Nell’estate del 1987 il Presidente del secondo scudetto giallorosso Dino Viola con una decisione tanto inaspettata quanto clamorosa cedette al Milan di Sacchi uno dei pilastri della squadra, un certo Carlo Ancelotti. Ancelotti era arrivato alla Roma dalla serie C (Parma) che era solo una grande promessa. Una intuizione geniale della Roma nei primi anni 80 a seguito dell’avvento di Viola alla Presidenza. Contribuì pesantemente alla vittoria dello scudetto dell’83 e a portare quella squadra in finale di Coppa Campioni che perse purtroppo ai rigori in modo tristissimo contro il Liverpoool. Ancora oggi aleggia un certo mistero su quella cessione. Perché la Roma di allora non era in cattive acque finanziarie, non aveva da soddisfare alcun requisito di Fair Play Finanziario così come si richiede oggi e aveva un Presidente piuttosto spavaldo nell’affrontare lo strapotere delle squadre del nord. Nessuno si aspettava che un giorno non troppo lontano un giocatore così fondamentale per il centrocampo di allora (come Falcao del resto) sarebbe stato ceduto ad una diretta concorrente per i piani altissimi della classifica. Il legame con i tifosi era estremamente forte, la stima di tutti altissima, la certezza di vederlo ancora a lungo in giallorosso, forse e anzi probabilmente per sempre, inossidabile. Ancelotti ebbe una brillantissima carriera in rossonero e finì per vincere diversi trofei che a Roma non avrebbe mai vinto rimanendo. Quello che è certo è che il suo addio a Roma ebbe un effetto depressivo immediato e segnò l’inizio di un declino irreversibile della Presidenza Viola. Estate 2016, sono passati 29 anni da allora. Con una decisione forse più annunciata e nell’aria e probabilmente inevitabile (almeno così si vuol far pensare) ma altrettanto clamorosa, se ne va un altro pilastro del centrocampo: Miralem Pjianic da cinque anni alla Roma, primo e fondamentale acquisto della nuova gestione Americana. Anche lui ceduto ad una concorrente italiana già di suo attrezzatissima e lontana in classifica. Chi ha vissuto il “trauma” Ancelotti e lo pensava irripetibile oggi si trova difronte ad un deja vù che avrebbe molto volentieri evitato. Il danno anche stavolta non è tanto per la perdita del giocatore in sé (che pure è grande) ma per il segnale di profondo malessere che la vicenda rappresenta. Smarrimento. Il pensiero corre subito al dopo, a quello che accadrà a seguito di questa operazione. I sogni di gloria che sembravano ad un passo o comunque realizzabili con qualche astuta operazione di un DS sempre sulla breccia e da sempre grande “inventore” appaiono ridimensionati. Stavolta l’invenzione non è riuscita ed una realtà assai prosaica prende il sopravvento nella sua rude franchezza. E ciò probabilmente non solo agli occhi dei tifosi ma della squadra stessa, che improvvisamente privata di uno dei suoi ingranaggi migliori si interroga sul suo futuro. Non è un caso che a pochi minuti dalla notizia della cessione un altro giocatore ritenuto fondamentale cominci a dare segni di disaffezione alludendo alle lusinghe che provengono da oltremanica. Altrove si leggono tentativi auto-consolatori, sulla discontinuità del giocatore sulla sua incapacità di giocare partite importanti, cosa vera fino allo scorso anno che non tengono in conto però dei i notevoli progressi di questa stagione e quanto sia stato importante nello sbloccare partite complicate contro grandi squadre o come abbia a volte risolto alcune partite partendo dalla panchina. Viste le analogie insomma c’è da augurarsi che il dopo Pjianic sia molto diverso dal dopo Ancelotti. Ma il timore rimane. A chi di dovere cancellarlo.