"Colpo di scena incredibile.. Pippo Inzaghi, nel momento più disperato, più difficile, più importante. Sempre lui!"
Nell'enfatica telecronaca di Sandro Piccinini, c'è il senso profondo di un gol che cambierà la storia del calcio europeo della metà degli anni 2000.

LA PARTITA DELLA SVOLTA. E' la sera del 23 aprile 2003, esattamente diciotto anni fa, ed il Milan di Carlo Ancelotti vive una delle serate più estasianti della sua gloriosa storia. A San Siro, per il ritorno dei quarti di finale di Champions League, arriva l'Ajax dopo lo scialbo 0-0 dell'andata: un risultato pericoloso, con i rossoneri costretti a vincere per passare il turno, nonostante le importanti defezioni di Gattuso, Pirlo e Seedorf, praticamente tutto il centrocampo titolare.

Gli olandesi allenati da "Rambo" Koeman sono una squadra ricca di talento e di prospettiva, infatti alcuni dei suoi giovani campioni faranno una grande carriera con importanti esperienze anche in Italia (su tutti Ibrahimovic, Chivu e Sneijder). La squadra di Carlo Ancelotti chiude il primo tempo avanti di una rete, grazie alla zampata del solito Inzaghi, ma nella ripresa accade di tutto: Yari Litmanen pareggia i conti al 63', Andrij Shevchenko porta nuovamente in vantaggio i rossoneri appena due minuti dopo. Il gol dell'irritante Steven Pienaar al 78' sembra spegnere definitivamente le speranze europee rossonere, ma al secondo dei tre minuti di recupero succede il classico "colpo di scena" picciniano: capitan Maldini lancia lungo alla disperata, sponda area di Ambrosini raccolta da Inzaghi che, in spaccata volante, supera con un pallonetto il portiere olandese Lobont. Il tocco di Tomasson a pochi centimetri dalla linea di porta, a ribadire la palla in rete, mette i brividi al pubblico di San Siro per un possibile fuorigioco, ma è tutto regolare: il danese entra nel tabellino dei marcatori, ma nei cuori rossoneri quel gol resterà per sempre di SuperPippo Inzaghi. 

Il resto è storia: il Milan accede al doppio derby-semifinale con l'Inter, spartiacque verso il trionfo dell'Old Trafford contro la Juventus nell'unica finale tutta italiana della storia della massima competizione europea.

IL SENSO DI QUEL GOL. In quella rete all'ultimo respiro, che cambierà la storia del calcio europeo della metà degli anni Duemila e la carriera di tanti giocatori in campo, c'è il significato profondo di quello che vogliamo intendere quando parliamo di "grande squadra". Innanzitutto ci sono grandi interpreti in campo e su questo non si può discutere, poi c'è lo spirito di abnegazione e la voglia di vincere ad ogni costo che trasforma un gruppo di grandi atleti e perfetti professionisti in una squadra vincente.

Riviamo quei lunghissimi secondi. Siamo al minuto numero novantadue e la squadra è fisicamente allo stremo, disputando la cinquantunesima partita ufficiale di una stagione interminabile, cominciata dal prelimare di Champions League alla vigilia di Ferragosto. Davanti gli occhi di 80'000 spettatori palpitanti, con la sensazione reale che dopo un paio di minuti scarsi la partita e la stagione europea del Milan sarebbe terminata, capitan Maldini (nelle vesti di difensore e non di dirigente) guarda il campo davanti a sè e lancia lungo col mancino. Massimo Ambrosini, un altro capitano della storia rossonera, va incontro al pallone e stacca i piedi dal suolo con tutte le forze residue, sovrastando l'avversario e "spizzando" la palla di quel tanto che basta per mandare fuorigiri la retroguardia ed il portiere dei Lancieri di Amsterdam. 

E poi c'è Pippo Inzaghi, il re dei predatori d'area, che d'istinto attacca lo spazio, non aspetta che il pallone cada a terra ma, saltando in spaccata, lo sfiora con la punta del piede destro per costruire un pallonetto leggendario. Jon Dahl Tomasson, altro attaccante di razza, va a spingere in rete un pallone che si stava insaccando di suo, rischiando letteralmente il linciaggio in caso di una posizione di offside che fortunamente non c'era (ma nei tempi ante-VAR era un rischio da non correre assolutamente).
Il Milan vince 3-2 dopo un'altalena di emozioni e corre sulla strada che lo porterà alla sesta Champions League/Coppa dei Campioni della sua storia.

Ora, nessuno di noi è un pazzo visionario e nessuno di noi (sopratutto il sottoscritto) ha l'intenzione di fare un paragone tra quel Milan e questo. Quella era una squadra ricca di fuoriclasse, che aveva fatto e stava facendo la storia del calcio, con una Società alle spalle (quella guidata da Silvio Berlusconi e Adriano Galliani) tra le più blasonate, solide e ricche del panorama europeo.
La situazione odierna è molto differente: il Milan d'oggi è una squadra giovane, con pochi giocatori di grande esperienza internazionale (probabilmente solo uno, alle soglie dei quarant'anni..) e tanti giocatori "futuribili". La Società è giovane anch'essa, poco avvezza alle pressioni di una piazza storica e poco incline a soggiacere alle logiche del pallone italiano. Quindi non c'è alcuna intenzione di proporre paragoni poco intelligenti ed del tutto anacronistici

QUELLO CHE SERVE OGGI, COME IERI. Eppure in quella rete vecchia di diciotto anni e figlia di un altro mondo, lo ribadiamo con convinzione, c'è tutto ciò che serve ai ragazzi in maglia rossonera di oggi per concludere in trionfo, cioè con il ritorno in Champions League, una stagione finora positiva ma che, senza tale risultato, sarebbe solo l'ennesimo grigio giro a vuoto. E sarebbe l'ennesimo inciampo sulla strada di un tunnel rossonero iniziato ormai otto anni orsono. 

Anche nel 2003, in fondo, i concetti alla base della discussione erano più o meno gli stessi: se il Milan non avesse segnato quel gol e non avesse passato quel turno, a nulla sarebbero valsi gli sforzi dei nove mesi precedenti, le vittorie a suon di gol di La Coruna, di Monaco di Baviera, di Dortmund. Non sarebbero passati alla storia i gol di Inzaghi e Shevchenko, gli assist millimetrici di Rui Costa, le chiusure di Nesta, la regia di Pirlo, le geometrie di Seedorf ed i tackle di Gattuso. Non avremmo mai vissuto l'ebrezza di eliminare l'Inter grazie ad un doppio pareggio e l'eccitazione infinita di guardare Sheva che spiazza Buffon per la più incredibile delle vittorie.

Sarebbe semplicemente finita così, come una stagione tra le altre, senza grandi significati e senza la necessità di essere trascritta nel Romanzo del calcio. E chissà se il ciclo dei Meravigliosi di Carlo Ancelotti (citazione di Carlo Pellegatti) sarebbe mai incominciato.
Ed invece la storia è andata proprio come doveva andare. Grazie alla strenua volontà di Maldini di gettare, insieme al pallone, anche il cuore oltre l'ostacolo. Grazie alla rabbia agonistica di Ambrosini nello strappare un pallone aereo al suo avversario diretto. Grazie all'efferata crudeltà sportiva di Inzaghi, che non ci pensa per un secondo e va a raccogliere quella palla sporca in ogni modo possibile. Ed in fondo, anche grazie all'istinto di Tomasson, che non può rinunciare a mettere la sua firma su un gol storico, prendendosi tutti i rischi del caso.
Oggi serve ancora tutto questo. E tutto questo è mancato mercoledì contro i giovanotti del Sassuolo: strenua volontà di vincere ad ogni costo, rabbia agonistica, crudeltà sportiva.
Il Milan di questo 2021 pare accettare troppo spesso l'ineluttabile destino senza schiumare rabbia, pare andare al tappeto senza vendere cara la pelle, pare quasi non lottare fino all'ultimo respiro prima di mollare la presa. E sono tutti peccati mortali, per una squadra giovane che deve conquistare il proprio destino. 

I ragazzi di Pioli non sono e non potranno mai essere i Meravigliosi di Ancelotti, lo sappiamo, non ne facciamo un dramma e nessuno chiede loro l'impossibile. Ma hanno il dovere di completare quanto di buono fatto finora, hanno la grande possibilità (individuale e collettiva) di trasformare una buona stagione in una grande impresa, che magari sia la premessa per imprese ancora più belle ed ancora più grandi.