Facciamo un gioco, con la massima obiettività del caso. Immaginate di ritrovarvi in una squadra che giocoforza dovrà scendere in campo con sette calciatori contati, più l'eventuale incursione solidale di un massaggiatore costretto a lasciare anzitempo il terreno di gioco causa infortunio, mentre il vostro avversario si presenta al completo con la miglior formazione possibile, come esige il regolamento. Dopo dieci minuti, vi ritrovate già sotto di 6 goal causa evidenti problematiche emerse sul campo. Preferireste che l'avversario continui nel suo intento, ovvero portare a casa la posta piena premendo sull'acceleratore senza mai distrarsi, oppure che vi guardi con pietà, pensando che siete scarsi, incapaci di poter reagire in mancanza dei mezzi necessari, quindi che si fermi, facendo melina a centrocampo per i restanti ottanta minuti, perché non vale la pena proseguire?

Cuneo-Pro Piacenza è terminata 20-0, risultato che porta a scrivere nuovi record tra i campionati professionistici italiani, ma soprattutto lascia un nuovo indelebile segno sullo stato attuale del nostro movimento calcistico, cui rappresentanti sono costretti a vedere nella LegaPro l'emblema del fallimento totale. La prima regola è avere sempre rispetto per l'avversario, dando sempre il massimo sul terreno di gioco e non fermarsi mai. Semmai deve pensarci l'arbitro per manifesta inferiorità. Il Cuneo - in settimana subirà altri punti di penalizzazione per inadempienze finanziarie - non ha colpe, non aveva bisogno di inventarsi stratagemmi di solidarietà; ha onorato il proprio impegno per rispetto nei confronti dell'avversario, per quanto possa sembrare paradossale. Fermarsi è peggio, quella è umiliazione: chi pratica o ha praticato sport a certi livelli, lo sa. E non avrebbe avuto senso schierare altrettanto sette calciatori, senza staff tecnico, con il proprio capitano a svolgere l'incarico di allenatore per un giorno al pari dell'avversario. Il club piemontese avrebbe perso il match a tavolino.

Le colpe risiedono in una società che ha permesso di mandare sette ragazzi allo sbaraglio totale, in una LegaPro che ha permesso questo scempio e in una FIGC connivente. Le istituzioni calcistiche preferiscono crogiolarsi nell'illusione che la Serie C sia una straordinaria fucina di giovani talenti, pronti a conquistare la ribalta, quando nessuno dei partecipanti e tra gli organizzatori dei campionati era ancora a conoscenza dieci giorni fa, in pieno svolgimento dei tornei, del numero di squadre che saliranno il Serie B. Lo scandalo non è nel risultato, bensì nella solita retorica che parte da lontano, quando l'allora presidente di Lega Pro Gabriele Gravina, ora al vertice del calcio italiano, promise che non ci sarebbero stati più altri casi Parma e Modena. Sempre per Gravina, il reale problema della Serie C  problema sussiste nell'introduzione delle seconde squadre, dimenticando che ancora una volta i club incombono in punti di penalizzazione a campionato in corso, rivoluzionando le classifiche, mentre il Matera viene addirittura escluso.

Ora è arrivato il momento di fermare questa farsa per il bene dello sport e del calcio italiano, che non gode di buona salute e non può trarre vantaggio dall'arrivo di Cristiano Ronaldo come se riflettesse su tutto il movimento. Non è più il momento di nascondersi dietro le solite comunicazioni da frasi fatte o gli appelli sul buon senso, quando le isituzioni calcistiche permettono a una società, il Pro Piacenza, a mandare in campo senza alcun ritegno sette ragazzi - il capitano Cirigliano nella doppia veste di giocatore-allenatore -, sapendo cosa sarebbe successo in un surreale pomeriggio di pallone. Cos'altro dovrà ancora succedere affinché possa esserci un serio intervento di tutta la LegaPro, a cominciare dal presidente Ghirelli, in modo da salvaguardare quel che rimane della lealtà sportiva? Perché non fu fermata un club che non riesce a fallire con dignità già all'indomani dell'impegno casalingo contro l'Alessandria?

La LegaPro gestisce il terzo livello del campionato italiano di calcio, l'ultimo su scala piramidale a carattere professionistico. Ora ha l'obbligo morale di dire basta.

 

Andrea Cardinale