Solitamente, raccontare la vita di un personaggio sportivo che ha lasciato un segno profondo nell'arco della sua carriera, equivale a fare un lavoro di ricerca importante. Scavare nel passato, districarsi tra le innumerevoli statistiche, tra i gol e le presenze, tra i trofei conquistati e le partite chiave disputate. Già, perché quelli che vengono ricordati, a ben vedere, non sono poi così tanti e tendenzialmente hanno occupato le menti ed i cuori dei tifosi per un paio di decadi.

In questo caso no. Purtroppo, maledettamente, no. Eppure, solo pochi giorni fa, il Siviglia ha festeggiato il suo sesto trofeo in Europa League con una maglietta celebrativa che vale più di mille tweet: "La Puerta del cielo se abriò para los Reyes".

Antonio Puerta e Josè Antonio Reyes. Il secondo scomparso a nemmeno trentasei anni, in seguito ad un pazzesco incidente stradale. Uno che la maglia del Siviglia l'ha indossata per nove stagioni, timbrando tre dei sei trofei di cui sopra. Per poi far assaporare la propria classe anche agli aficionados delle due sponde di Madrid, Real ed Atletico, e fare una puntatina a Londra, sponda Arsenal.

Ma oggi è doveroso prendersi qualche minuto di tempo per ricordare il primo dei due: Antonio Puerta, tragicamente scomparso il 28 agosto del 2007, quando di anni ne doveva ancora compiere ventitré. E per farlo, iniziamo dalla fine, dal primo pomeriggio di quell'infausto giorno di tredici anni fa, quando il cuore di Puerta smette definitivamente di battere: tre giorni dopo Siviglia-Getafe, un paio di mesi prima la nascita di Aitor Antonio, suo figlio.

Il 25 agosto 2007, allo stadio Sanchez Pizjuan, il Siviglia ospita il Getafe nella gara d'esordio della Liga 2007/08. Una liga che poi finirà dalle parti di Madrid, sponda Real ovviamente: squadrone allenato dal teutonico Bernd Schuster, il Madrid di Capitan Raul, ma anche di Robinho e Robben, di Van Nistelrooy e Cannavaro, di Sneijder e del Pipita Higuain.

Ma torniamo a Siviglia. Per i padroni di casa la serata inizia male: una punizione di Pablo Hernandez, dopo soli centoventi secondi di gioco, porta in vantaggio la squadra avversaria, guidata in panchina da Michael Laudrup. Eppure, al termine dei novanta minuti di gioco il tabellone dello stadio parla chiaro: Siviglia 4, Getafe 1. Ma nello spogliatoio dei ragazzi allenati da Manolo Jimenez, c'è comunque poca voglia di festeggiare.

Siamo intorno alla mezz'ora di gioco quando un'innocua incursione offensiva del Getafe si spegne a fondo campo. Andres Palop, il portiere del Siviglia, cerca di riprendere in fretta il gioco, ma c'è qualcosa che non va. Accanto a lui, a due passi dall'area piccola, Antonio Puerta si accovaccia, stanco, quasi come sofferente a causa di un colpo. Ma di colpi, in realtà, non ne ha ricevuti. Un istante dopo crolla a terra ed i primi a soccorrerlo sono lo stesso Palop ed Ivica Dragutinovic: serbo, compagno di reparto di Puerta, che quella sera compie probabilmente l'intervento più bello di tutta la carriera. Si fionda sul compagno steso a terra estraendogli la lingua dalla bocca, riuscendo così ad evitarne il soffocamento.

In un attimo arrivano anche i medici ed i fisioterapisti del Siviglia. I tifosi appena dietro la porta sono terrorizzati ma, fortunatamente, Antonio Puerta, che lascia il posto in campo al compagno Duda, riesce a lasciare il terreno di gioco sulle sue gambe, tra gli applausi. Non rimetterà mai più piede su quel prato.

Il peggio sembra essere passato. Sembra, appunto. Appena il tempo di rientrare negli spogliatoi ed il cuore di Antonio si ferma ben cinque volte. Ci vuole un defibrillatore per tenere in vita un ventiduenne sportivo professionista, travolto da ben cinque arresti cardiaci. Arriva l'ambulanza e Puerta viene trasportato in barella all'ospedale Virgen del Rocìo dove, tre giorni dopo, smetterà di lottare.

La causa della morte è riconducibile ad una cardiomiopatia ventricolare aritmogena. Ed è bene fermarsi qui, lasciando da parte i dubbi, le domande, tutti i "se" che accompagnano, da sempre, le morti di sportivi di quel livello, iperallenati ed ipercontrollati. Non perché non sia importante, tutt'altro, ma perché tredici anni dopo è giusto ricordare cosa ha lasciato in eredità Puerta e perché, nonostante se ne sia andato così giovane, sia entrato prepotentemente nei cuori dei sivigliani.

Antonio era un canterano, ed a quelle latitudini è già un ottimo punto di partenza. A questo bisogna aggiungere che Puerta aveva il Siviglia dentro, essendo lui nato e cresciuto nel Barrio del Nervion, il quartiere dove nel 1958 ha visto la luce l'Estadio Sanchez Pizjuan e soprattutto dove, dal 2012, esiste una strada a lui dedicata: Calle Antonio Puerta. Fa tutta la classica trafila delle giovanili del club andaluso giocando insieme ad un futuro Campionissimo come Sergio Ramos. Resta a Siviglia anche quando la società cerca di piazzarlo altrove, per fargli maturare l'esperienza giusta prima del grande salto.

"Io sono nato a Siviglia, tifo Siviglia da sempre. Qui sono cresciuto e qui, solo qui, voglio giocare". E quando fai una dichiarazione del genere (seguita dai fatti), il pubblico non può che trasformarti in un vero e proprio idolo. Anche perché, a convincere i tifosi, non sono solo le parole. C'è anche il campo, e quello non mente mai.

L'esordio, poco più che diciannovenne, arriva nel 2004, quando Joaquin Caparròs lo getta nella mischia contro il Malaga. Ma è due anni dopo che Puerta entra nella storia del club. Il 27 aprile 2006 lo Schalke 04 è chiamato a cercare un gol nella Semifinale di ritorno di Coppa UEFA. All'andata, in Germania, è finita 0a0 ed il Siviglia deve ora far fruttare il fattore campo, stando attento però a non subire una rete che potrebbe comprometterne il cammino. Juande Ramos, tecnico degli spagnoli, ordina la sostituzione al minuto 77: cambio dell'esterno sinistro di centrocampo, fuori il brasiliano Adriano, dentro il Nostro.

I novanta regolamentari terminano in parità e De Santis, fischietto italiano del match, è pronto a dirigere le due squadre per un'altra mezzora. Sul cronometro è da poco scoccato il 100esimo minuto di gioco quando da destra arriva un pallone a mezza altezza che taglia tutta l'area di rigore. Un paio di rimbalzi e, dalla parte opposta, si fionda proprio Puerta; esterno sinistro che gira e che va a spegnersi a due dita dal palo alla sinistra di Rost. Uno a zero! Il primo che corre ad abbracciare Antonio è un italiano, è Enzo Maresca, colui che quindici giorni dopo metterà a segno una doppietta nella finale contro il Middlesbrough. Colui che oggi può esibire con orgoglio un tatuaggio con il numero 16 e la scritta "para siempre" in onore del suo grande amico. Ed esattamente quattro anni dopo quel gol, il 27 aprile 2010, viene eretta una statua in suo onore nel piazzale del Sanchez Pizjuan, con una targa che recita:

"Tu zurda nos regaló un sueño que cambió nuestras vidas, comenzando desde entonces una de las etapas mas gloriosas de nuestro club. Gracias Antonio"

Per Puerta è l'inizio di un sogno. Un sogno diventato realtà. Una realtà durata troppo poco. In un paio di stagioni porta a casa per due volte la Coppa UEFA, oltre ad una Supercoppa Europea, una Copa del Rey ed una Supercooppa Spagnola; e fa in tempo anche ad esordire con la nazionale delle furie rosseLuis Aragones non può non tenere d'occhio quel terzino/ala che sulla sinistra fa ciò che vuole e che con quel mancino può far davvero male. Se ne accorge lui, così come se ne accorgono i grandi club europei come Arsenal, Manchester United e Real Madrid. Ma lui, sevillista di Nervion, rinnova con il SUO club, per il quale darà la vita in campo.

Nel 2015 il Siviglia decide di ritirare la maglia numero 16. O meglio, di congelarla, fino a quando Aitor Antonio non raggiungerà la maggiore età. Un segno di riconoscimento, l'ennesimo, verso l'eterno Capitano. Antonio Puerta. La zurda de diamantes.