Cerchiamo il divertimento per distrarci, per non pensare, per allontanare la monotonia o un eventuale turbamento. La parola deriva dal latino "devertere" che significa spostare l'attenzione, dirigere lo sguardo altrove, distrarsi.
Ma qual è l'oggetto dal quale ci vogliamo allontanare? Possono essere lo stress dal lavoro, dagli impegni di studio, dalle seccature. Sono tutte risposte plausibili, ma ognuna legata a una situazione personale e soprattutto contingente. La risposta che ci dà Pascal ha una portata più universale; infatti, secondo il filosofo francese, noi non cerchiamo altro che sfuggire dalla nostra condizione di esseri umani, una condizione fatta di noia e di inquietudine. A questo proposito egli scrive: "Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci". Pertanto, secondo questa impostazione, per stare bene abbiamo sempre bisogno di qualcosa che ci distragga e che, quindi, catturi l'attenzione.
Da cosa dipende la nostra continua ricerca di qualcosa che ci possa allontanare dai problemi del momento? La risposta pare semplice. Ci vogliamo distrarre per non annoiarci, per ingannare il tempo e questo ci porta a definire la noia. La noia mette l'uomo di fronte alla miseria umana, cioè all'incapacità di vivere felici qualora fossimo lasciati senza distrazioni. Pertanto, per non renderci conto che da soli siamo insufficienti a noi stessi, per non accettare il binomio divertimento/eliminazione della noia come scusa per nascondere l'infelicità, allora ci vogliano divertire. Quindi il divertimento non è altro che un chiudere gli occhi di fronte alla nostra reale situazione esistenziale.
Ecco perché la società è costruita intorno al divertimento: i centri commerciali, le macchine molto accessoriate, le discoteche, i pub, i cellulari di ultima generazione. Sostanzialmente se tutte queste cose servissero solo per divertirci, non sarebbe un male. Il male sopravviene quando con la smania del divertimento a tutti i costi, finiamo per rinunciare a noi stessi. La distrazione non è solo cercata con il corpo, ma anche con la mente che, infatti, cerca continuamente di sfuggire da noi stessi, rifugiandosi in ricordi passati oppure in progetti futuri. Si pensa a quello che faremo al termine di una giornata di lavoro o nel fine settimana oppure ricordiamo con piacere il bel viaggio fatto con gli amici l'ultima estate. L'importante è non pensare o meglio, pensare a distrarsi. Succede anche che persino l'impegno lavorativo o tutte le altre attività che non possono essere classificate come divertimento vero e proprio, alla fine risultano poco diverse da quest'ultimo. Quante volte si sente dire "faccio un lavoro che mi diverte". Questo succede perché preferiamo l'attività all'ozio, la compagnia alla solitudine dato che l'ozio e la solitudine ci costringono a pensare e l'uomo preferisce non farlo. A questo punto si potrebbe affermare che la vita non è tutta un "divertimento", bensì un allontanarsi, un volgere lo sguardo altrove, nel senso esistenziale e originario del termine che ci rinvia al "divertissement" di Pascal.
In sintesi, il divertimento fa parte della vita dell'uomo a cui è necessario, ma acquista una connotazione negativa quando ci impedisce di riflettere e di pensare.

Durante il XX secolo, mentre nacque il consumo di massa, fiorì anche il divertimento di massa. Ai nuovi consumatori, dopo l'acquisto di beni di prima necessità, poteva restare qualche soldo da impiegare diversamente. Se sapevano leggere e scrivere potevano acquistare i quotidiani, una risorsa essenziale per informarsi sulle vicende politiche ed economiche all'ordine del giorno; oppure acquistare riviste specializzate, magari sofisticate e piene di immagini, come la bellissima "Illustrazione italiana", esistente dal 1873, oppure il "Daily Mail", fondato nel 1896, che pose al centro della sua attenzione il pettegolezzo politico e mondano, la cronaca nera e lo sport. La "Domenica del Corriere", per esempio, vide gli albori nel 1899 come supplemento di un quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", acquistabile anche autonomamente a un prezzo basso, piena di immagini, disegni e cronache dei più mirabolanti eventi di cronaca.
I nuovi consumatori potevano anche desiderare di assistere a qualche nuovo spettacolo. Sin dalla prima metà dell'Ottocento l'Europa fu attraversata dalla passione per il melodramma, tanto che furono costruiti teatri un po' ovunque, a volte anche in paeselli sperduti, in precedenza del tutto privi di ogni luogo destinato a ospitare spettacoli. In Italia, per esempio, già nel 1866 esistevano 942 teatri, distribuiti in 650 comuni diversi. Il prezzo del biglietto, per la rappresentazione di un'opera lirica, poteva variare. Per accedere al loggione, cioè il balcone più alto dell'emiciclo che conteneva i palchi, il costo era modesto; così persone dei ceti medi o delle classi operaie potevano recarsi ad ascoltare e a seguire un'opera di Rossini piuttosto che di Giuseppe Verdi. Ma all'inizio del Novecento il melodramma incontrò un competitore piuttosto insidioso: il cinema. Proprio allora, infatti, cominciarono a venir costruite le prime sale cinematografiche...
Il Cinema Teatro Bruschi aveva riaperto i battenti e faceva dei pienoni incredibili. Il gestore veniva da fuori ma ci sapeva fare e fra molti "bidoni", infilava qualche bel film opportunamente pubblicizzato. Non mancavano prime visioni: uno striscione tricolore in fondo alla scalinata di Via Mazzini, ben visibile dai treni di passaggio, annunciò, ad esempio, la presentazione di "Roma città aperta". Il cartellone vicino alla bottega di Sirio, lasciò intuire la voluttà del bacio della Bergman in "Notorius"; film, come molti altri, "proibito agli adulti", secondo quanto recitava l'avviso settimanalmente esposto sulla porta della chiesa. 
Lo Sbrocchi riuscì a portare per la prima volta in paese anche una "rivista di varietà": Mario Marotta con Stefy Wolk, soubrette e tante ballerine. L'ingresso era vietato ai minori, per l'alto costo dei biglietti. La fila al botteghino era di rigore, i posti erano numerati e le prime file erano le più richieste.
Furono date anche, con enorme successo, commedie in vernacolo con Wanda Pasquini e perfino opere e operette, con critiche e riserve solo degli appassionati del Comunale di Firenze, anche in paese assai numerosi.
Il Priore, per visioni più vaste e in ogni modo sempre censurate sul posto (le parti delle pizze tagliate in loco, erano poi ricucite prima della restituzione al distributore!), aprì le Cannucce, vicino alla chiesa, e almeno anche i clericali poterono andare al cinema senza rimorso, anche per vedere Spencer Tracy e Greer Garson, la giovanissima Elisabeth Taylor di "Cinzia" o i film più edificanti della San Paolo.
I partiti offrivano altri punti di ritrovo e di svago. La DC aveva la propria sede in Piazza della Vittoria. Era un circolo ricreativo, che era aperto la sera per il caffè e la partita a carte. I soci a turno prestavano il proprio servizio al banco. Era frequentato anche dai non tesserati. All'esterno giganteggiava un grande Scudo Crociato, che la sera era illuminato.
Bellidee (lo chiamavamo così perché aveva tanti... punti di vista) organizzò una gita a Vallombrosa per il 15 agosto del 1947. Grande fu l'adesione dei frequentatori e delle loro famiglie. Il pranzo era a sacco. Partirono con due camion.
Successivamente la DC fu sfrattata e il Circolo si trasferì in cima alla scalinata nei locali della bottega del forno, cambiò anche nome e diventò Acli. Apriva anche di giorno, c'era il biliardo e dal 1954 anche la TV. La DC finì a metà scalinata, poco sopra la macelleria, in una piccola stanza quasi cieca, dove il fumo durante le riunioni si tagliava a fette.
Il PCI aveva ripreso possesso della Casa del Popolo di Via Garibaldi. Molto frequentata, era dotata di una bella sala. Si ballava la domenica, pomeriggio e sera. C'era anche una galleria ribattezzata "tribuna stampa", dove si rifugiavano le persone che normalmente non ballavano, ma commentavano dall'alto i vari movimenti e gli... "ammiccamenti" delle coppie nella sala sottostante. Grande interesse suscitava la gara della "cartolinata", della quale era di solito vincitrice la più bella ma soprattutto la più brava. L'affluenza al ballo era tale e tanta che i ballerini erano alternati nelle danze a seconda del colore del "fiocchino" distribuito all'ingresso.
Anche il PCI, all'esterno, aveva una grande insegna luminosa con la Falce e il Martello.
Il segretario di partito, oltre che essere un bravo ballerino e un perfetto "caposala", era un artista e aveva tanto buon gusto. Queste doti le aveva riposte anche nell'ideare la pista all'aperto "La Lucciola", della Casa del Popolo. Era stato l'ideatore prima e gestore dopo per lungo tempo. Il locale all'aperto si trovava proprio sulla riva dell'Arno, con un primo accesso dal vecchio campo sportivo. L'ingresso ci accoglieva  con la scritta al neon con luce a intermittenza. L'orchestra, in alto al centro della pista, era racchiusa in una specie di nicchia, tutta nel verde con alberi di alto fusto. Un bar in muratura con tavolini ben allineati in ampi spazi. Prati ben curati con erba all'inglese con tanti fiori. Passamani di legno si incrociavano lungo le diverse stradine con percorsi obbligati. L'illuminazione era particolare: piccolissime lampadine multicolori da sembrare tante vere lucciole. Una nota romantica era rappresentata da un piccolo "barchetto", riccamente illuminato, in Arno, a disposizione di qualche "coppia romantica" per una gita lungo il "fiume d'argento" sotto la luna. Quando c'era...

"Ridi ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi!".
Mi sembra di rivederlo, ma soprattutto risentirlo, mio padre quando il giorno di Natale raccontava questa storia dopo che mia sorella, più piccola, come in una lagnosa litania, a fine pasto, ululava un "A icchè si giocaaaa? Icchè si faaaa?". "Non sapete divertirvi; avete una smania che nemmeno a legarvi sareste capaci di inventare qualcosa" - si imbronciava - "mi fate sempre sentire vecchio perché ora, come sempre, sarò costretto a dire la parolina magica che vi farà sbuffare".
Io facevo finta di non sentire ma, nel contempo, lo imploravo di non farlo. "No, babbino ti prego" - ero quasi inginocchiato. Lui mi guardava come quando faceva cabaret e, immancabilmente, ripeteva: "intanto babbino dillo a Geppetto e non a me" - facendo finta di arrabbiarsi, "e poi, visto che l'avete voluto voi: AI MIEI TEMPI...".
"Quando tra tanti anni, ripensando alle storie dei miei tempi che ti ho raccontato non avrai sul volto quel risolino a presa di culo, vorrà dire che sarai invecchiato anche tu e, come d'incanto, la smorfia diventerà sorriso". Finiva così, bacchettandomi per scherzo.

È vero, adesso, a ripensare a questa storia, ho proprio questo sguardo.
Si pensa sempre che il passato sia inesistente, come se non ci riguardasse e invece il tempo tutto toglie e tutto dà
; ogni cosa si muta, nulla s'annichila.
Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell'anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro.
Avevi ragione babbo... come dicevi tu, "tanto gli è una trottola...".