L’allenatore. Che bel mestiere. Ho sempre sognato essere un tecnico. Fin da bambino, quando giocavo con la Playstation o con il computer, amavo dirigere le squadre. Era soprattutto il PC a garantirmi una simile opportunità essendo più vicino al tipo di ruolo. La prima tecnologia, invece, donava un ibrido calciatore-mister molto divertente, ma meno rappresentativo dell’ultima figura. I secondi apparecchi ludici ponevano proprio nei panni del tecnico, tanto che emulavo gli eroi del tempo. Da Carletto Ancelotti a Fabio Capello, Marcello Lippi, Luciano Spalletti o Roberto Mancini, lo stile è il medesimo. Si tratta di uomini distinti che sono sobriamente eleganti nella comunicazione e nel look. Il classico vestito a giacca, a volte con la cravatta altre volte coperto da un elegante soprabito con sciarpa al collo, è la loro etichetta d’immagine. Così li copiavo con i vestiti di mio padre, esclusivamente per la parte superiore del corpo, risultando molto simile alle vignette di chi durante il lockdown sosteneva di abbigliarsi in maniera sofisticata solo la zona visiva del fisico rimanendo in pigiama per la restante fetta. Sceglievo il Milan. Sono juventino, ma ammetto che amavo quella squadra. Era quella di Kakà e Sheva che poi ha perso la finale di Champions a Instanbul. A tutto ciò si legava un’infantile passione per Pippo Inzaghi. Era il mio idolo e quando la Vecchia Signora l’ha ceduto ai rossoneri, per un breve periodo, ho tifato i lombardi. Ero uno dei rari supporter dei sabaudi che preferiva il piacentino al Re: Alex Pinturicchio Del Piero. Eh sì, proprio così. Mi divertivo un mondo, ma non avevo alcuna responsabilità. Al massimo, mi esoneravano da un videogame e mi assumevano presso un’altra squadra. Non era la vita vera.

LA FIGURA DEL TECNICO
La realtà, invece, è totalmente diversa. La figura dell’allenatore è una delle più complesse nel mondo del pallone. Comandare è fantastico e gratificante, ma comporta parecchi oneri. Lo si vede anche nella figura, per esempio, del Primo Ministro. Soprattutto in quest’epoca pandemica, il Premier è travolto dalle responsabilità e in tal modo si chiarisce perfettamente la portata del concetto. Ho scelto un modello estremo, ma lo stesso può valere a livello locale per un Sindaco oppure nella sfera del privato per un amministratore delegato di una società. Ecco, quindi, che si giunge al mister. Il tecnico è un timoniere. Ha un ruolo di gestione che è interno alla compagine, ma pure al suo staff. E’ il titolare del suo gruppo di lavoro e non è semplice. Spesso trascina con sé una buona parte dei suoi uomini. Insomma, mica poco. Non è finita. Si pensi alle competenze. E’ vero che è coadiuvato da esperti, ma la decisione finale è la sua. E’, ancora una volta, come nell’attuale situazione drammatica. Il pool di tecnici propone, il Governo dispone e il suo Capo firma. L’ultima parola spetta a lui. Questa, chiaramente, è la struttura semplificata del DPCM. Si tratta di tale “nuovo” strumento giuridico con cui abbiamo estrema confidenza da un anno a questa parte. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è un atto puramente emergenziale che non prevede, per garantire tempi rapidi e soluzioni immediate, i classici passaggi parlamentari assolutamente fondamentali all’interno della nostra Costituzione. Consentitemi un parere personale. Non ho mai accettato le oligarchie e ritengo che l’esperienza odierna possa insegnare a migliorare la regolamentazione di tali provvedimenti. Hanno concesso troppo potere ai pochi. Non mi pare una scelta azzeccata nemmeno in un contesto estremo perché non tutela né l’opposizione, né la maggioranza. Quest’ultima, infatti, rischia di assumere scelte sbagliate e, avendolo fatto in maniera assolutamente solitaria, può subire conseguenze ancora più importanti. Non un’idea geniale. Tornando a noi… Lo stesso vale per il tecnico. Su parere dell’organo consultivo, prende la decisione e, se sbaglia, pagano tutti. Purtroppo, però, in una società di calcio come di qualsiasi altro sport di squadra è inevitabile.

Solo chi ha giocato a calcio può capire il calcio - Per essere allenatore, quindi, servono parecchie doti. Sicuramente non possono mancare le conoscenze “pallonare”. Beh… direte: “Sono le basi”. Avete ragione. Ma non è tutto. Sinceramente non conosco alcun amatore divenuto tecnico di una compagine della massima categoria. Forse mi sbaglio? Se è così, Vi prego di correggermi. Sacchi e Sarri sembrano casi più unici che rari. Sono magnifici mister in grado di vincere i più importanti trofei, ma non hanno mai militato come atleti tra i professionisti. Se siete appassionati allo stupendo gioco protagonista di questo pezzo, saprete molto bene quanto sia complicato riuscire a ritagliarsi spazio anche solo nelle sue categorie meno impegnative che non abbiano un puro carattere ludico. Insomma, bisogna saperne. Così anche un dilettante vanta nozioni di cui “il tifoso della domenica” non dispone. Non lo dico in maniera irriguardosa verso quest’ultimo genere di persone. Tutt’altro. Per loro nutro il massimo rispetto. Anzi, rendono il calcio ciò che è: un fantastico sport popolare. Ma, per farne un mestiere, occorre di più. E’ necessario dedicargli tempo e sacrifici. Non è soltanto un divertimento. Qualsiasi ragazzo che abbia militato dalla terza categoria in poi, ha dovuto effettuare qualche rinuncia e donare parte di sé stesso. Ha appreso cosa significhi vivere uno spogliatoio ed essere in una squadra. E’ chiaro che ciò avviene anche a livello amatoriale e non è detto che chi non ha mai giocato non comprenda tale mondo. Basta amarlo e votarsi a esso per scoprirlo, ma certe dinamiche sono tipiche degli insider.

Tuttologi di fatto - Non è sufficiente perché accanto alle disposizioni tecnico-tattiche e di vita, servono conoscenze psicologiche. Non sto sostenendo che si debba avere studiato tale disciplina. A volte esistono persone che hanno doni innati. Si trovano individui che riescono a comprendere gli altri e a porsi nei loro confronti in maniera convincente. E’ questione di carisma, ma pure affinità. Penso a un personaggio come Zlatan Ibrahimovic e noto che riesce a fare breccia nella testa e nel cuore dei suoi compagni. Potrebbe avere un futuro sulla panchina? Le sue doti gli garantiscono buone chance, ma non bastano. Si può immaginare anche Josè Mourinho. Il portoghese è un uomo che ha fatto dell’approccio mentale una delle sue principali forze. Ogni giocatore ha una sua forma mentis e dev’essere gestito in maniera differente dall’altro. Non è semplice sapersi porre rispettando le esigenze di tutti. Ma occorre esserne in grado. Servono, poi, competenze anche in ambito comunicativo perché, oltre alle relazioni con gli atleti, esistono quelle con i media e non è certo facile. Nel 2021 questo settore diventa fondamentale in quanto costituisce il tramite per collegarsi alla realtà e con i tifosi. Loro sono i veri fruitori del prodotto. Bisogna, poi, essere convincenti nei confronti della società per cui si opera e avere prerogative diplomatiche. Riuscire a comprendere le esigenze dirigenziali ragionando alla stregua dei manager, ma contemplandole con quelle di campo. Non sto parlando della tipica figura inglese del mister factotum. Anche nel nostro calcio, però, il tecnico rappresenta il trait d’union tra la squadra e gli altri organi. Capite cosa significa?

QUALE SARA’ IL TECNICO DELLA JUVE?
Andrea Pirlo - Non è di certo una passeggiata di salute e basti vedere l’aspetto fisico degli allenatori per comprendere lo stress che li circonda. Invecchiano molto in fretta. I capelli si diradano o si imbiancano con una rapidità abbastanza allucinante. Vedremo se ciò capiterà anche all’attuale allenatore della Juventus, Andrea Pirlo. Sono convinto che, al momento, sia il tecnico giusto per i bianconeri. E’ un profilo adatto a una compagine giovane. Ha da poco lasciato la carriera di atleta. Sa cosa significhi, quindi, occupare quel ruolo nel periodo più recente. Il calcio cambia in fretta. I colleghi più anziani che hanno militato in qualche team conoscono perfettamente la materia, ma alcune sensazioni seguono il tempo e l’evolversi degli eventi. Essere protagonisti oggi non è come aver vissuto la stessa esperienza 15 o 20 anni fa. Mister come il bresciano, Gattuso, Pippo Inzaghi o il fratello sanno sicuramente approcciarsi in maniera diversa rispetto ad altri praticanti il medesimo mestiere. Penso, per esempio, ai seppur giovani Conte, Allegri o Spalletti. Detto questo, i risultati parlano e i primi, per ora, devono lavorare parecchio per raggiungere lo status dei secondi. Il lombardo conosce molto bene l’ambiente bianconero. L’ha vissuto per 4 fantastiche stagioni. Anzi, direi che ne percepisce le sensazioni e le emozioni più recenti in quanto lo ha navigato proprio durante la maestosa rinascita del post Calciopoli. Sono prerogative da non denigrare. E’ chiaro che, essendo alle prime armi, deve apprendere i trucchi. E’ necessario che cresca con la sua squadra. E’ difficile chiedergli egregi risultati al primo colpo, a maggior ragione in quanto, purtroppo, l’annata non ha preso la piega desiderata. E’ evidente che il covid e i vari infortuni stanno demolendo la compagine. Nella prima parte di stagione, la Vecchia Signora era in evidente fase di costruzione. Somigliava tanto a un cantiere a cielo aperto in cui Pirlo rappresentava l’ingegnere. Lui e il suo staff hanno cercato una quadra che è stata trovata con il 3-5-2/4-4-2. Sembra uno strano numero di telefono… Non è così. Non si tratta di fredde cifre, ma si trasformano in movimenti sul campo. In fase offensiva, i piemontesi attaccano sfruttando il primo modulo. Gli esterni, quindi, si alzano supportando il reparto avanzato che, magari, usufruisce anche del contributo di qualche membro della linea mediana. Quando la sfera è tra i piedi avversari, si compongono due barriere da 4 giocatori distribuendo meglio la densità. Good job direbbero gli inglesi. La soluzione è trovata. La Juve ha un’identità. La sfida con il Barcellona al Camp Nou l’aveva mostrata in maniera abbastanza evidente così come quella di San Siro contro il Milan, la Supercoppa con il Napoli o la Coppa Italia avverso l’Inter, ma poi… Beh, il coronavirus ha fatto capolino dalle parti sabaude. Prima di Natale non un granché di rilevante. Ronaldo si contagiò in avvio di seconda ondata durante il ritiro in Nazionale. In contemporanea fu colpito Mckennei. Due. Non tanti. Negli ultimi mesi, però, è stata quasi un’ecatombe: Alex Sandro, Cuadrado, de Ligt e ora Bentancur. A questi si aggiunge un membro dello staff. La speranza è che la situazione non peggiori. Capitolo infortuni: Bonucci, Chiellini, Dybala, Arthur, Morata, il centrocampista texano precedentemente citato… Troppo per chiunque. E così i piemontesi stanno arrancando. Barcollano, ma non mollano. Questo è importante. Per ora sono dentro a tutte le competizioni. Il tecnico bresciano è stato spesso criticato per la sua volontà di costruire gioco partendo dal basso. E’ un suo principio ma, se si pensa alla rosa a disposizione, diventa pressoché un obbligo. Non esiste, infatti, una punta fisica in grado di tenere alta la squadra se la sfera viene lanciata verso gli attaccanti. L’ex bomber dell’Atletico Madrid potrebbe essere l’unico giocatore con quelle caratteristiche, ma lo preferisco in altre doti come l’attacco della profondità, la capacità di essere devastante in area di rigore o la gestione del contropiede. E’ logico, però, che ogni forzatura vada evitata e quanto accaduto a Oporto non può più succedere. Bentancur non è l’uomo giusto per questo tipo di costruzione che si addice perfettamente ad Arthur. Peccato che il carioco sia stato a lungo infortunato… Le alternative possono essere rappresentate da Bonucci e persino Cuadrado. Anche loro, però, ultimamente sono mancati. In sostanza: credo che non si possa giudicare il tecnico juventino da questa parte di esperienza. Sono necessarie ulteriori prove e nuovi esami. A meno di clamorosi cataclismi, non modificherei la cabina tecnica. E’ chiaro che un finale di stagione disastroso, in cui la Vecchia Signora non rientrasse nemmeno tra le qualificate alla prossima Champions, provocherebbe conseguenze completamente diverse.

Il sarrismo - Le alternative? Specifico innanzitutto che il mio non vuole essere un pronostico. Si tratta semplicemente di un’opinione personale. Sarri ha un contratto in corso con la società sabauda che, stranamente, si trova due tecnici a libro paga. Di solito, la Juve riesce a evitare situazioni simili. E’ chiaro che richiamare il toscano sarebbe assolutamente vantaggioso dal punto di vista economico, ma il rapporto è ormai logoro e vedo una ferita non rimarginabile. Il mister di Figline avrebbe dovuto cambiare il DNA europeo dei bianconeri, ma le parti erano molto distanti e forse troppo orgogliose per avvicinarsi. Non è solo colpa del toscano. I piemontesi non gli hanno certamente concesso la compagine che lui avrebbe voluto. Per espletare il sarrismo servono determinati uomini e questi mancavano tanto che, si dice, Maurizio abbia parlato di “squadra inallenabile”. Una voce forte. Sinceramente gli avrei accordato qualcosa di più somigliante alle richieste e inoltre sarebbe stato opportuno concedergli un lasso di tempo superiore per esprimere il suo calcio. Non è stato possibile perché il matrimonio non è andato come sperato. Mi ricorda l’era dell’Ancelotti juventino con la differenza che il toscano ha centrato lo Scudetto mentre l’emiliano fu cacciato con zero tituli. I tifosi sabaudi non hanno mai amato questi allenatori sempre visti come rivali o contrapposti al loro mondo. Sono dei vincenti, ma sotto la Mole non funzionano. Sinceramente non ho mai creduto troppo a tali incompatibilità e, in nome delle enormi capacità di cui dispongono, avrei abbandonato ogni “rancore”, ma mi sono dovuto conformare alla realtà.

Vecchi amori - Allegri? Beh… qui la situazione è totalmente differente. Sulla panchina della Juve, Max ha centrato quasi tutti i successi. Scudetti a profusione, Coppe Italia e Supercoppe. E’ mancato quell’impossibile traguardo europeo che la Vecchia Signora rincorre ormai da 25 anni. Un quarto di secolo è un periodo troppo impegnativo per una compagine che non ha mai avuto un particolare feeling con il Continente ma, per blasone e valori, avrebbe dovuto vantare una storia completamente diversa. Basti un dato: il Milan ha conquistato 7 Champions. I bianconeri sono fermi a 2. Sapete quante finali hanno giocato i rossoneri? Undici. I sabaudi 9. La differenza è di una coppia di sfide. Eppure, se si guarda ai titoli, si rabbrividisce. Qualcuno sosterrà, giustamente, che conta sollevare la Coppa. Nulla da dire. Ma quando si giunge sino all’ultimo atto significa che si detiene quel potenziale e, in un torneo con un simile format, sono convinto subentrino altre peculiarità. Mi riferisco a imprinting psicologico e fortuna. In ogni caso, Max è stato l’allenatore che più ha esaltato la Juve nell’ultimo periodo vincente. I ricordi migliori sono sicuramente legati pure ad Antonio Conte, ma i 2 triplete sfiorati dal toscano restano una magnifica tela disegnata nel cuore dei tifosi. Il primo, poi, è qualcosa di magico. Nessuno si sarebbe atteso granché invece quella squadra fu in grado di accerchiarsi intorno al suo nuovo mentore e di condurre un’avventura fantascientificamente straordinaria. A differenza del successore, pur se partendo da una medesima situazione, Allegri ha avuto la grande capacità di ambientarsi nel mondo bianconero. Non è stato un elefante in una sala di cristalli, ma un dolce gattino che, con tatto e astuzia, ha conquistato l’animo dei suoi familiari. Umiltà o scaltrezza? Credo in entrambe. Un ritorno di Max l’aziendalista sarebbe assolutamente gradito anche perché ha vinto lui. Il livornese avrebbe voluto il ringiovanimento della rosa che non gli è stato concesso e così le strade si sono separate. Aveva ragione e, infatti, quanto prospettato è giunto con un anno di ritardo. Proprio per questo resto convinto che Sarri abbia compiuto un mezzo miracolo. Ero caduto anche io nel tranello. Pensavo che la rosa a disposizione dell’uomo di Figline fosse fenomenale, ma non sono un insider dell’ambiente juventino e non potevo sapere che parecchi giocatori si avvicinassero ormai al capolinea. Il riferimento è, per esempio, a Higuain o Matuidi, perni di quella compagine. Un rientro di Massimiliano? Beh… al momento ho l’animo diviso. Il cuore mi dice: “Assolutamente sì!. Luca Carboni canta: “la malinconia le onde come il mare. Ti fa andare poi tornare. Ti culla dolcemente”. Quanto è vero! L’idea di rivivere certe situazioni è simile all’immagine di un piccolo eden calcistico terrestre. La fredda lucidità, però, mi dice che la minestra riscaldata non ha mai lo stesso sapore dell’originale. Allegri ha lasciato la Vecchia Signora da poco perché la squadra aveva bisogno di modificare approccio e mentalità. E’ vero che molti uomini sono cambiati e si è andati nella direzione da lui voluta, ma tanti sono anche quelli che, insieme al livornese, hanno vissuto i recenti fasti.

Odio e amore - Le ipotesi di ritorno non sono finite. Conte? Al momento non vedo spiragli. Sono su pianeti opposti. Anche se continuo a notare ciò che somiglia a un odio-amore. Il pugliese ha sempre affermato di non sedersi in panchina con la bandiera. Lui è un professionista. Sostiene la compagine con cui vanta un contratto. Attenzione! Per favore, si cacci momentaneamente l’idea di calcio romantico che sovente ci lega a questo sport. Il gioco più amato dagli italiani è sicuramente qualcosa di molto popolare ed è chiaro, quindi, che il sentimento sia fondamentale. Si parla, però, ormai di un’immensa azienda. Non si può scordare il valore imprenditoriale del pallone. Non mi riferisco al vile dio denaro, ma occorre ormai porsi in un’ottica differente. Ammesso questo, non voglio parlare dei rapporti personali tra Antonio e Andrea Agnelli. Credo, però, che il salentino e la sua Vecchia Signora si amino ancora. Le reazioni eccessive ed estreme a cui abbiamo recentemente assistito mi suggeriscono questa ipotesi. Nel momento in cui vi è disinteresse, si riescono a evitare. Si sono viste, infatti, scene non propriamente edulcoranti che, davanti a un ampio pubblico, se non vi fossero importanti emozioni di sottofondo, non vi sarebbero state. Antonio Conte non è più ben accetto da buona parte dei tifosi bianconeri. Questo ormai è evidente ma, con i casi di Allegri e Sarri, la società ha mostrato di non essere propriamente interessata a tale situazione. Qual è allora il problema reale? Al netto dell’ormai possibilità concreta che il leccese sia veramente l’uomo capace di “creare il mostro” e distruggerlo vincendo lo Scudo con l’Inter, i bianconeri hanno comunque primario bisogno di un salto di qualità europeo. Pur essendo uno dei più grandi tecnici sulla faccia della terra, il pugliese non sembra la scelta più azzeccata per un tale obiettivo.

L’eleganza - Zidane? Magari. Se si separasse dal Real Madrid, rappresenterebbe un’ipotesi straordinaria. E’ un vincente a tutti i livelli: nazionale, continentale e mondiale. Rappresenta quanto di più lontano possa esistere dalle teorie di calcio maggiormente in voga. Mi riferisco al “guardiolismo”, al “sarrismo” o persino al “sacchismo”. Se vogliamo proprio categorizzare, si può dire che sia un “allegriano”. Non si vuole offendere nessuno e non si intende nemmeno pensare che Zizou si sia adattato al mister livornese. Tutt’altro. Il francese ha un’espressione sua e super efficace. Zinedine conosce bene la Juve avendovi militato per parecchio tempo e potrebbe persino fare breccia nel cuore di Cristiano Ronaldo magari spingendo lontano alcune voci di mercato che diventano sempre più insistenti. Eleganza fredda e schiena diritta. Comunicazione sobria, ma efficace. Uomo distinto e senza grandi vizi. Ha il phisique du role tipicamente sabaudo. E’ chiaro che un profilo come il suo richiama alla moneta e, in questo momento, dalle parti di Torino non sembra abbondare. Serve un ingaggio alto, ma si necessita anche di una compagine che sia puntellata. L’ex fantasista, infatti, è un ottimo gestore. Come il suo mentore Carlo Ancelotti, si caratterizza per avere un grande rapporto con i campioni. E’ in grado di farli fruttare al meglio. Si pensi a quanto visto con calciatori come Casemiro, Benzema, Marcelo e proprio CR7. Trova il modo per porli a proprio agio. La Vecchia Signora ne dispone certamente di tanti, ma vede al suo interno anche parecchi talenti che devono ancora essere formati. Tutto sommato si parla di fantasia e di sogni più che di concreta realtà.

Un tedesco in Piemonte - Un grande deluso di questo periodo è sicuramente Jurgen Klopp. E’ un profilo papabile? Anche in questo caso, servirebbe tanta “pila”. Il tedesco è sicuramente adatto a iniziare un progetto. Lo ha fatto con il BVB e lo stesso è accaduto a Liverpool. Necessita, però, di tempo perché i successi non sono mai giunti immediatamente. E’ un eccelso costruttore. In questo senso, non somiglia a Zidane o ad Allegri. Il suo gheghenpressing, però, non è troppo arzigogolato o complesso. E’ piuttosto semplice da intuire e abbisogna di giocatori che dispongano di determinate caratteristiche, ma nemmeno irrecuperabili come quelle, per esempio, del “sarrismo” o del “guardiolismo”. Tanta fisicità, maree di aerobica, velocità e buona qualità. La Juve ne dispone. Per quanto riguarda lo stile, sembra quasi non provenire dal suo Paese d’origine. Chiaramente scherzo e mi riferisco allo stereotipo del germanico rigido e molto serioso. Non è così, ma lo si può notare in tanti sportivi. Anche Micheal Schumacher o Sebastian Vettel, pur provenendo da quelle terre, hanno mostrato una personalità serena e opportunamente baldanzosa che si sposa divinamente con gran parte dell’Italia. Jurgen è un uomo davvero solare. Non ha l’eleganza e lo stile di altri colleghi. Si presente spesso con una folta, ispida barba, il capello sbarazzino, la tuta sociale con tanto di cuffia e scaldacollo. Più che l’allenatore, sembra uno dei suoi giocatori di riserva. Non propriamente lo stile sabaudo. Nelle interviste non è diplomatico. E’ un uomo molto sincero che non ha problemi nel manifestare la propria opinione. Il che, chiaramente, non cozza con l’ambiente juventino, ma è noto che una certa dose di aziendalismo è piuttosto richiesta da quelle parti. Klopp è un uomo dotato di un’intelligenza sopraffina e sarebbe in grado di combaciare perfettamente con la Vecchia Signora ma, come detto, con lui non si può avere fretta.

La sorpresa - L’ho lasciato per ultimo. L’ho fatto di proposito. Mi riferisco a Giampiero Gasperini. Il mitico allenatore dell’Atalanta che merita sicuramente un’altra chance in una big dopo l’avventura interista non terminata nel migliore dei modi. Pagò colpe non sue. Quella gloriosa armata si componeva di uomini ormai alla fine della loro esperienza con quei colori o persino con lo sport. Era un gruppo esausto e il torinese abbisogna, invece, di calciatori freschi. Necessita di persone in grado di donare tutte loro stesse per la causa. Il piemontese conosce l’ambiente bianconero avendo allenato e vinto tanto con la Primavera juventina. Valga quanto detto per Klopp e lo si mescoli a ciò che è stato sostenuto per Sarri. Gasp esige sia di tempo che di atleti con particolari peculiarità. Il tipo di calcio mostrato dalle sue squadre può avvicinarsi, per intensità, a quello delle compagini guidate dal teutonico. Anche per le idee del torinese serve abbondante qualità unita a velocità di pensiero. La nuova versione dei sabaudi, probabilmente, andrebbe leggermente rivisitata perché giocatori come Ramsey e Rabiot non mi paiono sposarsi perfettamente con determinati dictat. Altri, però, sono perfetti. Penso a Demiral, de Ligt, Bentancur, se schierato come puro interditore, Mckennie, Cuadrado, Chiesa e Kulusevksi. Ecco! In tanti ricorderanno che lo svedese militava proprio nelle giovanili della Dea allenata da Gasperini. Perché non lo ha trattenuto? Esiste qualche incompatibilità? Osservando le proiezioni di crescita del ragazzo e le sue caratteristiche, viene da pensare che non fosse quello il problema. Insomma, la base su cui partire sembra esistere. Ma l’aspetto tecnico-tattico non è sufficiente. E’ necessario che il matrimonio sia funzionante e completo sotto ogni punto di vista. Per quanto riguarda lo stile, Gasperini è sabaudo nell’animo. Non potrebbe essere altrimenti. E’ nato e cresciuto lì. Ha, però, una peculiarità che personalmente trovo vantaggiosa. Se è necessario, si lamenta. Vi spiego perché ritengo che non sia un fattore negativo. Sono stanco di sentire sostenere che occorra rimanere inerti di fronte agli errori altrui e continuare a lavorare. Non può essere una prassi. Non è un segnale di signorilità, ma di resa incondizionata. E’ chiaro che non si possa assistere a un continuo piagnisteo, ma Giampiero non è così. Se si pensa, però, che di debba costantemente accettare, il rischio è di essere considerati gli zimbelli a cui si può appioppare ogni sorte di destino. Tanto si sta muti e si va avanti. Eh no! Non può funzionare così. Se essere eccessivamente educati significa perdere peso e valore, allora non ci sto! Benvengano, quindi, i tecnici alla Mourinho che, nell’anno del triplete interista, si esibì in proteste eclatanti come il simbolo delle manette. Sono necessarie per concentrare l’attenzione mediatica e, nel 2021, la comunicazione risulta fondamentale. Gasperini ha poi dimostrato di sapere gestire perfettamente un gruppo. Quanto osservato con i casi Gomez e Ilicic è un esempio perfetto di ciò a cui mi riferisco. Pareva impossibile che il Papu potesse lasciare Bergamo, invece, non ha accettato alcune scelte tecniche. Ha deciso di evadere le nuove richieste del suo mister. Non è stato possibile trovare un punto di incontro e ha lasciato. Questo non ha fornito sicuramente una bella immagine della situazione generale. Un allenatore non è un dittatore. Ma sia Giampiero che la società sono stati in grado di chiudere questa brutta parentesi senza colpo ferire. Non era semplice. Non si dimentichi, poi, che l’Atalanta è la squadra maggiormente europea del lotto italico e Guardiola paragonò una sfida alla Dea con un appuntamento dal dentista. Non male come biglietto da visita…

Tutto sommato, quindi, credo che per potenziale, possibilità economiche, idea di calcio e situazione attuale, Gasperini potrebbe essere davvero il profilo giusto per la Juve. Pirlo permettendo, naturalmente...