosciuti come fascisti – se non peggio – ma non possiamo e sopratutto non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio. Altrimenti corriamo il rischio di diventare come loro. Ignoranti e beceri.

I precedenti
Oltretutto, non è la prima volta che accade una cosa simile. In un campo da calcio, anche l’ex giocatore del Messina, Zoro, ebbe nel lontano 2005 la stessa reazione in un caso simile.
Stiamo parlando di ben quattordici anni fa, eppure sembrerebbe non essere cambiato nulla. Il razzismo in Italia è ancora un problema ben ancora e difficile – se non impossibile – da estirpare, ma non per colpa dei soliti ignoranti presenti un po’ ovunque, negli stadi e non; bensì, per via della mentalità che ci siamo costruiti attorno. Quando infatti, dopo il recente derby di Milano, il politico Ignazio La Russa, ha dato del “pisellone” a Romelu Lukaku per la prestazione non eccezionale, nessuno ha alzato un medesimo polverone. Questo perché ad alcuni, non interessa più di tanto la notizia, ma il “chi” ed il “perchè”. E se condannare La Russa sarebbe stato “scomodo”, puntare il dito contro un’intera città è stato invece facile, ma non è cosi che si combatte il razzismo. Perchè le parole di Castellini, il capo ultrà dell’Hellas, non sono altro che le idee di certi personaggi politici, prese e ripetute a pappagallo fino allo sfinimento. O ancora, ci sarebbe da parlare della partita tra Roma e Napoli, sospesa per cinque minuti per via dei cori che i supporters della Roma stavano intonando contro i tifosi del Napoli.
La solita discriminazione territoriale, ci verrebbe da dire, ma come mai, Milan-Lazio di qualche ora più tardi, non è stata sospesa per lo stesso motivo, quando i tifosi milanisti hanno iniziato a cantare contro i laziali?
Un napoletano vale più di un romano ma meno di uno straniero o forse questo caso non avrebbe avuto ritorno mediatico?