Il panorama calcistico ha offerto, e ancora offre, allenatori adatti a tutti i gusti e di molteplici tipologie. Infatti, prendendo anche solo come esempio la nostra serie A, si nota come nel corso degli anni abbiano rivestito tale ruolo: strateghi, tattici, gestori, italiani, stranieri, motivatori, “pazzi” (di calcio, e forse non solo), “maestri”, neofiti, esperti, improvvisati, dogmatici, studiosi, iracondi, eleganti, presuntuosi, permalosi, speciali, etc.

In alcuni casi questi aggettivi sono stati attribuiti loro dai tifosi, in altri si è trattato di etichette affibiate loro dai giornalisti, ma è innegabile come “in panchina” vi sia stata (e ancor oggi sieda) una grande varietà di profili, a testimonianza del fatto che (forse forse) non esiste il prototipo dell'allenatore perfetto.

Infatti, anche prendendo in considerazione la ristretta cerchia dei ct. di successo, è impossibile giungere all'elaborazione dell'identikit di un perfetto “mister”, o individuare un insieme di caratteristiche imprescindibili che tali professionisti devono possedere. Ognuno ha mostrato di avere una propria filosofia di gioco, una propria linea d'azione nell'interazione con i media, con la squadra e con le proprietà, un proprio sistema di allenamento, etc.

Esistono, tuttavia, parametri oggettivi e soggettivi di valutazione dell'operato di un allenatore: fanno parte della prima categoria i risultati da esso ottenuti, misurabili in punti; fanno parte della seconda categoria le aspettative personali nutrite dai diversi soggetti interessati (dai presidenti, ai tifosi, passando per gli addetti ai lavori) nei loro confronti.

Ogni singola persona coinvolta, in maniera indipendente, può aver fissato ad una diversa altezza l'asticella, ma è fuor di dubbio, fatte salve singolari situazioni societarie o ambientali, che non sia un buon tecnico, nella fattispecie particolare, colui che non riesce a far rendere la rosa a propria disposizione in proporzione alla qualità, oggettiva e non presunta, della stessa.

Nella fattispecie particolare, appunto, ma non in senso assoluto.
Osservando la carriera di Gasperini, ad esempio, dovremmo concludere, basandoci solo sui suoi trascorsi all'Inter, che non sia un tecnico di buon livello, nonostante lo stesso individuo sia riuscito a portare l'Atalanta, squadra certamente inferiore qualitativamente a quell'Inter, a livelli impensabili anche per i tifosi della "dea" più sfegatati. Contemporaneamente, però, potremmo addirittura affermare che Gasperini incarni il prototipo dell'allenatore perfetto, se esaminassimo esclusivamente la sua parentesi bergamasca, dimenticandoci della sfortunata esperienza interista.

Spostandoci all'estero, che dire di Zidane? Portare qualunque squadra sul tetto d'Europa per la terza volta consecutiva è un'impresa unica, ma il suo ritorno sulla panchina delle “merengues”, in una situazione decisamente diversa, è stato tutt'altro che brillante.

Altro esempio: malissimo ha fatto Ranieri con la Grecia, salvo poi essere riuscito a realizzare un vero e proprio miracolo sportivo trionfando con il Leicester, a dimostrazione che non esiste l'allenatore perfetto, in possesso di tutte le caratteristiche necessarie a renderlo in grado di imporsi in qualunque società, in qualunque situazione, con qualunque organico a disposizione, poiché l'essere umano è per forza di cose imperfetto. Esiste, bensì, la situazione perfetta per ogni differente tipologia d'allenatore.

Questo è in effetti il vero problema: individuare il prototipo dell'allenatore perfetto per ogni diversa situazione.

Naturalmente, essendo la realtà caratterizzata da infinite variabili ed essendo l'operato di un ct. valutabile oggettivamente esclusivamente a posteriori, non è possibile, a priori, stabilire con certezza quale coach possa adattarsi al meglio a ciascuna squadra.

Pur tuttavia, a giudizio di chi scrive, si possono suddividere le società e gli allenatori in diversi macro-insiemi, per individuare il prototipo di “mister” appropriato per ciascun club, nell'intenzione di fornire una linea d'azione a tutti i soggetti che si trovino, di volta in volta, a dover decidere la persona a cui affidare la guida tecnica della squadra, per massimizzare le probabilità di successo.

A tal fine, rimanendo ad alti livelli, si possono distinguere i club in funzione degli obiettivi sportivi da essi perseguiti e in considerazione dell'età media dei giocatori in organico.

Sulla panchina di squadre che si pongono come massimo obiettivo di raggiungere la salvezza, nella maggior parte dei casi hanno riportato buoni risultati allenatori pragmatici, motivatori abituati a ragionare sul breve periodo, poco inclini alle sperimentazioni tattiche.

Gli innovatori, invece, hanno trovato terreno ben più fertile nei club di fascia media, specialmente se ricchi di giovani talentuosi calciatori, più facilmente plasmabili per inseguire l'attuazione di rigidi sistemi di gioco.

Infine, l'obbligo di ottenere risultati immediati, tipico dei club di vertice, ha permesso di raggiungere grandiosi traguardi ad abili diplomatici gestori, in particolare nel caso in cui la rosa fosse piena di esperti campioni, o, alternativamente e soprattutto in tempi recentissimi, a veri e propri maestri di tattica, cultori del gioco posizionale (Guardiola docet).