La febbre di un sabato sera. Una febbre d’amore, però. Quella di un intero stadio che è venuto a tifare per lui. Non solo per la Roma, ma una volta tanto proprio per lui. Francesco Rocca ha deciso di lasciare il calcio e intende farlo in grande stile. Nel contempo, vuole farlo con la sobrietà che lo ha sempre contraddistinto. Ha 27 anni compiuti da poco ma le sue condizioni fisiche non gli permettono di andare oltre. C’ è tristezza nella sua decisione ma anche estremo realismo. È il 29 agosto del 1981 e un’amichevole di lusso, Roma-Internacional Porto Alegre, si trasforma in una passerella d’addio. Malinconica, forse, ma carica d’affetto da e verso un giocatore che ha dato tutto ciò che poteva. Per la squadra giallorossa e per la Nazionale. Lo chiamano da sempre Kawasaki, perché sulla fascia di competenza ha una velocità incredibile e non ha i piedi di un terzino qualsiasi. Quella sera il motore del “numero 3 romanista per eccellenza” ritorna ai box. Stavolta, per sempre. La storia di un calciatore bravo e sfortunato. Ma anche quella di un grande uomo di calcio che legherà il suo nome ad altre imprese. Seduto in panchina, però.

COMUNICATO-CHOC. Roma-Internacional Porto Alegre è una partita estiva dal significato particolare. Serve per ricordare a tutti che è da lì che proviene un fuoriclasse come Paulo Roberto Falcao. Una sorta di peana calcistico in due lingue ufficiali. L’anno precedente, agosto 1980, le due squadre avevano giocato un’amichevole valida come benvenuto nella Capitale al numero 5 brasiliano. Stavolta è un modo per testimoniare la grandezza di un “eroe dei due mondi” sui generis. Ma per il tifo giallorosso c’è un motivo in più per non mancare. Un lancio di agenzia datato 4 agosto 1981 riporta una dichiarazione che non può fare certo piacere ai tifosi della Roma: dopo l’ennesimo tentativo di rialzarsi e di tornare in campo, il grande Francesco Rocca ha deciso che può bastare così. Non ha l’autonomia fisica di un calciatore, dunque è inutile andare avanti. Anche se la decisione era nell’aria, per i tifosi è un duro colpo, perché la speranza è spesso più forte della realtà. Ma la società prende una decisione importante: Roma-Internacional, prevista per sabato 29 agosto all’Olimpico servirà anche per tributare i giusti onori al numero 3 giallorosso. Senza nulla togliere a Falcao, ovvio.

DA SAN VITO CON FURORE (AGONISTICO). Quella di Francesco Rocca è una storia che ha inizio il 2 agosto 1954 a San Vito Romano, meno di 60 chilometri dalla Capitale. Non è un cittadino di Testaccio, ma tifoso della Roma certamente sì, fin da ragazzino. Ama da sempre giocare a calcio e si mette in luce nell’Audace Genazzano, prima di finire sul taccuino del Bettini Quadraro, società molto attiva a livello giovanile, che lo prende in prestito. Le potenti squadre del nord non sono tali per caso ma anche per la loro capacità di mandare osservatori un po’ ovunque e di creare una rete di relazioni. La Juventus viene avvertita dell’esistenza di un ragazzo dai piedi buoni e dalla progressione inarrestabile, con e senza palla. Ma per una volta, la Roma ci arriva prima. Nel 1971 un Francesco Rocca ancora minorenne entra nel vivaio grazie a Gaetano Anzalone, non ancora presidente giallorosso ma da anni dirigente addetto alle giovanili. Nella squadra Primavera quel moto perpetuo con la maglia numero 3 sulle spalle non passa inosservato. Ha carattere ma preferisce i fatti alle parole. Le sue esibizioni al Tre Fontane convincono Helenio Herrera ad aggregarlo alla prima squadra. Nel frattempo vince due scudetti con la Primavera (1972-73 e 1973-74) oltre a una Coppa Italia (1973-74).

IN CAMPO, HOMBRE. Herrera è impressionato dalle qualità del ragazzo. Ha piede, ha grande capacità di corsa, ha intelligenza tattica. E non si risparmia mai. Il suo valore aggiunto sta anche nell’esempio per i compagni. Bisogna solo capire se è un terzino o un tornante di fascia. Quando il “mago” Herrera lo fa esordire in campionato a San Siro contro il Milan, con la maglia numero 7, è il 25 marzo 1973. Vince il Milan per 3-1, ma per il nuovo arrivato il ghiaccio è rotto. In quel finale di campionato Francesco Rocca gioca altre due volte, con la maglia numero 11, contro Vicenza (0-0) e Palermo (1-1). Tre sole presenze, ma il ragazzo desta grande impressione. Nella stagione successiva Manlio Scopigno e poi Nils Liedholm lo schierano sempre in campo. Inizia da mediano, ma è come terzino sinistro che dà il meglio di sé, pur essendo destro di piede. Il concetto è molto “made in Liedholm”: è vero che non è la sua fascia di competenza naturale, ma rientrando all’interno sul piede preferito può offrire maggiori soluzioni offensive. Parlando di un terzino nell’Italia degli anni 70, se non è una rivoluzione tattica poco ci manca. Grazie alla sua velocità, per i tifosi diventa “Kawasaki”. Con la sua maglia numero 3 è il classico fluidificante: attento a difendere, ma velocissimo nel far ripartire l’azione offensiva sulla fascia. Cabrini è arrivato più tardi di lui, Cafu molto tempo dopo. Malgrado una carriera di ben altro spessore, nessuno di loro sarà una Kawasaki quanto Rocca.

IN NAZIONALE, IN NAZIONALE. Ha soltanto 20 anni quando viene convocato in Nazionale. I Mondiali del 1974 sono stati un disastro e c’è un’intera squadra da rottamare, CT compreso. L’esordio in azzurro avviene il 28 settembre 1974, a Zagabria contro la Jugoslavia. Vince la squadra di casa ma Rocca è uno dei pochi a salvarsi. In panchina siede Fulvio Bernardini, incaricato di rifondare la squadra affidandosi a una nuova generazione di calciatori. Poco alla volta, il carattere del terzino giallorosso s’impone anche in Azzurro. In Nazionale segna uno dei suoi tre gol ufficiali da professionista, il 23 maggio 1976: a Washington l’Italia affronta una Selezione degli Stati Uniti nel torneo per il Bicentenario americano e Rocca sigla il definitivo 4-0 a pochi minuti dal termine. Parte a tutta velocità da solo sulla fascia sinistra, ma stavolta, invece di servire il centravanti di turno, stringe verso il centro (Liedholm docet) e batte il portiere americano Rigby con un diagonale che non lascia scampo. Segna altre due reti in carriera, a breve distanza di tempo, in Coppa Italia: il 29 agosto 1976 al Rimini (1-0 per la Roma fuori casa) e il 12 settembre al Brescia (4-1).

IL GINOCCHIO KO. Francesco Rocca ha 22 anni, è un punto fisso della Roma e della Nazionale, ma all’inizio della stagione 1976/77 accade ciò che non dovrebbe. È il 10 ottobre 1976, seconda giornata di campionato, la partita è contro il Cesena. La Roma vince 2-0, Kawasaki prende una botta dopo pochi minuti scontrandosi con un avversario, avverte un dolore al ginocchio sinistro ma lì per lì non dà peso al fastidio. Pian piano però il dolore aumenta e Francesco è costretto a uscire. L’articolazione si gonfia e sarebbe opportuno concedersi una pausa, ma il sabato successivo c’è la Nazionale: trasferta a Lussemburgo per le qualificazioni ai Mondiali del ‘78. Il ginocchio fa male, i medici però gli danno l’ok e il 16 ottobre Rocca è in campo per il 4-1 degli azzurri sui lussemburghesi. Tre giorni dopo, durante un allenamento al Tre Fontane, fa uno scatto e i legamenti del ginocchio sinistro si rompono definitivamente. Inizialmente si parla di un semplice problema al menisco, viene operato e durante l’intervento si presenta una situazione complicata. «La lesione subita da Rocca è più complessa di quanto avevamo previsto – dice il chirurgo all’uscita dalla sala operatoria – oltre al menisco, che è stato asportato, erano interessati i legamenti e la capsula del ginocchio sinistro e c’era un distacco osteo-cartilagineo del condilo femorale interno. Il recupero del giocatore sarà di conseguenza più lungo del normale». Il numero 3 della Roma recupera con pazienza e torna in campo il 17 aprile 1977, dopo 6 mesi di stop. A luglio però, durante il ritiro estivo a Norcia, il ginocchio torna a gonfiarsi. Si opera ad agosto e poi nuovamente a settembre. È depresso e non ne può più. Il 13 maggio 1978 annuncia addirittura il ritiro dall’attività agonistica dopo aver passato l’intera stagione senza giocare, ma poi ci ripensa, si opera nuovamente a giugno, non vuole mollare. Ritorna in campo il 22 ottobre 1978, a due anni dall’infortunio iniziale. Si parla di un miracolo, viene esaltata la sua forza di volontà. Ha ancora una ricaduta dopo una splendida prestazione a Milano (Inter-Roma 1-2 del 29 aprile 1979) e finisce di nuovo sotto i ferri nel maggio 1979. E’ l’ultimo intervento. Ritorna a giocare, si illude, ma non dura molto.

LA FINE, QUELLA SERA. Nel 1980-81 Francesco Rocca scende in campo nove volte tra campionato e coppe, ma il ginocchio continua a gonfiarsi. Peccato, proprio ora che la Roma comincia a essere competitiva. Operato già cinque volte, annuncia l’addio al calcio il 4 agosto 1981: «Per il mio ginocchio ormai non ci sono più possibilità di un recupero serio – spiega quel giorno Kawasaki – e allora, con grande rimpianto, ho deciso di abbandonare l’attività. Ho preso questa decisione e mi sembra che la testa mi scoppi. E’ stata dura ed è dura ancora adesso. Ho avuto anche momenti in cui stavo per ritornarci sopra, ma alla fine ho pensato che è meglio che chiuda definitivamente questa mia tribolata carriera col calcio perché mi sono definitivamente convinto di non poter mai più ritornare quello di una volta. Con questa spada di Damocle sopra di me, non potevo continuare rischiando sempre il peggio. Comunque dico queste cose forzando molto su me stesso perché è il momento più brutto della mia vita, anche più brutto di quella lunga serie di cinque interventi fatti su questo ginocchio sinistro». Gioca dunque l’ultima partita il 29 agosto 1981, disputando 20 minuti dell’amichevole tra Roma e Internacional Porto Alegre. Finisce 2-2 ma il risultato non interessa a nessuno, forse non interessa nemmeno il gol di Falcao ai suoi ex compagni. La gente è allo Stadio per tributare il saluto finale a Francesco Rocca: «Questo pubblico mi ha ripagato di tutte le sofferenze – dice il campione uscendo dal campo – ero sicuro che i tifosi mi volessero bene, ma non fino a questo punto». Inizia per lui una carriera di tecnico in Federazione. Il 20 settembre 2012 Francesco Rocca è tra i primi 11 giocatori ad essere inserito nella “Hall of fame” ufficiale della Roma. «Ho provato una sensazione di stupore, vista la brevità del mio passaggio alla Roma – dice il diretto interessato quando la società giallorossa gli comunica la notizia – altri hanno giocato anche 10 o 15 anni, io molto meno». A riprova che la differenza non la fa mai il quanto ma il come.

Diego Mariottini