Man mano che passa il tempo, ai club tocca reinventarsi per stare al passo dell'evoluzione calcistica. Bandiere che se ne vanno, top player che si accasano in altri lidi e politiche per un futuro forse non troppo lontano. Uno dei fattori determinanti per la crescita dei club è quello del vivaio, o dei settori giovanili che dir si voglia. In Italia il campionato primavera è definito come la tomba del calcio italiano, dove ragazzini prendono calci sugli stinchi e dove genitori ingenui segnalano i figli ai cosiddetti agenti per ottenere in cambio un futuro radioso, con questi ultimi che nella maggior parte dei casi speculano sul destino delle giovani promesse. Perché in Italia non si scommette più sulla "cantera"? Perché alcuni modelli adottati da altri paesi sembrano momentaneamente un'utopia? Cercheremo di evidenziare problematiche e soluzioni in merito a un argomento definito tuttora come un taboo nel nostro paese.   

  • PROBLEMATICHE

I club del nostro paese tendono sempre a guardare con scetticismo il proprio vivaio. Sono pochi i campioni che dicono di avercela fatta ad arrivare in prima squadra, con quest'ultima che viene sempre riempita da profili alquanto insoliti e sopravvalutati rispetto ai baby-campioncini già presenti nel centro sportivo. Il settore giovanile viene sempre visto come la fiera del prestito secco dove dei ragazzi (forse non proprio alle prime armi) vengono mandati a farsi le ossa in categorie inferiori pur di ottenere qualche presenza. Non solo: per la primavera è indispensabile avere degli ottimi osservatori, figura nel nostro calcio alquanto bistrattata considerato il fatto che sono i dirigenti e i procuratori a scegliere determinati obiettivi per la rosa. Pochi riescono a scovare i campioni e molti invece offrono contratti forse a profili troppo acerbi e inesperti pur di riempire caselle nell'organico. Quali soluzioni potrebbero essere prese? Spiegazioni.   

  • ​​​​​SOLUZIONI E MODELLI 

Non bastano le scuole calcio del quartiere affiliate alle grandi squadre, serve disciplina e rigore. Un modello da imitare potrebbe essere quello dell'Ajax: gli allenatori, gli osservatori e i dirigenti sono altamente qualificati e accompagnano i ragazzi con la mano nella loro fase di crescita.
Un esempio? De Ligt e Van De Beek. Il primo è finito alla Juventus, mentre il secondo è già sulla lista della spesa di molti top club europei. Merito della "scuola olandese" che mette anche in primo piano il divertimento dei ragazzi. In Italia il genitore chiede sempre al figlio se ha vinto la partita, all'estero invece non viene data importanza al risultato finale del match coi ragazzi che pensano ad affinare la loro tecnica individuale e a sentirsi appagati.
Un altro simbolo potrebbe essere quello della "Masia", storica scuola catalana e blaugrana che da sempre ha sfornato crack. Messi, Busquets, Sergi Roberto e Thiago Alcantara sono solo alcuni dei giocatori usciti da quel centro di formazione. Il merito? Sempre degli allenatori e dei talent scout che, come dei veri e propri dirigenti d'azienda, valorizzano quello che potrebbe essere definito il "prodotto calcistico finale".   


I baby-bomber, i giovani stopper e i nuovi registi potrebbero già essere sui nostri campi. Non basta educare il calciatore a diventare il nuovo Messi, il nuovo Ramos o il nuovo Modric, a volte serve anche educare il giovane alla crescita e al divertimento. Perché il calcio è di chi lo ama, in questo caso delle nuove leve.
Ma molti club sembrerebbero non averlo ancora capito. 

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