Ci risiamo.
La 32ª edizione della Coca-Cola Supercup, ergo Supercoppa italiana, tra Juventus e Lazio si disputerà  al "King Saud University Stadium" di Riyadh (Arabia Saudita). Il fiume delle polemiche dell'anno scorso non è servito a nulla.

Ancora una volta il calcio si è piegato al solito, immancabile dio danaro.
Gli sponsor oramai dettano legge.
Non si chiama manco più Supercoppa italiana, ma Coca Cola Supercup. Per intenderci.

Tutto legale e legittimo ci mancherebbe, ma dal momento in cui si dà prevalenza assoluta allo sponsor, a chi apre il portafoglio, le conseguenze sono anche queste. Stravolgere l'identità di una tradizione oramai snaturata, diventata vetrina di marketing per il calcio italiano che avrebbe necessità di altri mezzi e altre vedute per rilanciarsi che di questi mezzucci. E questa vetrina per la seconda volta consecutiva si svolge in quel Paese ostile ai diritti umani che avrebbe come motto tipico una ragazza non possiede altro che il suo velo e la sua tomba. Recentemente la vedova  di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul e fatto a pezzi, cosa che ha indignato il mondo per poi scordarsi di tutto, aveva chiesto all'Italia di dare un segnale politico importante, di non giocare. 

Si giocherà con la scusante, solita, che grazie a queste iniziative Paesi come l'Arabia miglioreranno le loro condizioni. Forse concederanno un qualcosina, perchè proprio costretti, ma si tratta non di conquiste, ma di prese in giro colossali verso i diritti umani e le vittime dei regimi che subiscono queste violazioni. E noi ne siamo complici, per l'ennesima volta e tramite lo sport, tramite il calcio.

E poi tutti a riempire stadi e cartelloni pubblicitari con i soliti immancabili slogan che oramai non dicono più niente a nessuno, perché stanno diventando pubblicità che si perde nel mondo della pubblicità, un contorno al mondo del calcio, niente di più.