Avevo dieci anni, ed una gran voglia di Toro. Mio Zio, maestro e responsabile della mia precoce, ma incondizionata fede granata, riuscì ad intercedere con i miei genitori e , con sua moglie, presente alla partita e garante della sicurezza di tutti, mi accompagnò a vedere la mia prima partita: Torino – Sampdoria.
L’idolo di allora era Gigi Meroni, un’ala destra dal dribbling secco che lo portava spesso davanti al portiere, un artista calciatore – pittore, denominato la Farfalla – Granata, specialista anche in cross e pallonetti.
Proverbiale fu il goal a Milano nel 1966, con l’Inter
, quando, marcato da Facchetti, lo sorprese con un tiro appena fuori area, una palombella che spiazzò il portiere avversario Sarti. All’estremo difensore dell’Inter non rimase altro che raccogliere il pallone nel sacco, allargando le braccia, come a dire che un pallone così, proprio non poteva pararlo. Finì 2 – 1 per il Toro, grazie a quella rete storica di Gigi, da cineteca, che fece cadere l’ Inter del Mago Herrera.
Assistemmo  alla partita da un preciso punto della curva Maratona, allineato alla bandierina del calcio d’angolo, dove si aveva il massimo della visuale in curva. Fu un match molto combattuto, con una successione di reti rocambolesca. Una rete per parte fino al 2 a 2, ma nel finale  il Toro segnò con Moschino il 3 a 2 , mentre al 90° Nestor Combin, completò la sua tripletta, fissando il risultato finale sul 4 – 2.
Le prodezze di Meroni furono veramente tante anche in quella partita. Ne ricordo una in particolare: Gigi scendeva velocemente al centro del campo palla a terra, tallonato da un avversario; il pallone gli schizzò in alto e lui l’addomesticò con la testa, schiacciando la sfera sui suoi piedi con un gesto rapidissimo e così naturale da sembrare facile, per poi proseguire l’azione ancor più veloce, facendo esplodere di entusiasmo gli spettatori.
Felice per aver visto per la prima volta il Torino e Meroni, lieto per la vittoria, giunto a casa raccontai tutto a mio padre che, nonostante fosse juventino, ascoltò con un sorriso il mio racconto colpito dal mio entusiasmo.
Andai a letto presto felice, dopo Carosello. Purtroppo il destino, ancora una volta doveva colpire il Torino.

La mattina seguente, mia madre lasciò che mi svegliassi come sempre, mi vestissi e facessi colazione. Notai la radio stranamente spenta, di solito era sempre accesa a quell’ora. Dopo qualche minuto mia madre mi venne vicino e mi diede la triste notizia: “Meroni non c’è più, è stato investito da un auto ieri sera, mentre attraversava la strada!” Subito mi ribellai, dissi che non era vero, non poteva essere vero, poi lessi la verità negli occhi di mia madre e caddi nella disperazione.
Quella sera vidi il telegiornale dove non parlavano d’altro se non di Meroni. Adesso lo descrivevano bene, come la migliore ala italiana, quasi a livello di George Best del Manchester, o di “Mané” Garrincha, in Brasile. Fino ad allora l’avevano sempre criticato per le sue stravaganze.
Anche i giornali parlavano con benevolenza del modo di vivere di Meroni; estroso, bizzarro si divertiva a stupire la gente, probabilmente a prendere in giro chi lo incontrava per strada, portando al guinzaglio una gallina o una capretta, guidando una splendida Balilla, quando le auto d’epoca ancora non si vedevano molto, auto trovata per caso e fatta restaurare da Gigi stesso con materiali di prima scelta, come il rivestimento interno della capotte in velluto, molto originale e la pavimentazione con moquette  e un piccolo lampadario appeso al tettuccio; l’abitacolo sembrava un salotto.
In campo artistico era denominato dai giovani il 5° Beatles , per la barba incolta ed i capelli lunghi alla moda di allora, come i suoi vestiti che lui stesso disegnava e si faceva confezionare dal suo sarto personale. Sul campo di calcio usava la fantasia con giocate spesso incredibili e indossava i calzettoni arricciandoli alle caviglie, come Sivori e non rinunciava ai suoi lunghi capelli neanche durante le partite.
Tutte queste originalità furono sempre criticate e rimproverate, spesso gridando allo scandalo. Gigi invece era solo un ragazzo anticonformista, i suoi ragionamenti erano 20 anni più avanti degli altri; ora tutti erano disposti a capirlo e a farne le lodi.
Ricordo la sua partecipazione ai campionati del Mondo del 1966, quando l’Italia fu eliminata dalla Corea e Mr, Fabbri non fece entrare Meroni perché in Nazionale non poteva giocare un uomo dai capelli lunghi.  Sui Coreani, tecnicamente molto scarsi, Meroni, con i suoi dribbling perfetti, avrebbe probabilmente potuto dare un grande contributo all’Italia evitandone la sconfitta; proprio come dovette ammettere Fabbri, divenuto l’allenatore del Toro, l’anno dopo, in un chiarimento con Gigi.

Al telegiornale, la sera dopo l’incidente, non criticarono più neanche la sua abitazione in una mansarda in piazza Vittotio Veneto, dove viveva con la sua compagna, Cristiana Uderstadt, la ragazza del tirassegno al luna park. Questo fu un grosso scandalo: Cristiana risultava essere già sposata, anche se in attesa dell’annullamento presso la Sacra Rota. E quella fu considerata una grave immoralità che persino da morto rischiò di danneggiarlo, in quanto la Diocesi di Torino non voleva il funerale religioso di un ribelle, mentre il Cappellano del Torino, che lo conosceva bene, lo celebrò ugualmente, sopportando aspre critiche.
Poco prima che morisse ci fu la grossa questione del suo trasferimento alla Juventus, avversato da tutti gli Operai di Mirafiori che facevano uscire ogni macchina prodotta, con un volantino contrario alla cessione. Quella e altre iniziative ebbero successo; i Presidenti Pianelli e Agnelli compresero che, per il momento, fosse meglio soprassedere.
Meroni era un artista anche con tavolozza e pennelli. Probabilmente sarebbe diventato un pittore a tempo pieno, data la sua passione e il suo talento, ma non fu così.
Fernando Acitelli ha dedicato a Meroni un libro di poesie, “La solitudine dell'ala destra”. Acitelli spiega: «La fascia destra è un posto per solitari, gente che a un certo punto se ne va per manifesta superiorità o perché ha altro da fare. Meroni, Best, Garrincha. Anche Pasolini era un' ala (sinistra, ndr)”, anche Sala era un ala destra e recentemente ho ascoltato quel Campione parlare di quel ruolo, che lanciava le punte al goal, le quali dopo andavano a festeggiare sotto la curva, mentre a lui toccava tornare a metà campo, solo e in silenzio.
La Domenica dopo il funerale, a cui parteciparono 20.000 persone, si giocò il Derby con la Juve.
Nel silenzio di entrambe le tifoserie, un elicottero inondò il campo di fiori, che furono raccolti sulla fascia destra, dove giocava Gigi Meroni.
Nonostante la febbre, volle scendere in campo Nestor Combin, “la Foudre”, molto amico di Gigi, che segnò due reti nel primo tempo e una tripletta alm15° del secondo tempo di quel Derby. Verso la fine segnò Carelli con la maglia n. 7, quella di Gigi. Dicono che alla fine Combin urlò: “Guarda che ho fatto, Gigi! Ce l’ho fatta!”.

Raccontare di Meroni fa riflettere anche sull’Italia degli anni '60, sugli stereotipi di allora, sul conformismo e un po' sull’ipocrisia del “perbenismo interessato” di cui cantò Guccini, della “camicia bianca” di De Andrè, un po' gli stessi modi di pensare che caratterizzarono le cronache delle morti di Luigi Tenco (27/1/67) e Giuseppe Pinelli (16/12/69) con i criteri di giudizio che furono messi in crisi e variati velocemente proprio in quegli anni turbolenti.
Meroni era un personaggio intelligente ed estroverso. Lasciò soltanto un messaggio senza spiegazioni: di Cristiana fece molti ritratti, ma non dipinse mai i suoi occhi.
Il mio destino con quello di Meroni si sfiorò per 90’; in quel tempo potei ammirare uno dei più puri giocatori italiani.
Fu quella la prima e unica volta per me, l’ultima per te.
Ciao Gigi.