Chi di voi non ricorda la leggendaria "Classe del 1992"? Quel gruppetto di giovani ed aitanti calciatori che trascinò - a cavallo dei mitici anni novanta - il Manchester United sul tetto d'Inghilterra (e anche d'Europa). Per quei pochi di voi che ancora non abbiano messo bene a fuoco, mi riferisco ai fratelli Neville (Gary e Phil), a Nicky Butt, a Paul Scholes e al fenomenale Ryan Giggs: ognuno di loro - compreso il più famoso della nidiata, David Beckham - diede il proprio contributo affinché lo United dominasse in lungo e in largo. La data 1992 indica l'anno in cui questi fenomeni trascinarono le giovanili dei "Red Devils" alla conquista della prestigiosa FA Youth Cup (la FA Cup riservata ai ragazzi), indossando per la prima volta quella fiammante divisa rossa da cui non si sarebbero mai più separati.

Quello guidato da Sua Maestà "Sir" Alex Ferguson fu un autentico squadrone: vinsero una miriade di campionati e coppe, proprio grazie a quei talenti sbocciati improvvisamente come primule in primavera. Tra questi trofei vinti si può scorgere anche l'ossessione juventina, la celebre "coppa dalle grandi orecchie". Molti di voi ricorderanno a tal proposito la finale di Champions del '99 contro il Bayern Monaco nella splendida cornice del "Camp Nou": le reti di Solskjær e Teddy Sheringham rimontarono proprio sulla sirena il primo ed effimero vantaggio tedesco. Fu proprio quella la partita che consacrò definitivamente agli dèi del football la leggenda de "The Class of '92". 

Oggi quei bravi ragazzi - no, non è un riferimento al film capolavoro di Martin Scorsese - hanno qualche capello bianco in più, dovuto alle stagioni che passano inesorabili, ma le ambizioni sono rimaste quelle di un tempo. Un tempo in cui correvano dietro ad un pallone e facevano godere folle di tifosi festanti e pronti a tutto pur di assicurarsi il proprio "posto al sole": birra fresca in una mano, un ipercalorico (e delizioso) "meat pie" nell'altra, seggiolino in prima fila al mitico "Old Trafford" e rutto libero (ah no, quello era Fantozzi!). Oggi quei bravi ragazzi sono sempre gli stessi, non sono cambiati di una virgola: sono ancora grandi amici, ridono, scherzano, vanno allo stadio assieme, soltanto che...Soltanto che ora le partite non le giocano, bensì le guardano. E non sono più spettatori privilegiati ad "Old Trafford", ma dell'infinitamente più piccolo "Peninsula Stadium" di Salford.

Salford è una ridente città di quasi centomila abitanti situata nel Greater Manchester ("Grande Manchester"), area metropolitana dell'Inghilterra settentrionale. Questa piccola cittadina - distante un tiro di schioppo da Manchester (circa tre miglia) - è in rapida espansione, proprio come la squadra locale: il Salford City Football Club. "The Ammies" - questo il loro particolare nickname, derivato dalla denominazione originale del club: "Salford Amateurs" - sarebbero rimasti a marcire nelle paludose serie minori se non fossero intervenuti i membri della "Classe del 1992". La nostra storia ha inizio nel non lontano 2014, quando Giggs, Scholes, Butt e i fratelli Neville decisero di comprare questa sconosciuta squadra di calcio, spartendosi la torta in fette eguali: il 10% delle azioni a testa. "Ma com'è possibile? 10, moltiplicato per i 5 co-proprietari, fa 50! E il restante 50?" Giusta osservazione, carissimo lettore. Ma ci arriveremo, se avrai pazienza di continuare la lettura di questo articolo.

Il Salford City è la classica "squadra di paese", composta da dilettanti che giocano a calcio nei ritagli di tempo che il lavoro concede loro: c'è chi fa il meccanico, chi il salumiere; altri fanno gli impiegati, i banchieri, gli elettricisti; la maggioranza lavora nelle numerose fabbriche della città. Sì, perché Salford - come Liverpool, Manchester, Sheffield, insomma le realtà urbane del nord - è una realtà poggiante sull'industria (soprattutto acciaio) e i cui abitanti, operosi ed intraprendenti, si danno un gran da fare. Ecco spiegati i motivi della crescita esponenziale sia della realtà urbana, sia di quella calcistica di Salford. Quando venne acquistata da Giggs & Friends, il Salford City militava nella "Premier League Division One", ottavo livello della gerarchia calcistica inglese. Un paragone alle nostre latitudini? Il campionato di Prima Categoria. È facilmente intuibile quale gioia, mista a stupore, abbiano provato i supporters dei "The Ammies", ma anche a quali rischi siano andati incontro i nuovi soci di Manchester: rischi ampiamente superati dalla loro sconfinata ambizione e dal loro genuino amore per questo sport.

Nella stagione succitata, dopo un inizio complicato, il club allenato da Bernard Morley ottenne un'insperata promozione al primo colpo nella "Premier League Premier Division", che equivale (sempre molto approssimativamente) al campionato di Promozione italiano. Fu la prima pietra di una rapidissima ascesa: altre due promozioni nei successivi tre anni conducono il Salford City fino alla "National League" (Serie D), a cui prenderà parte dal prossimo sabato con l'onore/onere di favorita assoluta. Per inciso, la "D" inglese non è divisa in gironi territoriali come da noi: vi è un'unica classifica e al termine della stagione soltanto due club ottengono la promozione nel professionismo. Avrete facilmente intuito quanto sia difficile scalare la piramide del british football. Ed avrete capito altrettanto velocemente quali sforzi - economici in primis - abbiano fatto i co-proprietari ex campioni del Manchester United per raggiungere i propri obiettivi: ma arriveremo anche a questo. Prima vorrei riprendere il discorso sulle quote societarie lasciato aperto in precedenza.

Una svolta ancor più clamorosa per le sorti di questo minuscolo club avvenne nel 2015/2016: il 50% delle azioni finì infatti nelle solidissime mani di Peter Lim, magnate singaporiano dal patrimonio stimato in 2.5 miliardi di dollari, proprietario degli spagnoli del Valencia. Il miliardario venne convinto ad investire dall'amico Ryan Giggs,  che gli prospettò un piano difficile ma ultra-ambizioso: professionismo entro il 2020 (e direi che ci siamo, essendo la League Two ad una sola categoria di distanza); nientepopodimeno che la Premier League (sì, avete capito bene!) come obiettivo ultimo da centrare massimo entro il 2030. Degli ottimi argomenti, che hanno spinto Peter Lim e i suoi soci a non badare a spese.

Spese che recentemente hanno fatto storcere il naso a non pochi addetti ai lavori, intimoriti dalla crescita del Salford City e, al contempo, infuriati (e un po' invidiosi) per l'ingente disponibilità economica del club. Una società che si rispetti non può prescindere da uno stadio all'altezza. Ed eccovi accontentati: 6 mesi fa ha aperto i battenti il nuovo "Peninsula Stadium", gioiellino polifunzionale da cinquemila posti, tutti a sedere (in Inghilterra non si scherza su tali questioni), che farebbe invidia alle nostre squadre professionistiche...figurarsi a quelle dilettantistiche, che uno stadio così se lo sognano!

L'escalation di critiche nei confronti della politica gestionale del Salford City ha subito un'impennata dopo il recente calciomercato. Sono stati acquistati calciatori che con i dilettanti c'entrano poco o nulla: spiccano Adam Lloyd - trequartista ventiseienne protagonista assoluto del Peterborough United, squadra militante in League One (ex Serie C1 in Italia) - e soprattutto l'irlandese Adam Rooney, proveniente dall'Aberdeen (massimo campionato scozzese!) al quale è stato offerto un contratto da 4 mila sterline settimanale, cifra stratosferica ed illogica a questi livelli. A questi due veri e propri fuoriclasse per la "National League" si sono aggiunti anche Nathan Pond, esperto centrale difensivo preso dal Fleetwood (più di 500 presenze tra i pro) e Danny Whitehead, anch'egli con molti anni tra Championship, League One e League Two sul groppone.

Una squadra pazzesca, assolutamente fuori categoria. Per farvi rendere l'idea - fatte le debite proporzioni - si potrebbe azzardare un parallelismo con il nostro paese: è come se la Folgore Caratese (Serie D, girone B, in mano al mitico Michele Criscitiello di Sportitalia) comprasse in un colpo solo Terzi ed "El diablo" Granoche dallo Spezia, oppure Ardemagni e D'Angelo dall'Avellino. Capite bene che, con elementi del genere, la squadra lombarda vincerebbe il girone a mani basse: ed è proprio ciò che farà quasi certamente il Salford City, centrando così l'obiettivo della League Two (ex Serie C2) in anticipo di due anni rispetto alla tabella di marcia. Poi, spalancatesi magicamente le porte del professionismo, il piccolo, grande Salford punterà  diritto verso quella Premier League che solo 5 anni fa sarebbe stata una chimera, una meta irraggiungibile, e che ora invece appare come un puntino all'orizzonte che diventa sempre più grande man mano che il naufrago si avvicina alla sua isola di salvezza.

Invio un appello a tutti voi: se un giorno il Salford City dovesse realmente centrare l'obiettivo della Premier League, ricordatevi di questo articolo-profezia e rendetene il giusto omaggio attraverso una piccola donazione al mio IBAN. Scherzi a parte, quei bravi e talentuosi ragazzi della "Classe del '92" hanno fatto già più di quanto fosse in loro potere, ma è la loro sfrenata ambizione a muoverli e a guidarli verso il loro sogno nel cassetto: tornare ad "Old Trafford", il "Teatro dei Sogni", a casa loro, guidando il Salford City alla conquista del derby cittadino contro il Manchester United. Una rivisitazione pallonara dell'episodio biblico di "Davide e Golia". Un sogno forse irrealizzabile. Ma, come diceva il filosofo Arthur Schopenhauer: "La vita e i sogni sono pagine di uno stesso libro. Leggerle in ordine è vivere, sfogliarle a caso è sognare".