Alla fine la sentenza che in molti si aspettavano è arrivata: la UEFA ha detto "no" al settlement-agreement proposto da Fassone, in rappresentanza del Milan. Non convince la società e la provenienza degli investimenti, e non convince il piano Milan, che aveva posto nella qualificazione alla Champions League l'obbiettivo stagionale, che avrebbe garantito introiti, in questo finale di stagione, e per la prossima, in grado di attenuare le spese pazze dell'estate appena passata.

Al di là dell'aspetto finanziario, la riflessione che muovo riguarda la strategia finanziaria e societaria progettata dal diabolico duo Mirabelli - Fassone, diventati virali per il numero esorbitante di acquisti.
L'ambizione ha superato la realtà, non ci sono altre spiegazioni. Sicuramente ai blocchi di partenza del campionato il Milan si presentava con un restyling paragonabile solamente a quelli di PSG e Manchester City, sia per la cifra spesa, che per il tipo di giocatori acquistati.
Il PSG nei primi due anni di presidenza di Al-Khelaïfi spese 100 e 145 milioni, il Manchester City 130 e 140 milioni nei primi due anni: insomma, nessuno ha mai speso 194 milioni in un sol mercato.
La storia dei club (al momento dell'investimento) era simile, tutti e tre club storici dei propri campionati, in cerca di rivalsa dopo anni di difficoltà, a livello nazionale e non. Il Milan si presenta ai blocchi avendo strappato Bonucci alla Juventus, in un clima di crisi psicologica in casa bianconera, dopo il dramma della finale di Cardiff; Biglia alla Lazio, privando i biancocelesti del loro capitano e uomo simbolo, uomo di esperienza e carisma in un ruolo in cui negli ultimi anni è difficile trovare elementi all'altezza; Kessié all'Atalanta, autore di una stagione da incorniciare, giocatore dallo strapotere fisico in mezzo al campo, di quantità infinita e qualità preziosa; André Silva stella del Portogallo, pupillo di CR7, strappato al Porto per una quarantina di milioni e in rampa di lancio; Calhanoglu per 25 milioni di euro, al rientro dopo una squalifica di sei mesi legata a tesseramenti nella carriera passata del turco; Borini, arrivato per dare quantità un pò a tutto campo, per 6 milioni; Conti, protagonista come Kessié di una stagione da urlo, ma di una, appena conclusa, con quasi nessuna presenza, falcidiato da due infortuni gravissimi; Kalinic, reduce da una stagione da vero bomber a Firenze con 20 goal; Rodriguez, terzino di grande affidamento e quantità, uniti a un buon piede, arrivato dal Wolfsburg e per finire Musacchio a puntellare la difesa. 

Totale, come detto 194 milioni. La squadra, almeno sulla carta, sembrava pronta a lottare per le prime tre posizioni, forse addirittura lo scudetto a detta di qualcuno. Invece una squadra di qualità ma anche fatta di giovani inesperti ha faticato, ma chiuso in crescita sotto la guida di Gattuso. La domanda è, come abbiano potuto effettuare questo calciomercato Mirabelli e Fassone, non potendo contare su un club con un grande fatturato: 192 milioni di euro (inferiore a Juve, Napoli, Roma e Inter); non potendo contare su uscite in grado di garantire grandi guadagni (De Sciglio, Kucka, Sosa, Rodrigo Ely e prestiti vari) per 30 milioni di euro; non potendo contare sulla certezza di raggiungere la Champions League (dal momento che Roma, Napoli e Juventus non si erano indebolite, ne avevano svenduto).

Ora Fassone parla di "danno d'immagine", imputando alla UEFA di non essere stata altrettanto clemente con gli altri club europei in precedenza. Tuttavia i club in questione sono proprio PSG e Manchester City che nel 2014 firmarono il settlement agreement, ma avevano alle spalle due figure ben note e dal grande potere economico, come Khaldoon Al Mubarak (membro del Consiglio Direttivo per l'Emirato di Abu Dhabi e noto imprenditore) e Al-Khelaïfi (attuale presidente e amministratore delegato di beIN Media Group, politico e imprenditore quatariota); nel 2015 il Monaco, che spese 140 milioni tra il 2015 e 2016, ma ne incassò complessivamente 180, Inter e Roma che però avevano una differenza di bilancio di soli 50 milioni ma erano sostenute nel primo caso da una figura ben definita e di affidabilità (Tohir), nel secondo caso da una gestione societaria graduale e ponderata. Esclusi da questa lista club non di prima fascia e con situazioni in passivo di non grande rilievo. Facile quindi a posteriori puntare il dito contro la UEFA, che però aveva già dato avvisaglie negative quando nel Dicembre scorso aveva detto no al voluntary agreement, che interessa solo i club non interessati dal FFP, che sostanzialmente possono chiedere all’UEFA un’apertura di credito, presentando un business plan pluriennale con l’impegno a rientrare nei parametri e l’illustrazione dei dettagli sulle voci di ricavi e costi in grado di riequilibrare la gestione economica. 

I problemi gestionali e finanziari del Milan continuano, ed ora sembrano aggravarsi, in attesa delle sanzioni UEFA. Rimane una sola domanda: perchè altre società come Inter, Roma e Napoli (ed in precedenza la Juventus) hanno risalito la china gradualmente, invece che effettuare un mercato devastante, come quello praticato dal Milan? Ecco forse la risposta a tutti noi tifosi, sempre pronti a richiedere alle nostre società più di quanto possano fare.