Trascinato dalle giocate del trio delle meraviglie Mbappè-Di Maria-Neymar, il PSG di Thomas Tuchel si appresta a giocare la prima finale della storia del club. Risultato che appare quasi "scontato" vista la valanga di milioni spesi negli ultimi anni e che probabilmente, proprio per questo motivo, sembra arrivare addirittura in ritardo rispetto ad una ideale tabella di marcia.

Detto questo è bene ricordare che quello parigino è solamente il quinto club transalpino ad approdare all'atto finale della Coppa dei Campioni/Champions League: prima di Neymar & soci infatti, fino a lì si erano sipinti solo lo Stade Reims, agli albori della competizione, il Saint-Etienne, l'Olympique Marsiglia (unica francese, fino ad oggi, ad alzare al cielo la Coppa dalle grandi Orecchie) ed il Monaco.

Inoltre, non bisogna dimenticarsi che il Paris Saint-Germain è una società relativamente "giovane" nel panorama del calcio europeo. Un club fondato nel 1970 quando, per intendersi, il Feyenoord iniziava il dominio olandese del calcio totale, aprendo la strada all'Ajax di Cruijff e Michels, capace di infilare un tris di successi irripetibile tra il 1971 ed il 1973; quando, ad esempio, l'Italia del pallone aveva già preso posto tra le grandi d'Europa da una decina d'anni alternando il Milan di Capitan Cesare Maldini, alla Grande Inter di Moratti ed Herrera. Una squadra che la Ligue 1 l'aveva vinta solamente due volte, tra gli anni Ottanta e Novanta, prima dell'avvento degli emiri (con i quali sono arrivati 7 dei 9 "Scudetti" in bacheca) e che prima del 2011, anno di insediamento del fondo qatariota, al di fuori dei propri confini era riuscito a conquistare una sola Coppa delle Coppe. Anno di grazia 1996: in porta capitan Bernard Lama, in mezzo al campo Youri Djorkaeff ed il brasiliano Raì. Un'altra era geologica.

Certo, il raggiungimento della Finale è stato un obiettivo (finalmente) raggiunto e molto, ma molto costoso per Nasser Al-Khelaifi. Ovviamente, inutile nasconderlo, la stragrande maggioranza del tifo neutrale ha sempre salutato con un misto di simpatia e goduria le varie eliminazioni degli ultimi anni (vedi l'incredibile 6-1 subito a Barcellona), non fosse altro perché una squadra costruita con fondi più o meno illimitati, cercando di completarla passo dopo passo, Campione dopo Campione, figurina dopo figurina alla stregua di un album Panini, attira su di sé, automaticamente, un sottile velo di antipatia (sportiva, si intende).

Già, ma quanto è costato? I numeri sono, oggettivamente, impressionanti. Dal 2011 ad oggi sulla panchina del PSG si sono seduti in quattro, da Carlo Ancelotti a Tuchel, passando per Blanc ed  Emery e nel frattempo lo scalo parigino Charles de Gaulle si è popolato, ogni estate, di Campioni arrivati da ogni parte d'Europa. La lista di nomi è incredibile ed incredibilmente lunga: da Pastore ad Icardi, passando per Thiago Motta, Lavezzi, Ibra, Beckham, Marquinos, Di Maria, Neymar, Dani Alves, Mbappè, Buffon... Una collezione di figurine decisamente rare ed altrettanto care. Il faraonico mercato messo in piedi dai signori del Qatar infatti, ha portato ad un esborso (stando ai dati di transfermarkt.it) di ben 1254 milioni di Euro (!!) in nove stagioni, a fronte di "soli" 444 milioni di entrate (alla faccia del Fair Play Finanziario).
Insomma, per il PSG è arrivato il momento della verità, anche se l'ostacolo che dovrà aggirare domenica sera è tutt'altro che semplice da aggirare. Nel frattempo però, andiamo a spulciare negli archivi per conoscere un po' meglio le squadre francesi che già hanno vissuto quell'atmosfera.
All’inizio fu lo Stade Reims. Stagione 1955/56, prima edizione. I biancorossi, che in bacheca potevano già esporre tre Campionati ed una Coppa di Francia, nel 1953 vinsero anche la quinta edizione della Coppa Latina, torneo di maggior prestigio europeo fino alla nascita della Coppa dei Campioni, che prevedeva una sorta di final four tra i club campioni di Francia, Italia, Spagna e Portogallo.
Lo Stade Reims che arriva in finale è guidato in panchina da Albert Batteaux, ex centrocampista dei Rémois, che nella sua carriera da allenatore arriverà a conquistare 8 campionati di Francia ed il terzo posto mondiale con i Galletti nel 1958. In campo le stelle sono Michel Hidalgo e Raymond Kopa. Il primo verrà ricordato per il “calcio champagne”, con Platini in campo, espresso dai suoi Bleus a cavallo degli anni Ottanta, che valse la semifinale a Spagna ‘82 e soprattutto il titolo di Campione d’Europa del 1984; il secondo è semplicemente uno dei migliori attaccanti di sempre. Pallone d’Oro 1958 e vincitore di tre edizioni della Coppa dei Campioni con la camiseta blanca del Real Madrid.
Real che vince quella finale rimontando per ben due volte. Reims avanti di due dopo appena 10’; Madrid che la rimette in piedi grazie a due mostri sacri come Di Stéfano e Rial. Hidalgo rimette la freccia ma non basta: prima da Marquitos e poi ancora Rial danno il via alla festa madrilena.

Le due squadre si ritrovano contro tre anni più tardi. Il grande ex della sfida, Kopa, indossa la casacca bianca numero 7 e con Di Stéfano, Gento e Rial forma una delantera che non lascia scampo, ancora una volta, agli uomini di Batteaux. Che nel frattempo ha consegnato la numero 9 a Just Fontaine, uno capace di mettere insieme 13 gol in una sola edizione dei Mondiali. Svezia 1958. Dopo di lui, nessuno mai.

Nel 1976 è il Saint-Etienne a contendere al Bayern Monaco la Coppa dei Campioni. I biancoverdi sono allenati da Robert Herbin che, destino vuole, rileva la panchina proprio da Batteaux. Riporta ai vertici del calcio francese il club per il quale ha giocato per oltre venti stagioni, ed in campo si affida alla coppia del gol formata dai fratelli Revelli, Patrick ed Herve, e soprattutto all’estro di Dominique Rocheteau.

“L’Ange Vert”, l’Angelo Verde, maglia numero Sette sulle spalle, è stato uno dei talenti più amati ed ammirati del calcio francese, e non solo. La sua assenza in Finale, causa infortunio, fu determinante. Gioca gli ultimi otto minuti della sfida, troppo poco per incidere, abbastanza per spaventare le Leggende del Bayern. Finisce uno a zero per i tedeschi, decide una punizione di Roth e Franz Beckenbauer può alzare al cielo, da capitano di una squadra mostruosa formata dai vari Sepp Maier, Gerd Muller ed Uli Hoeness, la terza Coppa consecutiva.

E infine c’è il Marsiglia. Due finali disputate in tre anni e, fino ad oggi, l’unica traccia transalpina sull’albo d’oro della Champions League. Ed è proprio nella prima edizione della nuova competizione che l’OM centra la finale. Nel maggio del 1991 però, al San Nicola di Bari è l’errore dal dischetto di Manuel Amoros, dopo 120’ senza reti, a consegnare il trofeo ad un’altra splendida meteora della competizione. La Stella Rossa di Mihajlovic e Jugovic, di Savicevic e Prosinecki. Ultimo bagliore della meravigliosa utopia jugoslava.

Un boccone amaro da digerire per “Raymond-la-Science” Gohetals, il mago della panchina marsigliese. Anonima carriera da portiere prima, semplicemente il tecnico belga più vincente della storia poi, che già a fine anni Settanta ha conquistato una Coppa delle Coppe e due Supercoppe Europee con l’Anderlecht. Ma ancora peggio andrà al capitano della sfida di Bari: Jean-Pierre Papin.

JPP, che comunque “si consola” con il Pallone d’Oro del 1991 conquistato davanti a Lothar Matthaeus e Darko Pancev, l’anno successivo si trasferisce a Milano, sponda rossonera, ed è una scelta che pagherà a caro prezzo due anni più tardi.

OM e Milan si ritrovano, infatti, una contro l’altra all’Olympiastadion di Monaco di Baviera il 26 maggio 1993, dopo il misfatto dei Quarti di Finale del 1991. Gara di ritorno disputata al Velodrome, dopo l’1a1 di San Siro. A 3’ dalla fine il Marsiglia conduce grazie al gol di Waddle, ma uno dei riflettori si spegne. Lo svedese Bo Karlsson sospende la gara e pochi minuti dopo, Adriano Galliani decide di ritirare la squadra. Morale: sconfitta a tavolino per i rossoneri, squalificati per un anno dalle competizioni europee.

A Monaco invece è un gol del centrale difensivo Basile Boli a regalare il titolo al Marsiglia. Didier Deschamps è il Capitano di una squadra che schiera Barthez in porta, Angloma e Desailly in difesa, Abedì Pelè, Rudi Voeller ed Alen Boksic in attacco. Una vittoria incredibile, inaspettata. Talmente inaspettata che ancora oggi, a ventisette anni di distanza, resta avvolta in una nube fatta di doping e sospetti.