Una delle critiche più ricorrenti che viene formulata al tifoso bianconero è quella di essersi scelto la squadra per cui tifare per mera convenienza, perchè è quella più blasonata, perchè è quella che vince.

In questo modo si tenta di dequalificare l'amore per quei colori riducendolo a mero opportunismo ed esaltando, nel contempo, le caratteristiche di passione e sofferenza genuina, di amore che dà e che spesso non riceve che sarebbero insite nel tifare per altre squadre.

Ebbene, posto che questa carica di epicità applicata al tifo pallonaro è abbastanza esagerata, giochiamo pure a questo gioco e tiriamo fuori l'orgoglio - meramente personale ma immagino anche di tanti altri coetanei o giù di lì - di aver scelto di iniziare a tifare Juventus, a circa 10 anni, in uno dei peggiori momenti possibili: la stagione 1986-87.

In quel periodo (le numerazioni andavano ancora da 1 a 11 e c'era Bettino Craxi Presidente del Consiglio) e per quasi un decennio, fino al 1994 e all'avvento di Marcello Lippi,  tifare Juventus voleva dire davvero fare professione di fede incondizionata ed essere votati alla rinuncia, alla delusione quasi perenne, a subire lo sfottò continuo (e meritato). 

Mentre intorno a te vedevi imperversare il Napoli di Maradona e di Careca, l'Inter di Brehme e di Mattheus, il Milan degli olandesi, persino la bellissima Sampdoria di Boskov, Vialli e Mancini, tu juventino passavi da una delusione all'altra portando a casa solo una Coppa Italia (per dire quanto fosse raro vincere in quegli anni: il gol di Galia a San Siro me lo ricordo perfettamente come una gioia indicibile assaporata ascoltando la partita con la radiolina, di nascosto dai professori, all'interno del Delfinario di Riccione mentre eravamo in gita di terza media) e due coppe Uefa (una contro la Fiorentina con Casiraghi in campo ed una contro il Dortmund con i due Baggio).

Per il resto, soddisfazioni zero accompagnate da una serie di disillusioni e delusioni continue sia sul piano dei risultati che sul piano delle aspettative che riponevi nei campioni - o presentati come tali - che, di anno in anno, ti venivano propinati, alcuni dei quali davvero improponibili.

Senza la pretesa di essere esaustivo ma solo con quello che riaffiora alla memoria posso ricordare che in quel Medioevo a strisce bianche e nere ne abbiamo visti di tutti i colori: Marino Magrin (che avrebbe dovuto essere il nuovo Michel Platini, qualcuno lo ricorda ancora ?), Roberto Tricella (che avrebbe dovuto essere il nuovo Scirea), Ian Rush (il bomber di fama internazionale che in Italia non segnava neanche a porta vuota), i russi Zavarov (primo clamoroso arrivo dall'unione Sovietica) ed Aleinikov, Haessler, Reuter, il difensore Julio Cesar, Sorin, Athirson, Zoran Ban e tanti altri che dimentico (la memoria in questo caso fa atto di pietà nei miei confronti). 

Sul piano dei risultati di quegli anni la delusione più cocente fu sicuramente la Juve di Maifredi: avrebbe dovuto portare a grandi risultati abbinata ad un gioco spettacolare ed avveniristico (e il sentire oggi tanti colleghi di tifo che vedono nel gioco offensivo una garanzia di successo mi fa provare qualche brivido) grazie a campioni come Roberto Baggio e Schillaci, reduci dalle magie al Mondiale del 90, Di Canio, il già citato Haessler campione del mondo. 

Il buongiorno si vide dal mattino con un 5-1 preso dal Napoli nella Supercoppa Italiana con la difesa così alta che Tacconi faceva quasi il libero a centrocampo. Il resto fu un disastro completo culminato con la mancata qualificazione alle coppe europee (ricordo il missile di Branco su punizione nel decisivo Genoa-Juventus all'ultima giornata). 

Qualche anno più in là ricordo le alchimie tattiche del buon Giovanni Trapattoni che si ostinava a fare giocare l'immenso Gianluca Vialli, quello che poi sarà il nostro ultimo capitano a sollevare la "maledetta", a centrocampo.

Poi tutto è passato ed il sole, per noi bianconeri, è ritornato a splendere ma, come questo modesto excursus ha voluto testimoniare, anche essere tifosi juventini è stato difficile ed ha richiesto dosi massicce di calma, pazienza e amore incondizionato aldilà anche del concetto di vincere che non è stata, almeno personalmente, "l'unica cosa che contava".

Questo per dire che patenti di supremazia morale del proprio tifo non se le può assegnare nessuno e che il tifo è tutto bello, come un matrimonio, nella buona come nella cattiva sorte purché sempre appasionato ma non cieco: quel Napoli, quell'Inter e, sopratutto, quel Milan degli anni 90 erano squadroni mentre la Juve era oggettivamente poca roba.

Ma la si tifava con amore identico anche quando "perdere era l'unica cosa che ottenevi".  

Riconoscere che il proprio avversario è oggettivamente migliore è segno di intelligenza senza trincerarsi dietro tante scuse ma pare che oggi ammetterlo sia difficile.

Ai tifosi bianconeri, abitutati troppo bene negli ultimi anni, dico di non dare mai per scontate le vittorie ma di apprezzarle tutte e godersele perchè ci sono stati anni in cui il "solito scudetto" di oggi te lo sognavi la notte.