Iniziamo con il trequartista danese: "Deve giocare", "È un fuoriclasse", "Conte deve metterlo nelle condizioni di esprimersi al meglio" sono i commenti che si sentono più spesso nei suoi confronti, tra addetti ai lavori e non.

Riportiamo per completezza che Christian Eriksen, da quando è arrivato all'Inter, ha giocato 1.308'. Non proprio pochi. Che Conte ci stia mettendo del suo per favorirne l'inserimento, convinto o spinto dalla dirigenza che sia, lo dimostra il fatto che quest'anno l'Inter è impostata sul 3-4-1-2 in maniera permanente, anche senza Eriksen. L'allenatore leccese conta, prima o poi, di inserirlo definitivamente e per questo ha modificato sistema di gioco, rinunciando al 3-5-2 di cui è notoriamente un integralista. La posizione dei tre di centrocampo non è un dettaglio di poco conto: i due mediani a sostegno del trequartista sono un'attestato di stima, forse più una scommessa in questo caso, poiché in fase offensiva si lascia molto spazio al trequartista, terminale unico nella zona avanzata del centrocampo. Conte ha rinunciato al suo amato 3-5-2, dove gli interni partono più arretrati ma possono sostenere la fase d'attacco fino a proporsi in area di rigore, risultando un sistema più equilibrato e spesso più offensivo del precedente.

Christian Eriksen

Diciamolo chiaramente, anche da trequartista, nei non pochi minuti di gara che ha avuto, Eriksen ha fatto male.
Proviamo ad approfondire: i punti di forza del danese sono l'imbucata e il tiro da fuori. Sotto questi aspetti è un vero fuoriclasse. I suoi punti deboli sono la gamba e l'agonismo.
La mancanza di "garra", in particolare, doveva far scattare un campanello d'allarme già prima dell'acquisto: tra le fila nerazzurre hanno fallito fior di giocatori e allenatori per questo motivo. Nella pazza Inter funziona il mister sergente (Mourinho, in parte Spalletti, Conte giudicheremo) e il giocatore trascinatore. È in atto un progressivo inserimento di "guerrieri" che sopperiscano al carattere più mite di altri proprio per garantire uno spirito di squadra vincente e abbandonare questa pluriennale altalena di prestazioni. La personalità non è più un optional. Per questo Eriksen, che probabilmente in squadre solide e dominanti sarebbe un diamante splendente, in nerazzurro non gira. La testa di un giocatore, o meglio di una persona, è difficile da allenare.
Qualcosa però si può fare: in nazionale, con Hareide prima e Hjulmand ora, Eriksen dà il meglio nel 4-2-3-1. I due scudieri vicino gli permettono di non portare il peso della rifinitura da solo: dialogando e toccando più palloni mette in luce le sue qualità tecniche e nasconde le carenze caratteriali. Certo passare dal 3-5-2 al 4-2-3-1 significa stravolgere il lavoro di un anno e mezzo, ci vorrebbero forti conferme in allenamento perché questa soluzione possa essere anche solo valutata.

Roberto Gagliardini

Il numero 5 nerazzurro è stato bersagliato da critiche di tifosi e giornalisti, le sue prestazioni indubbiamente generose sono macchiate da errori spesso determinanti. Le sgroppate palla al piede del periodo atalantino sono solo un ricordo e la sua evoluzione sembra essersi bruscamente arrestata anni fa, eppure mister Conte lo considera un titolarissimo e sembra avere un occhio di riguardo verso di lui. Il perché potrebbe essere più semplice di quanto si immagini: fare di necessità virtù. Lo si è capito quando lui non c'era: Conte ha dovuto arretrare il raggio d'azione di Vidal (qualche erroraccio anche lui) che invece vorrebbe a sostegno dell'attacco, così come Barella ed eventualmente Naingollan. Gioca quindi perchè sebbene non sia un palleggiatore modello, è l'unico incontrista puro, in attesa di un tuttocampista di livello superiore (leggi Kanté).

Ma siccome Kanté non c'è, e chissà se mai ci sarà, ad oggi guai a togliere Roberto dal campo, mentre i piedi vellutati di Christian per ora riposano in panchina.