“Sangue, fatica, lacrime e sudore.”
Durante il suo primo discorso come primo ministro alla Camera dei Comuni, Winston Churchill invitò gli inglesi a difendere la propria patria e, soprattuto, gli mostrò la via maestra per arrivare alla vittoria: sangue, fatica, lacrime e sudore. “Voi chiedete: qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una parola. E’ la vittoria.”
Perché, in fin dei conti, come si raggiunge la vittoria? Per manifesta superiorità o per abnegazione. La seconda strada è quella percorsa, ad esempio, da Park Ji-Sung, l’infaticabile, il coreano del Manchester United, o meglio, il giocatore asiatico più vincente della storia del calcio.
“Ero magro e piccoletto e mio padre sentì che il succo di rana mi avrebbe fatto crescere e dato forza. Aveva un sapore davvero orribile, ma dovevo berlo perché volevo essere un calciatore e tutti mi dicevano che per diventarlo dovevo essere più grande e forte. Mi dicevano che mi avrebbe fatto bene. Ho sempre mangiato qualsiasi cosa poteva aiutarmi dal punto di vista della salute”. Park Ji-Sung al proposito del succo di rana
Ricordarsi di Three-Lungs Park
Il sangue, la fatica, le lacrime e il sudore non sono, in questa circostanza, parole usate da Winston Churchill, o da Garibaldi prima di lui, bensì il motivo per cui ci ricordiamo di Park, giocatore capace di diventare pedina fondamentale e, allo stesso tempo, identità di ogni club in cui ha giocato.
Il coreano era un centrocampista duttile tatticamente, capace di stare al centro o sull’esterno, di coprire e di far ripartire l’azione. Aveva dribbling discreto, un buon colpo di testa, un decente tiro da fuori ma, soprattutto, corsa, tanta corsa da meritarsi il soprannome di “Three-Lungs”, ovvero tre polmoni. Qualità, le sue, che secondo Sir Alex Ferguson (non l’ultimo arrivato), l’hanno reso uno dei migliori midfielder della sua generazione.
Poteva correre per giorni, dicono dalle parti di Manchester. Correre tanto da assicurarsi, come primo e unico asiatico, la fascia di capitano dei Red Devils e il record di premi consecutivi per giocatore del mese. Corsa e dedizione che hanno segnato la sua carriera e ancora oggi ci fanno ricordare di lui.
Le origini tra l’etica e la carne rossa
Park Ji-Sung comincia a giocare a calcio in tenera età, ha passaggio e dribbling, ma è la sua etica del lavoro ad attirare l’attenzione degli scout. Il problema, l’unico, è la sua statura: Park è troppo piccolo.
Qui entra in scena il padre. Si racconta che Park Sung-jong sia entrato nel settore della vendita di carne per potersi permettere la nutrizione di suo figlio e i prodotti necessari per facilitargli la crescita muscolare.
Quel ragazzino aveva delle capacità e non poteva sprecarle, già all’epoca portava la sua squadra del liceo alla vittoria del campionato nazionale. Era il 1998.
Passato all’Università, si trovò fuori dal team collegiale: era pieno. Si dette al tennis. Poi Lee Hak-Jong, coach della squadra di calcio, lo vide tirare calci ad un pallone e gli disse: abbiamo raggiunto il numero di calciatori da selezionare, ma questo ostacolo lo aggiriamo, allenati con noi come cliente e non come matricola. All’età di 18 anni Ji-Sung venne selezionato per la squadra olimpica della Corea del Sud.
Bunji Kimura, l’uomo di Kyoto
Le attenzioni su di lui cominciarono a crescere in maniera esponenziale, nonostante non rubasse l’occhio per la cifra tecnica.
Bunjii Kimura, l’allenatore del Sanga, a quei tempi era in girò per le Università del Paese per scovare nuovi talenti, aveva in mente il profilo preciso del calciatore che stava cercando, non combaciava con quello di Park, neppure sapevano della sua esistenza, poi se lo ritrovarono davanti.
“In una partita di prove, un giocatore ha arrestato i nostri occhi. Nonostante fosse infortunato, la prestazione di Park è stata eccezionale. Ha giocato solo circa 20 minuti, tuttavia, abbiamo potuto vedere il suo senso, la sua forza fisica e il suo potenziale, quindi abbiamo accettato lui invece del giocatore che pensavamo. Questo scouting suscitò molte critiche a Sanga perché Park era sconosciuto, al punto che avrei dovuto dimettermi. ” Bunjii Kimura
Bunjii Kimura, però, ci aveva visto lungo. L’arrivò di Park significo per il team di Kyoto promozione in prima divisione, con la vittoria del titolo J2 nel 2001. La stagione successiva, quel ragazzino si mise la squadra sulle spalle e la portò a trionfare, per la prima volta nella storia del club, in Coppa dell’Imperatore (con tanto di rete siglata in finale).
Hiddink, il mentore
Dopo soli due anni in Giappone, Guus Hiddink, già suo allenatore in Nazionale, lo convince a trasferirsi in Europa, in Olanda, insieme al PSV Eindhoven.
I primi tempi hanno il sapore della sconfitta, di quell’occasione che sembra dirti “ci hai provato, ma non fa per te”. La struttura fisica di Ji-Sung, compatibile con i ritmi orientali, sembra non essere adatta per il calcio continentale. Park, nonostante la stima del tecnico, fatica ad entrare in prima squadra ma non si arrende. Si allena tanto e si fortica: ci riesce. La scintilla si accende con la partenza di Robben, c’è un posto in più.
Inizialmente la sua collocazione è al centro dove garantisce una lettura di gioco fondamentale per gli equilibri della squadra. Partito il fenomeno olandese, Hiddink, il mentore, ha un’intuizione: metterlo in posizione di ala destra. Park esplode, corre talmente tanto che quando l’inquadrano ti chiedi come faccia a non essere sudato.
La consacrazione arriva durante la stagione 2004-2005. Semifinale di Champions League: Milan-PSV. Le marcature della sfida sono aperte naturalmente dal coreano, i rossoneri hanno la meglio, ma il mondo si accorge di quell’ala infaticabile, che sarà nominato tra i migliori giocatori della competizione dalla UEFA.
Serve una capacità polmonare bestiale
Tra i club che mettono il suo nome sulla lista della spesa spicca il Manchester United, che in estate si assicura le sue prestazioni firmando un assegno di 4 milioni di sterline.
Park Ji-Sung entra in una selezione di stelle. Quel Manchester era pieno zeppo di campioni e si preparava a vincere tutto. Diventare un titolare inamovibile non era cosa da poco, serviva una capacità polmonare bestiale e fu quella a stregare Sir Alex. Il ragazzo deve giocare, in qualsiasi ruolo ma deve giocare. Il coreano fa tutto: il centrocampista difensivo centrale, l’ala sinistra e l’ala destra, segna, costruisce gioco e non va mai sotto il 6 in pagella.
Verrebbe da dire che stiamo qui a parlare di uno di quei giocatori capaci di fare tutto ma non di non eccellere in niente. Verrebbe da dirlo, ma se non fosse stato ciò che era, probabilmente, i risultati che abbiamo visto raggiungere allo United di quegli anni non sarebbero stati possibili. Park era l’ago della bilancia, la volontà di undici in uno, un lavoratore infaticabile, un idolo della curva.
Nato per correre
Ad oggi Ji-Sung rimane l’unico giocatore asiatico ad aver giocato una finale di Champions League, quindi ad averla vinta. Le sue capacità di corsa senza sosta gli valsero decine di volte il titolo di Man of Match con la maglia dello United. Vederlo correre era un vero spettacolo, forse uno spettacolo diverso rispetto a quello per il quale ci si reca allo stadio.
Memorabili restano i suoi gol nei minuti di recupero, quando gli altri erano stanchi e lui no, come contro i Wolves al 93esimo. Memorabili restano le sue prestazioni difensive. Park Ji-Sung è stato un giocatore di squadra, nel vero senso della parola, uno pronto a sacrificarsi sempre per la causa e per i compagni, ad interpretare qualsiasi ruolo gli fosse affidato senza smorfie o mal di pancia.
I suoi sacrifici hanno significato 4 Premier e una Champions con il Manchester United, hanno significato un logorio del ginocchio che verso i 30 lo ha portato sul viale del tramonto: aveva dato tutto ciò che aveva. Lasciato l’Old Trafford ha lottato con gli acciacchi prima al QPR e poi, ancora, al PSV Eindhoven. Ha smesso nel 2014.
“Me ne vado senza rimpianti, mi è piaciuto giocare a calcio. Ho raggiunto più di quanto pensassi. Sono veramente grato per tutto il supporto che ho ricevuto e vivrò il resto della mia vita pensando a come poterlo rimborsare. ”
Park Ji-Sung, l’esempio
Park Ji-Sung, è stato un esempio. Uno di quegli uomini che fanno del sacrificio e dell’impegno la loro missione di vita, che grazie al quel sacrificio e quell’impegno riescono ad arrivare dove per le sole qualità naturali non sarebbero arrivati. Uno di quegli uomini che hanno un sogno e individuano una sola strada per prenderselo: correre.
Per avere un quadro, vero e proprio, definitivo, di ciò che Park è stato e ha significato, più che alle nostre parole, vi lasciamo alle sue.
“Ero seduto da solo in uno spogliatoio vuoto, con la gamba sinistra ferita. Devo dimostrare il mio valore quando mi viene data l’opportunità. Guardo la mia gamba, impotente, e mi chiedo perché mi sia dovuto ferire in questo momento. Quindi, coach Hiddink appare dal nulla con un interprete e mi parla in inglese. Non capendo, fisso l’interprete. Dice che ho una grande mentalità. Con quel tipo di forza mentale, diventerò un grande giocatore. Ero scioccato. Prima che potessi mormorare il semplice “grazie” in inglese, se n’era andato. Il cuore mi batteva forte.
L’allenatore sembrava essere sempre così lontano, ma venne da me e mi disse che avevo una grande mentalità. Da qualche parte dentro, l’energia si stava facendo sentire: mentalità. Non ho nient’altro di cui vantarmi, ma una cosa che potrei fare è non mollare mai. Sopporterò tutte le difficoltà, anche se ne morirei. E ho tenuto quella mentalità in tutta la Coppa del Mondo, ho giocato con quelle parole che mi risuonavano nelle orecchie.
Con la mia mentalità, posso diventare un grande giocatore. Ho calciato la palla e ho corso intorno al campo aggrappandomi a quelle parole. Nel bene e nel male, sono calmo e tranquillo, quindi non molte persone si accorgono di me. Ma ero sicuro che il Coach Hiddink mi avrebbe guardato e mi avrebbe spinto ad andare avanti. Questo mi ha dato coraggio.
Se non fosse per coach Hiddink, non sarei dove sono ora. Con le parole “dove sono ora”, non mi riferisco al fatto che sto diventando famoso o che sono in grado di acquistare un condominio spazioso per i miei genitori. Mi riferisco al fatto che ho imparato ad amarmi di più. Entro un minuto, ciò che mi ha detto l’allenatore Hiddink mi ha cambiato la vita per sempre. Mi sento un po’ ‘timido pensando a cosa penserebbe dopo aver letto questo, ma è il mio “maestro” e gli devo tutto e non sarò in grado di ripagarlo nella mia vita.” Park Ji-Sung, l’infaticabile
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