Quell’anno il mondiale di ciclismo si svolge nella Capitale. Anzi, per la precisione, a Frascati. È il 1955 e il 28 agosto le vie dei Castelli Romani vengono sgomberate per consentire ai campioni dell’epoca di giocarsi il titolo iridato su strada. Roma ha da poco ottenuto la possibilità di ospitare i Giochi Olimpici del 1960 e il mondiale di ciclismo a Frascati sembra un apripista importante per saggiare le qualità organizzative degli italiani.

IN EFFETTI, sarebbe molto complicato pianificare un percorso interno alla città, anche se alla metà degli anni ’50 a Roma d’agosto ci sono più turisti che residenti. Per via delle effettive difficoltà strutturali, viene ritenuta più indicata la cittadina dei Castelli, nota nel mondo per le sue produzioni vinicole. Frascati è stata ricostruita dopo la seconda guerra mondiale, quando un bombardamento angloamericano l’aveva quasi distrutta l’8 settembre del 1943, poche ore prima dell’armistizio. Durante l’occupazione tedesca in Italia il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva stabilito proprio a Frascati il suo quartier generale. Nel tentativo (neppure riuscito) di colpire il plenipotenziario di Hitler, migliaia di abitanti perdono la vita a causa di un inferno partito dal cielo. Oltre un decennio più tardi le ferite sono – almeno in apparenza - rimarginate e Frascati è tornata a essere un’elegante cittadina a 20 chilometri dalla Capitale, perfettamente in grado di ospitare una manifestazione sportiva complicata e avventurosa come la 28esima edizione del Campionato Mondiale di ciclismo su strada.

E’ UN’EPOCA di grandi campioni e quasi tutti aspettano una sfida il cui risultato possa sorridere a uno di loro. Pochi valutano la complessità del percorso e le reali condizioni climatiche. È fine agosto e quell’anno le temperature a Roma e dintorni segnano picchi assoluti. Frascati si trova a poco più di 300 metri sopra il livello del mare, ma una quantità annua di precipitazioni inferiore alla media può creare un clima pesante per uno sforzo su due ruote che di rado incontra la pianura. E saranno proprio il caldo e le salite i nemici peggiori dei ciclisti in gara. Basti pensare che su 65 partenti, soltanto 21 (un terzo effettivo dei partecipanti) taglieranno il traguardo. La prova in linea per i dilettanti, sulla distanza di 188 chilometri, è un completo trionfo italiano, tale da riempire le tre postazioni del podio con il tricolore. Vince infatti Sante Ranucci, seguito nell’ordine da Lino Grassi e da Dino Bruni. Poi il mondiale entra nel vivo, perché scendono in strada i professionisti e il percorso diventa di 293,132 chilometri. Il campione in carica è il francese Louison Bobet, che a sua volta aveva tolto il titolo a Fausto Coppi, campione iridato nel 1953. È proprio sul duello fra i due che si rivolge l’attenzione di tifosi e addetti ai lavori. Anche perché Bobet, come se il titolo mondiale non bastasse, è anche vincitore del Tour de France da 3 anni di fila. Dunque, sarebbe impossibile non considerarlo il favorito per eccellenza.

COPPI NON E’ al centro di uno dei momenti migliori della sua vita. L’esistenza è stata sconvolta da una relazione extraconiugale con Giulia Occhini, divenuta famosa con lo pseudonimo della “Dama bianca”. Il processo per adulterio che entrambi devono subire viene celebrato proprio nel 1955. L’iter giudiziario si conclude con la condanna di Coppi a due mesi di carcere per abbandono del tetto coniugale. Pena analoga subirà Giulia Occhini, incinta: tre mesi. Entrambi usufruiscono comunque della sospensione condizionale della pena. Tra mille difficoltà Coppi e la Occhini si sposano in Messico (matrimonio mai riconosciuto in Italia, dove negli anni 50 il divorzio è ancora una chimera) e poco dopo nasce il loro bambino, Angelo Fausto detto "Faustino", nato a Buenos Aires nel maggio di quell’anno. Angelo Fausto Coppi, che ancora possiede il doppio passaporto italiano e argentino, viene fatto nascere in Argentina per poter ricevere il cognome di suo padre biologico, poiché Enrico Locatelli, marito della Occhini, si era rifiutato di disconoscerne formalmente la paternità. Rancori, ripicche, malanimo. Cose della vita. È dunque chiaro che in quel momento la mente del “campionissimo” possa essere presa da pensieri perfino più importanti di un campionato del mondo.

MA IL 28 AGOSTO DEL 1955, Coppi è comunque presente per le vie di Frascati e vuole onorare quel che resta di una carriera straordinaria. Il percorso è molto tecnico e oltre a una grande resistenza fisica è necessaria l’esperienza. A ravvivare la gara pensano all’inizio due seconde linee, il belga De Groot e lo svizzero Bovay, autori della prima fuga di giornata dopo soli 15 chilometri. I due fanno il vuoto alle loro spalle e nessuno si preoccupa di andarli subito a riprendere. Per tre giri, sembra una gara a due. Finché il nostro Pasquale Fornara, buon passista e valido scalatore non riesce a creare un terzetto di testa raggiungendo De Groot e Bovay. Fornara è stato sottovalutato per anni ma non è un ciclista di scarso peso: al termine della sua carriera avrà vinto 4 volte il Giro di Svizzera, una volta il Giro di Romandia e avrà ottenuto piazzamenti importanti al Giro d’Italia e al Tour de France. In quel momento sembra l’unico italiano in grado di emulare il dilettante Ranucci e di dare vita a un ipotetico doppio oro italiano. Nel frattempo Bobet è costretto al ritiro e la corsa di Coppi è del tutto anonima. Per il grande Fausto proprio non è giornata e lo si capisce quasi subito. Per giunta, giro dopo giro la salita di Grottaferrata è letale per polpacci giovani e meno giovani. Dunque, il percorso fa una selezione naturale spietata. Nel frattempo, i tre di testa vengono man mano riassorbiti e si entra finalmente nel vivo del mondiale.

A TRE GIRI DALLA FINE avviene l’episodio che spezza gli equilibri di una corsa fin troppo tattica e troppo spesso confusionaria. Il belga Stan Ockers si stacca dal gruppone e dà forma alla seconda grande fuga di giornata. Quella buona, perché uno a uno tutti gli avversari sono costretti a cedere. Josephus Constant Ockers, conosciuto come Stan, non è il tipo di ciclista che a guardarlo rubi esattamente la scena: non è né Coppi né Bobet, e nemmeno il connazionale Rik Van Steenbergen. È comunque un atleta di valore assoluto, giunto al culmine della parabola sportiva. Fiammingo di Anversa, classe 1920, si gioca la gara della vita a 35 anni. Ci era andato vicino due anni prima, giungendo terzo al mondiale di Lugano vinto proprio da Fausto Coppi. Nel 1955 Ockers si aggiudica classiche dell’importanza della Liegi-Bastogne-Liegi e della Freccia Vallone, ma nonostante due successi come quelli, ancora non è accreditato tra i favoriti. Forse perché in coppia con Van Steenbergen è attivo anche in pista (quell’anno i due vincono la Sei giorni di Anversa), tanto da essere considerato una sorta di ciclista ibrido. Evidentemente anche il mondo del ciclismo vive di pregiudizi che si fanno pretesa di senso. Al di là di un certo scetticismo generale, a tre giri dalla fine Ockers sembra avere un motore sotto la bici e negli ultimi chilometri fa il vuoto alle spalle. Sul salitone che porta in paese è lui a tagliare per primo il traguardo e a vestire la maglia del campione del mondo. Seguono a debita distanza (oltre un minuto) il lussemburghese Schmitz e l’altro belga Derijke (che batte allo sprint per la medaglia di bronzo il nostro Gastone Nencini).

L’ANNO SUCCESSIVO il Mondiale su strada di ciclismo si svolge a Copenhagen, Danimarca. Ockers arriva quarto in una corsa che parla soltanto fiammingo-neerlandese. Trionfano i due grandi Rik, nell’ordine Van Steenbergen e Van Looy, mentre il terzo posto è appannaggio dell’olandese Gerrit Shulte. Il campione uscente è deluso e vorrebbe rifarsi al più presto ma non immagina che il destino ha altri piani. Il 29 settembre 1956, durante una gara su pista al Palasport di Anversa, l’atleta belga cade fratturandosi il cranio. Trasportato d’urgenza in ospedale, finisce in coma e non ce la fa. Muore il 1° ottobre. La sua figura viene onorata con funerali solenni, alla presenza del re Baldovino I e di oltre 20mila persone, tifosi e amanti del ciclismo. L'anno seguente viene eretto un monumento in onore di Stan Ockers a La Roche-en-Ardenne, paese di lingua vallona che guarda il Lussemburgo piuttosto da vicino. Per le poche migliaia di abitanti che ogni giorno passano davanti alla sua statua nella piazza centrale, il campione del mondo è ancor oggi lui, Josephus Constant Ockers. Detto Stan.

Diego Mariottini