Alessandro Bassi nell’articolo dedicato alla sospensione del campionato di calcio durante la seconda guerra mondiale, pubblicato il 14 marzo nella rubrica “la leva calcistica del…”sucalciomercato.com, afferma tramite una fondata documentazione storica, che il campionato di calcio continuò anche se in forma sporadica e in forma ridotta sotto la devastante azione dei bombardamenti.

Il filosofo francese Paul Ricoeur afferma che il testo dà a pensare. Il suo pensiero vuole illustrare che l’efficacia di un testo è data dalla sua capacità di mettere in moto il lettore, di stimolarlo verso la ricerca di nuovi significati, di permettergli di aprirsi a nuovi orizzonti di senso, dotandolo di nuove possibilità per comprendere e interpretare la realtà.

Dunque l’articolo di Bassi mi ha suggerito di mettere in relazione il tempo di guerra con quello che stiamo vivendo noi oggi a causa del virus mortale, per comprendere come il calcio ha risposto alle esigenze del paese e come ha saputo reagire nell’immediato dopoguerra, e soprattutto per cercare di capire quale strategia il mondo del pallone metterà in campo per risollevarsi una volta terminata l’emergenza sanitaria.


Negli anni dell’immediato dopoguerra e di quelli avvenire e precisamente dal 1945 al 1972, il calcio divenne moderno e fu caratterizzato dall’affarismo.
Alla fine della guerra l’Italia era un paese in ginocchio, era un paese decimato dal punto di vista demografico e un paese ridotto alla fame dal punto di vista economico sociale. Queste dure conseguenze si fecero sentire anche nel mondo del calcio, che rimase orfano di uomini e di giovani. Il primo problema da affrontare per il calcio italiano, come per quello di molti stati europei, fu quello di colmare il vuoto generazionale che la guerra aveva causato arruolando un gran numero di giocatori di calcio. Ogni paese cercò la sua soluzione in relazione alla condizione economica sociale e politica al proprio interno, e l’Italia sebbene si ingegnò nel cercare di rimettere in auge il suo campionato professionistico, intraprese una strada che non gli permise di sviluppare appieno le potenzialità del calcio nostrano.
Il vero cancro del calcio italiano fu l’inflazione mercantilistica che non permise alla Federazione Italiana di poter creare un sistema organizzato e veramente tutelato. Con l’arrivo dei soldi prevalsero gli interessi privati dai club, i cui presidenti vedevano esclusivamente come una fonte di guadagno, a danno degli interessi del calcio nazionale. L’effetto immediato della visione anarchica del calcio si ripercuote anche in ambito tecnico, ovvero sulla capacità del nostro calcio di affermarsi in ambito internazionale, e ciò è testimoniato dagli scarsi risultati ottenuti dalla nazionale di calcio di allora.

Il primo a rendersi conto della deriva anarchico-affaristica del calcio italiano fu Vittorio Pozzo, che a tal proposito dichiarò: “fu allora […] che si commisero una serie di errori, parte dei quali si sta ancora scontando. Dirigenti privi di competenza, pieni di soldi, imbottiti di aspirazioni e di ambizioni, erano affluiti al gioco ed entrati nell’orbita delle diverse società. I vecchi dirigenti, quelli che possedevano una certa esperienza in materia, che avevano mentalità da veri sportivi, in parte erano morti – una vera strage di gente anziana fece la guerra – e in parte si erano allontanati. E fra i nuovi, affiorò dapprima, prese piede in seguito, prevalse infine, la tendenza a risolvere tutti i problemi della creazione, dell’esistenza e del funzionamento di una squadra, puramente col denaro.”

Oggi il campionato di calcio italiano è chiamato a differenza di allora a una pausa forzata per il problema del coronavirus. La scelta è di chiudere gli stadi e di sospendere il campionato, la Champions e l’Europa League e si posticipare gli europei è stata una decisone sofferta che finalmente le principali organizzazioni del calcio nazionale e internazionale hanno deciso di prendere. Con la salute non si scherza!

E così il calcio si è fermato e mobilitato nel sostenere i medici e tutto il comparto medico sanitario nazionale nella raccolta fondi per l’acquisto dei ventilatori da donare ai reparti di terapia intensiva. Tanto di cappello e onore a tutti quelli che hanno dimostrato sensibilità all’emergenza e solidarietà nei confronti del popolo italiano.

La pausa forzata dal virus speriamo sia utile al mondo del calcio per mettere ordine al proprio interno e trovare le forze giuste per ripartire non appena sarà possibile.

Di certo di fronte alla minaccia del virus la federazione e la lega non hanno deciso in modo univoco e tempestivo, ma sono prevalsi come al solito egoismi di parte. Di fronte a una tale minaccia si è perso tempo nel discutere se far continuare il campionato giocando a porte chiuse, intanto in Europa si giocava tranquillamente davanti ad un pubblico festante e spensierato. La Uefa e la Fifa ignoravano il problema. In Figc intanto che l’emergenza aumentava si discuteva come portare a termine il campionato, vennero prospettate diverse soluzioni: non assegnare la vittoria a nessuno, proposta inaccettabile per i club in testa alla classifica, fare i play-off, ipotesi troppo corretta e sensata per i nostri club, abituati a litigare, unica ipotesi percorribile, quindi, riprendere il campionato appena possibile e posticipare l’europeo e giocare nel periodo estivo.

Altro problema il danno economico che questa pausa forzata sta causando suoi bilanci delle società. Grava su di essi la voce stipendi dei giocatori. Cosa fare? I giocatori vengono trattati come precari, ovvero gli viene sospeso il salario mensile perché non si allenano e non giocano come da contratto. Che consolazione, ora possono dirsi uno di noi.

Ma le società presenteranno al governo diverse proposte per cercare di ripartire nel modo migliore, alcune delle quali riguarderanno: la liberatoria delle sponsorizzazioni delle scommesse, la modifica che regola i diritti TV, una semplificazione della burocrazia per chi vorrà costruire nuovi stadi. E che siano i club a formulare queste richieste non fa che ribadire quanto aveva messo in evidenza Vittorio Pozzo agli albori del calcio moderno, ovvero che gli interessi privati spadroneggiano sugli interessi collettivi, in un momento tra l’altro dove avremmo bisogno di far prevalere la visione collettiva su quella privata. Infatti la Figc proprio in questo frangente si è dimostrata più debole che mai, non ha preso una posizione chiara e decisa sul da farsi, ma atteso che fossero i club a decidere o il governo. E intanto che il virus si diffondeva sugli organi di informazione sportivi si assisteva al solito teatrino dello scarica barile su chi dovesse cadere la responsabilità di fermare tutto. Per fortuna che nella situazione d’emergenza sanitaria che stiamo vivendo lo spirito del buon senso ha prevalso su quello egoistico del denaro.

Ma da Milanistaconvinto a quale prezzo ripartirà il calcio e soprattutto quale conto le società di calcio faranno pagare al governo in merito alla sospensione del campionato? E mi domando ancora se ci fosse Vittorio Pozzo, quale messaggio lungimirante lancerebbe ai padroni del calcio nazionale, europeo ed internazionale per risollevarsi dalla situazione di emergenza che il mondo del pallone sta vivendo?






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