“Da anni mi chiedo cosa mi spinga ancora a giocare. Questa battaglia interiore mi porta forti motivazioni. Se avessi vinto la Champions sarei svuotato, il fatto di non averla ancora vinta mi sprona” Gianluigi Buffon

Premetto che questo non è un articolo ironico nei confronti della Juventus: non ne avrei motivo, essendo, come potete vedere dalla mia pagina, un grande tifoso bianconero. Proprio in virtù della mia fede calcistica, come tutti i miei “colleghi” di tifo, un dubbio mi assale, mi tormenta, attanaglia la mia visione del calcio: “Perché la Juve non vince la Champions?” Proverò a rispondere, basandomi sulle mie opinioni personali e sulle ultime partecipazione della Vecchia Signora alla massima competizione europea, e mi scuso in anticipo per la lunghezza del pezzo.

La Juventus ha in bacheca, e decido saggiamente di lasciare a casa i due scudetti revocati, perché non è mia intenzione accendere polemiche in questo articolo, 36 scudetti, 13 Coppe Italia, 8 Supercoppe Italiane, 1 Coppa delle Coppe, 3 Coppe Uefa, oltre a numerosi trofei minori o non più disputati. Poi scorri il palmarès e leggi: 2 Champions League, anzi Coppe dei Campioni, perché così si chiamavano durante gli ultimi trionfi a strisce bianconere. Inevitabilmente sei portato a pensare: “Evidentemente avrà sempre dato maggiore importanza al campionato, visto l’enorme moli di scudetti, trascurando la coppa dalle grandi orecchie”. Nulla di più sbagliato: la Juventus ha all’attivo ben 9 finali, oltre che altri numerosi piazzamenti nelle fasi finali della competizione, che la collocano al quinto posto nella classifica all-time, basata sulle vittorie, i pareggi e le sconfitte ottenute dai club nella loro storia europea. E allora qual è il problema dei bianconeri? Le finali risponderete in molti: sicuramente, ma io credo ci sia molto di più, e che non si possa limitare il tutto alla sfortuna o all’impreparazione nell’affrontare l’ultimo atto.

Partiamo dalla stagione 2014-15, ovvero quella della “prima finale” raggiunta nel post-Calciopoli, nonché la prima a cui ho assistito. E’ l’anno dell’addio di Antonio Conte che, causa divergenze sul mercato con la società, lascia la squadra poco prima del ritiro. Per i tifosi è un dramma: si perde l’allenatore che aveva guidato la rinascita delle zebre, e per giunta il sostituto scelto non entusiasma. Massimiliano Allegri arriva sulla panchina sabauda forte di un solo scudetto vinto in carriera, ed uno, a detta di molti, perso, proprio contro i bianconeri, nonostante la superiorità di quel Milan. Il tecnico livornese parla poco, il minimo sindacale, per il resto rimanda tutti i discorsi al campo: riparte dal 3-5-2 di Antonio Conte, senza snaturare una squadra che, fino all’anno precedente, era risultata una macchina perfetta, almeno in campionato. Già, perché in Champions la storia era molto diversa, con i bianconeri eliminati nel 2012-13 ai quarti dal Bayern Monaco, senza opporre particolare resistenza, e nella stagione successiva addirittura ai gironi nel rovinoso gelo di Instanbul. Max si contraddistingue per il pragmatismo: nella prima parte di stagione raggiunge tutti gli obiettivi, con il primo posto blindato in campionato e il passaggio del turno europeo, pur con qualche noia relativa alle due sconfitte nelle prime tre gare, di cui una contro il modesto Olympiakos. Agli ottavi c’è il Borussia Dortmund del “mago” Klopp, reduce dalla finale di due anni prima, e dunque avversario temibile. L’andata termina 2-1 per i sabaudi, ma con la macchia dell’errore di Giorgio Chiellini, che, scivolando, regala un pericoloso gol in trasferta ai tedeschi. Al ritorno, in casa teutonica, non c’è storia: doppietta di Carlos Tevez e rete di Alvaro Morata per una Juventus devastante, che autorizza i sostenitori a sognare, anche perché l’avversario sorteggiato per i quarti di finale è il Monaco. Il risultato finale sarà di 1-0, deciso da una rete su calcio di rigore di Arturo Vidal: dunque maggiore fatica di quello che si prospettava, ma è semifinale, ed è una gioia enorme per una tifoseria che per troppo anni è rimasta lontana da certi palcoscenici. In semifinale però sarà tutta un’altra storia, in quanto ad attendere Buffon e compagni ci saranno i campioni in carica del Real Madrid. L’andata è una delle partite che ricordo con maggiore entusiasmo fra quelle affrontate dalla Juventus in campo europeo: 2-1, con una grande e soprattutto insperata prestazione, coronata dal sofferto 1-1 della partita di ritorno: la Juve torna in finale dopo 12 anni dall’ultima volta. Vorrei soffermarmi però, più che sulla partita, che, come sappiamo tutti, terminò 3-1 per uno dei Barcellona migliori di sempre trascinato dalla MSN: Messi- Suarez- Neymar, sulla reazione dei tifosi, che non è così disperata. La Juve ha dato filo da torcere ai blaugrana, è andata vicinissima a vincere la partita, e l’opinione comune è che questo getterà le basi per un futuro roseo in casa bianconera. Già, ma non andrà esattamente così.

Nella stagione successiva si respira un’area di rivoluzione: salutano Andrea Pirlo, che appende gli scarpini al chiodo, Arturo Vidal, il cui atteggiamento fuori dal campo non è andato giù ai vertici societari, Carlos Tevez, deciso a tornare nel suo Boca Juniors. Arrivano Sami Khedira dal Real Madrid, a fine contratto, Mario Mandzukic, atto a garantire esperienza europea, Paulo Dybala, giovane in rampa di lancio autore di un’ottima stagione a Palermo. Con i migliori auspici, pur senza partire con l’obiettivo annunciato di vincere la massima competizione europea, prende il via la successiva annata. Tuttavia, la Juventus parte con il freno a mano tiratissimo e, alla decima giornata, si trova a -11 dalla vetta: i bianconeri si ricompattano, smorzando le critiche, e vincono il tricolore dopo una cavalcata storica, inanellando 26 vittorie in 28 partite giocate. Nel frattempo in Champions, dopo un girone passato, non senza qualche difficoltà, ancora una volta da secondi, ai bianconeri toccheranno gli altri tedeschi, quelli all’apparenza invincibili: il Bayern Monaco. L’andata termina con una spettacolare rimonta allo Stadium, guidata dalle reti di Paulo Dybala e Stefano Sturaro, che rispondono a Thomas Muller ed Arjen Robben. Nonostante l’ottima prestazione, la Juventus al ritorno non parte con i favori del pronostico, dovendo affrontare i bavaresi nella loro tana. L’inizio però è fulminante: in 30 minuti Pogba e Cuadrado, intervallati da una rete annullata (fra le polemiche) ad Alvaro Morata, mettono in ginocchio il Bayern Monaco, che sembra inerme. Ma la Juve non affonda il colpo, comincia ad arretrare, concedendo, colpevolmente, la rimonta negli ultimi 20 minuti a Robert Lewandovski e Thomas Muller. Ai supplementari i tedeschi sono visibilmente più in palla e, dopo aver segnato sull’errore di Evra, chiudono la pratica con l’ex Coman. Stavolta l’uscita brucia, perché la Juve, come detto, la partita ce l’ha avuta in pugno e, a mio avviso, la paura di farsi raggiungere non avrebbe dovuto superare la voglia di segnare un altro gol: la consapevolezza è che ormai ce la si può giocare con chiunque.

L'anno successivo si apre con le cessioni di Alvaro Morata, per cui il Real Madrid ha esercitato la “recompra” e di Paul Pogba, tornato al Manchester United a peso d’oro. In entrata arrivano Benatia proprio dal Bayern, l’esperienza di Dani Alves, il giovane Pjaca, Miralem Pjanic dalla Roma e, soprattutto, Gonzalo Higuain dal Napoli, con il pagamento della proibitiva clausola di rescissione e, con il senno di poi, rivelatosi un bagno di sangue a livello economico. La Juve parte per vincere tutto, e stavolta in campionato lascia le briciole alle inseguitrici, passa il turno da prima, ma ci sono molte riserve riguardo al gioco, che sembra non valorizzare ancora al massimo il potenziale della squadra. La sconfitta subita a Firenze il 15 gennaio per 2-1, convincerà Max Allegri a coniare un 4-2-3-1 atto ad inserire contemporaneamente in campo tutti i calciatori di maggiore talento della squadra. I risultati si vedono, ed è con questa disposizione che i bianconeri giungeranno, senza troppe difficoltà, a Cardiff, regolando prima il Porto, poi il Barcellona che due anni prima aveva spezzato il sogno in finale, infine ancora il Monaco. E’ nuovamente finale, stavolta contro il Real campione in carica e, pur non partendo da favorita, sicuramente la Juventus non è neppure sfavorita come l’ultima volta. Nel primo tempo i bianconeri non sfigurano, e chiudono sull’1-1, con la spettacolare rovesciata di Mario Mandzukic a rispondere alla rete iniziale di Cristiano Ronaldo. Su quello che sia accaduto in quell’intervallo se ne sono dette tante, e ciò che è successo rimarrà all’interno delle mura di Cardiff; sicuramente la Juve non è più la stessa e prima Casemiro, su un non impeccabile Buffon, poi ancora il cannibale Ronaldo, infine Asensio, sfilano la coppa ai bianconeri per la seconda volta in due anni. Paura, inferiorità, inesperienza, battibecchi interni, molti sono i fattori che hanno portato a questa seconda débâcle, la settima della storia bianconera, e stavolta il boccone è molto più amaro da mandare giù.

Tuttavia il progetto Juventus va avanti, fiducioso che prima o poi il meritato trionfo arriverà. L’estate, caratterizzata da movimenti non particolarmente esaltanti, segna gli arrivi di Wojciech Szczęsny come vice-Buffon, Matuidi e Bentancur a rimpolpare il centrocampo, Bernardeschi e Douglas Costa a dare brio sugli esterni; a fare scalpore saranno però le cessioni: oltre a quella annunciata di Dani Alves, saluta, dopo 8 stagioni in bianconero, Leonardo Bonucci, forse per dissidi con l’allenatore, forse per qualcosa relativo all’intervallo della disastrosa finale, per diventare il simbolo del nuovo corso del Milan (nella trattativa verrà coinvolto anche Mattia De Sciglio, che farà il percorso inverso). Questo sembra davvero essere l’anno buono per il Napoli di Maurizio Sarri, sempre più consapevole dei propri mezzi, che compie una stagione da record: tuttavia, non stiamo a prenderci in giro, la Juve lo scudetto lo vincerà, pur complicandosi la vita nello scontro diretto allo Stadium; il vero pensiero dei tifosi bianconeri resta la Champions, ormai trasformatasi in qualcosa di molto vicino a quella che si definisce ossessione. Il girone, seppur con qualche difficoltà incontrata nel doppio confronto con un Barcellona desideroso di vendetta, scorre abbastanza liscio, e il secondo posto pone come avversario dei bianconeri agli ottavi il Tottenham di Harry Kane. Il doppio confronto è al limite del folle: all’andata la Juventus, passata in vantaggio di due gol dopo dieci minuti, dopo aver fallito il rigore del 3-0, si fa raggiungere per 2-2, dopo aver compiuto nuovamente l’errore di chiudersi a riccio una volta raggiunto il vantaggio. Al ritorno gli Spurs dominano la partita ma, bisogna essere onesti, i sabaudi passano con una buona dose di fortuna rimontando lo svantaggio iniziale. Ai quarti c’è l’opportunità della vendetta, con il piatto ancora fumante, nei confronti dei “Blancos”. Tuttavia l’andata è una carneficina, la Juve cade sotto ai colpi di CR7, che firma probabilmente la sua miglior realizzazione in carriera, con una rovesciata utopica per coordinazione ed elevazione, e di Marcelo, che firma il 3-0 finale. Il ritorno sembra solo una formalità, ma c’è un però: la serata precedente la Roma ha compiuto una impresa storica, battendo per 3-0 il Barcellona all’Olimpico e ribaltando il 4-1 del Camp Nou. L’impresa per la Juve è più difficile, perché si gioca al Bernabeu e perché un 3-0 non è mai stato rimontato in Champions. Quando però Mandzukic segna, replicando Dzeko, in avvio, i tifosi bianconeri cominciano a crederci: il primo tempo termina 2-0. Il terzo gol non tarda ad arrivare, con Matuidi, e a 30 minuti dalla fine l’equilibrio è ristabilito. Poi, nuovamente, la paura, la sufficienza, di chiudersi, far avanzare il Real, concedergli spazio, rianimare la bestia ferita, al novantesimo il calcio di rigore, le polemiche: Cristiano Ronaldo non sbaglia mai, e ancora una volta la Juve è fuori, ma stavolta i demeriti e gli errori bianconeri sono, a mio avviso, ancor più palesi.

Il calciomercato estivo del 2018 segnerà una svolta epocale nella storia di questo sport: dopo aver vinto la terza Champions League di fila, segnando per 11 partite consecutive, l’ultima, ahimè, proprio nella partita appena raccontata, Cristiano Ronaldo annuncia che lascerà il Real Madrid. Il mondo del calcio è spiazzato, per settimane le indiscrezioni sul futuro del portoghese infiammano i bookmakers e i giornali, ma alla fine il destino vuole che fuoriclasse si trasferisca proprio in quella che era stata la sua vittima preferita nelle massima competizione europea, con dieci gol in sette partite che ne avevano fatto lo spauracchio maggiore dei tifosi bianconeri. In un batter d’occhio il nemico diventa alleato, di più: l’idolo della tifoseria, convinta che, con il migliore, con il re, si possa finalmente mettere le mani sull’ambito trofeo. Arrivano a rinforzare la rosa anche Joao Cancelo al posto del partente Stepahn Lichtsteiner, Emre Can a titolo gratuito e, soprattutto, torna Leonardo Bonucci, dopo una sola stagione, fallimentare, in rossonero. In campionato la squadra di Max Allegri mette subito in chiaro la situazione, ipotecando verosimilmente il discorso scudetto già a febbraio. In Champions il girone viene passato agevolmente, nonostante l’espulsione proprio di CR7 alla prima apparizione europea. Agli ottavi si prospetta l’Atletico Madrid, avversario che il fenomeno portoghese conosce bene. Fino ad allora il problema della Juventus era stato, come spesso negli anni, quello del gioco poco appariscente, che urgeva miglioramenti. Contro i Colchoneros è lampante la mancanza di solidità ed idee da parte dei sabaudi, che escono sconfitti per 2-0. Sembra un incubo, anche con il portoghese l’eliminazione è nuovamente ad un passo: ma la variabile Ronaldo è infermabile, e stavolta, allo Stadium, la rimonta è perfetta. Adesso la convinzione e la consapevolezza dei propri mezzi sono al picco: ”Con un Ronaldo così ed una squadra che lo supporta, si può finalmente vincere”. Ai quarti ci sarà l’Ajax, squadra non molto considerata, ma che agli ottavi ha mandato a casa i campioni in carica ribaltando l’1-2 dell’Amsterdam Arena con un perentorio 1-4. Molti tifosi ripensano al Monaco affrontato nel 2015 e 2017, squadra battibile seppur ostica. L’Ajax è in realtà molto più forte del Monaco, ma, mi espongo, la Juventus poteva e doveva batterla, non solo per Cristiano Ronaldo, ma perché poteva vantare un gruppo più esperto e avrebbe dovuto avere una fame indescrivibile dopo essersi arenata per due volte ad un passo dal sogno. Come finisce, invece, lo sappiamo tutti. Quello che è importante dire è che da qui partirà un feroce ridimensionamento in casa bianconera, con molti calciatori finiti sul banco degli imputati. La rivoluzione è rimandata all’anno successivo, perché l’unica testa a saltare è quella di Max Allegri: sicuramente un colpevole, ma non l’unico. L’ultima stagione ve la racconto rapidamente, perché sono sicuro che ce l’avrete ancora fresca nella memoria: Maurizio Sarri non si ambienta minimamente all’interno dello spogliatoio, non riuscendo di conseguenza ad imporre i propri principi di gioco in una squadra che appare fiacca, demotivata, carente di idee. L’eliminazione con un modesto Lione, con il solo Cristiano Ronaldo capace di figurare, aprirà la rivoluzione, con l’arrivo di Andrea Pirlo in panchina ed un tentativo di ringiovanimento.

Quali sono stati in definitiva i motivi che hanno portato la Juve sempre più lontana da un traguardo che sembrava solo una questione di tempo? Come abbiamo visto ci sono stati numerosi errori individuali, di allenatore e calciatori, dopo la prima finale, quella di Berlino, l’unica volta in cui davvero si può uscire a testa alta. Errori di programmazione da parte della dirigenza, con all-in inusuali per la filosofia della Juventus su calciatori come Higuain e lo stesso Cristiano, che, da soli, con una rosa incompleta, non hanno potuto incidere più di tanto, neppure chi lo ha fatto già per cinque volte.

Una risposta univoca dunque non esiste, ma mi auguro che questo articolo possa essere di auspicio per il futuro, con il debutto europeo fissato per martedì a Kiev, e che finalmente la Juve non solo vinca la Champions, ma riesca ad imporsi nuovamente come squadra capace costantemente di arrivare nelle fasi finali, magari con risultati migliori degli ultimi, perché "ognuno è artefice del proprio destino", e sarà compito dei bianconeri delineare il proprio.