Il mitico pendolino dell'indimenticabile Maurizio Mosca, il sempre combattuto e animato Processo di Biscardi, le sottili battute del grande Raimondo Vianello...
Ci hanno tenuti incollati al piccolo schermo per ore, ma sempre con un buona dose di sana ironia che faceva del calcio quello che sempre è stato e sempre sarebbe dovuto essere... un gioco! Purtroppo risulta sin troppo chiaro e lampante che oggi purtroppo non sia più così... Nulla si vuol togliere con questo articolo alla competenza e professionalità della nuova generazione di giornalisti sportivi, probabilmente ben più preparati e competenti rispetto ai loro predecessori.
Quel che pare esser venuto a mancare sta proprio nell'ironia necessaria a commentare quello che è e rimane un gioco. Salvo rare eccezioni (Pierluigi Pardo ad esempio) dove questa apprezzata vena ironica è rimasta, la quasi totalità dei giornalisti/commentatori e telecronisti, indipendentemente dal fatto che si tratti di uomini o donne, si è standardizzata, uniformandosi nell'utilizzo di termini "nuovi" ma sempre di matrice inglese nel racconto delle varie partite e andando in maniera molto marcata a "imitare" il modus operandi dei colleghi d'oltreoceano e d'oltremanica.

Tutti uniformati su un modello globale, con il primo che tenta di uscire dal coro subito additato quasi fosse un pazzo. Un caso eclatante accaduto di recente riguarda Daniele Adani che, reo di essere uscito da questo schema molto British durante il commento di una partita dell'Inter, è stato quasi messo al rogo da buona parte dei suoi colleghi, con una dose massiccia di pura ipocrisia.
Ecco, il punto è proprio questo, il commento di Adani, che sia piaciuto o meno, era riuscito a scaldare "nel senso buono del termine" gli animi, a far divertire la gente e a far discutere e a farsi imitare in tono scherzoso.

Tutto questo, però, pare non appartenere più a questo nuovo mondo del calcio, fatto di numeri, economia, statistiche e politica. Siamo sicuri che questa sia la strada giusta?