Questa estate di calciomercato è differente: da una parte di ha l'impressione (illusione?) che, andato via Allegri, si possa finalmente ricominciare a parlare di scudetto in bilico; dall'altra, come avevamo già notato, il nome di Balotelli non è invocato come quelli di salvatore della Patria in nazionale e in club di fascia alta e medio-alta. Ciò che vorremmo analizzare in questo articolo è però un'altra novità, magari passata sottotraccia: José Mourinho, dopo un anno sabbatico, è ancora in giro senza contratto. E, cosa ancora peggiore per lui, nessun top club sembra intenzionato ad offrirgliene uno.

Una situazione che, in realtà, non dipende solo dal buon José. In serie A, tutte le panchine di rilievo sono prese: la "sua" Inter, per la prima volta, non acclama il suo nome e si gode l'ex juventino Antonio Conte; il Napoli ha Ancelotti saldamente al comando; a Torino e Roma, malgrado un iniziale interessamento, c'è tanta curiosità per i neoallenatori Sarri e Fonseca. In Liga Real, Barcellona e Atletico non sono opzioni nemmeno lontanamente considerabili. In PL ci sarebbe teoricamente più scelta, ma il Chelsea e il Manchester United non sono opzioni praticabili (José non torna mai sul luogo del delitto), al City c'è la nemesi Guardiola, gli altri sono coperti. In Bundesliga e Ligue 1, esclusi il Bayern, il PSG e il Dortmund, sembra difficile trovare un club in linea con le ambizioni del portoghese.

Gli anni d'oro (del grande Real) - E quindi, a 10 anni dall'inizio dell'esperienza grandiosa del Triplete con l'Inter, Mourinho è a spasso. Fa impressione, ma è così. Fa ancora più impressione pensarci sapendo qual era la situazione del tecnico 10 anni fa: ad Appiano era osannato, e nel resto d'Europa era padrone del suo destino, di dire a un club "voglio la vostra panchina" ed essere accontentato a scatola chiusa. Un privilegio donato a pochi allenatori nel mondo, e solo in pochi momenti magici della propria carriera.

Il destino, il portafogli (sicuramente non il cuore) o la consapevolezza che sarebbe stato quasi impossibile ripetersi lo portarono al Real Madrid. Lì sembrava che la carriera del lusitano avrebbe toccato a breve vette ancora più alte, e che si sarebbe instaurato un monopolio Blanco su Liga e Champions. E invece così non è stato.

Nulla è cambiato, intendiamoci: Mourinho è sempre stato Mourinho, lo stesso dell'Inter con la sua personalità forte, le sue polemiche e i suoi colpi di testa. Ma i trionfi non sono gli stessi: nella sua esperienza madrilena vince un campionato, una coppa del re, una supercoppa spagnola. Non poco per il palmares di un allenatore. Ma poco in una società come il Real, che vuole primeggiare in ogni campo. 

Inoltre c'è lo scontro a distanza con Pep Guardiola, la rappresentazione plastica di tutto ciò che Mourinho non è: calmo, molto empatico coi propri giocatori, mai alla ricerca di nemici. Contro questo "santone catalano" Mourinho va a sbattere diverse volte, perdendo il campionato con il record di punti della società, facendosi eliminare alle semifinali di Champions, portando sulle spalle una sorta di "tabù del clasico", un'onta per uno come lui. 

Ultimo problema, lo spogliatoio: per far "funzionare" a pieno regime José, c'è bisogno che nessuno gli faccia ombra, che tutti siano al suo servizio. Nel Real trova, vere o presunte che siano, parecchie "talpe": alcune vengono allontanate, anche in maniera parecchio veemente. Ma non si può azzerare una squadra e quindi alla fine, giusto o sbagliato che sia, gli "uomini dello spogliatoio" riescono a liberarsi di Mourinho.

Il figliol prodigo - Ma lui è pur sempre lo Special One, e quindi passa poco tempo da disoccupato: nell'estate 2013 c'è il suo ritorno al Chelsea. A livello tecnico ci sono tutti gli ingredienti per fare bene: il Chelsea è uno squadrone e adesso può giocarsela alla pari con le grandi in premier League, che viene vinta al primo anno. Però, anche lì, c'è uno spogliatoio compatto che non lo ama, un prestigio che si erode sempre di più. Alla fine la seconda esperienza al Chelsea si chiude malissimo: sedicesimo posto, sconfitto dal Leicester del suo predecessore alla prima esperienza al Chelsea, Claudio Ranieri.

José il Rosso - Qualcosa non funziona negli ultimi anni della carriera di Mourinho, forse è il caso di prendersi un anno di pausa. Il diretto interessato risponde che "no, io non sono stanco". E sei mesi dopo l'esonero dal Chelsea, nel maggio 2016, é annunciato come nuovo allenatore dello United. Finalmente un'occasione per misurarsi con il suo mito Ferguson, che aveva elogiato come proprio esempio in tante occasioni. Ma anche qui ci sono tutti gli ingredienti per fare male, forse anche peggio che ai precedenti club: perché lo United é una grande squadra, ma decaduta; perché l'Old Trafford si mangia allenatori a colazione; perché lo spogliatoio non lo ama: in particolare sono fortissime le polemiche con Paul Pogba, fra gli acquisti più costosi del mondo e tanto, tanto intristito rispetto ai tempi di Torino. Ma anche il Mourinho dei tempi dell'Inter e del Real sembra essere venuto meno: meno polemiche, più pacato nei giudizi, non ha più nemici contro cui scagliarsi all'esterno. Il rapporto con il Manchester sembra non decollare: malgrado si sia portato in dote il primo trofeo europeo del dopo Ferguson, l'Europa League del 2017, sembra che non abbia fatto nulla e che nulla faccia per valorizzare la squadra. La stagione seguente viene esonerato، ancora con uno stipendio di 15 milioni a stagione sul groppone della sua società, e viene sostituito da Solskjaer. Un inizio strabiliante per il manager danese, si grida alla rinascita, poi anche il "suo" United si impantana.

Stop - Nel frattempo, José si prende quell'anno sabbatico di cui si mormorava alla fine dell'esperienza al Chelsea. A livello professionale, non è lo stesso uomo: la gente, quando pensa alla squadra che vorrebbe, vuole il bel gioco alla Guardiola o Klopp. Quando pensa all'allenatore grintoso, un po' condottiero, pensa a Simeone. Mourinho  non ha più il proprio "spazio", e l'anno di pausa lo dimostra: si era parlato di lui per il Real del dopo Solari, ma lo spogliatoio ha implorato pietà ed ha chiesto di trovare qualcun altro. Per il resto, qualche sondaggio e nulla più nell'ultimo anno e mezzo. 

Chi ha ucciso lo Special One? - Che cosa è successo a Mourinho? Sicuramente è un po' invecchiato (anche se, insomma, non è un anziano), i suoi metodi possono essere un po' sorpassati e lo stipendione che riceve dallo United non ha esattamente l'effetto di spronarlo a rimettersi in gioco. Però non è questo il problema che ha "ucciso" lo Special One. 

Per vedere il problema alla radice, bisognerebbe fare un'analisi più approfondita e considerare che a metterlo sempre più in difficoltà sono due fattori, uno più personale ed uno "filosofico".

Il primo è che, a nostro parere, da qualche anno a questa parte Mourinho sia diventato un po' "prigioniero" della sua stessa fama. Questo ha fatto sì che, ovunque andasse, ci di aspettasse lo stesso manager dell'Inter, del Porto, della prima esperienza al Chelsea: un uomo scontroso, scomodo, che mostra a tutti che lui è un "bad boy" e che non gli interessa il giudizio degli altri. Questo Mourinho lo è ancora, in parte. Ma i tifosi e i presidenti si aspettano che ostenti questa sua personalità con gesti sempre più plateali. Perché abbiamo tutti in testa i clasici combattuti in maniera donchisciottesca con Guardiola, con José che si rivolge ai propri nemici a muso duro. O Mourinho quando dice della Roma che "Finirà con zeru tituli" e che "io ai miei per caricarli non li metto di fronte a un film [il gladiatore ndr.,]". Però adesso si trova come tante vecchie rockstar che, abituate a sorprendere, vedono il tempo che passa e sono stufe di essere ingabbiate nel loro "personaggio", vogliono essere semplicemente sè stessi quando svolgono il proprio lavoro, alla maniera che più gli si conface. Una cosa che, al momento, sembra molto difficile per lui.

Un'altra è stato il passaggio da una fase all'altra della sua carriera, rappresentato dall'ingaggio con il Real Madrid. In quel momento, il "rivoluzionario" Mourinho ha scelto di farsi conservatore e di accettare offerte di una sola tipologia di squadre: le vincenti, quelle con una disponibilità economica maggiore e con un'abitudine a fare incetta di titoli ad occhi chiusi. Allo stesso tempo, però, quel genere di club ha dei problemi "strutturali" che poco si addicono alla filosofia di José: spogliatoi forti, top players difficili da gestire, presidenti poco pazienti e tifosi che non si accontentano di avere "un titulo", ma vogliono vincere tutto (citofonare a casa Allegri per delucidazioni). Non si sta dando un giudizio su queste squadre, semplicemente si sottolinea che un manager "tirannico" come Mourinho non è il tipo giusto per restare in questo tipo di realtà per più di un paio d'anni. E poi, c'è poco da fare, i tifosi quando pensano allo Special One, pensano ad un Porto che praticamente dal nulla ha iniziato a vincere campionati e trofei europei a iosa; quello che con il Chelsea dei primi anni 2000 (lontano anni luce dall'attuale) ha vinto due campionati inglesi; quello che infine ha portato l'Inter fuori dai confini nazionali ed ha realizzato l'unico triplete della storia del calcio italiano. Qual era il denominatore comune di tutte quelle squadre? Che erano underdog, sfavorite, nelle competizioni che andavano ad affrontare

Per questo, quando José dice "Io un'offerta in realtà l'avrei anche ricevuta, dal Lione. Però, con tutto il rispetto, non è una squadra all'altezza delle mie ambizioni" noi gli diciamo di ripensarci: dovrebbe considerare quanto sarebbe eccitante la possibilità di rompere il monopolio del PSG su un campionato, la Ligue 1, che da diversi anni a questa parte si è trasformato solo in una formalità per i parigini. Quanto farebbe sensazione vedere il portoghese lasciare magari i suoi rivali con "Zeru titres" alla fine dell'anno. O ancora, quanto sarebbe bello vederlo svestire il suo metaforico smoking e vederlo sulle barricate a dare l'assalto alla Bastiglia che è il PSG in Ligue 1. Probabilmente farebbe bene ad entrambi, e potrebbe permettere al portoghese di rientrare in contatto con il suo IO del decennio scorso.

Run, José, run - Un altro consiglio vorremmo dare a Mourinho: non restare fermo un altro anno, perché dopo due anni è difficile ripartire. Ancelotti (non proprio uno che non sa nulla di calcio) nel 2011 pur di non ritrovarsi senza panchina dopo esperienza in chiaroscuro col Chelsea, aveva pensato di passare al West Ham, in Championship. Alla fine ha firmato col PSG, ed ora non sembra passarsela troppo male. Perché, se c'è una cosa che insegna il lavoro di allenatore, è che con una volontà forte non è mai troppo tardi per rilanciarsi.