Maledetto questo 2020. Un anno che si sta portando via migliaia di persone e che ha ferito nell’animo i nostri cuori a causa dei cari che ci sono stati portati via da un nemico invisibile che si è dimostrato davvero difficile da affrontare. Un anno terribile che ci ha privato anche di persone non “comuni” e che hanno rappresentato, per alcuni, autentici pezzi di vita come Paolo Rossi e Diego Armando Maradona. Gli eroi mondiali che hanno fatto sognare intere generazioni in tempi fin troppo bui per i paesi che hanno rappresentato. Paolo Rossi, una persona umile e amichevole, che ieri ci ha lasciato dopo una sofferta malattia a soli 64 anni e che amava tantissimo la vita, un eroe umile, uno di “famiglia” che ha regalato grandi emozioni non solo con la nazionale, ma soprattutto al popolo bianconero dove si è preso la grande rivincita dopo le umiliazioni subite per colpe che forse non aveva commesso.

"era l'anno dei Mondiali quelli dell''86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi
Così Antonello Venditti cantava nel suo bellissimo brano Giulio Cesare, pezzo del 1986. Anche se il cantautore romano non hai mai confermato che il riferimento al suo verso della canzone fosse dedicato al “Pablito Mundial” a me piace comunque pensarlo, perché è impossibile che lo stesso cantautore nel 1982 non ne fosse rimasto estasiato da Paolo Rossi per via delle gesta “eroiche” che era stato in grado di compiere.
E’ stata subito la prima frase che mi è venuta in mente dopo aver appreso la triste notizia della sua morte, in effetti Paolo Rossi “era un ragazzo come noi”, così lo definirono le generazioni nate a cavallo tra gli anni sessanta e settanta che ha avuto la fortuna di poter ammirare le sue grandi gesta
sia in nazionale che soprattutto in maglia bianconera.
Un grandissimo campione che non ha avuto una carriera affatto semplice e che proprio nel momento più importante della sua vita calcistica è stato anche vittima di una delle pagine più buie del calcio italiano. Non ho potuto viverlo da giocatore per evidenti ragioni di età anagrafica ma quando chiedo a mio padre di Paolo Rossi il primo pensiero va al mondiale del 1982, quei mondiali hanno rappresentato un sogno che si avverava per tanti ragazzi di quella generazione, un obiettivo che sembrava impossibile da raggiungere, per molti fu anche una speranza di vita migliore. L’emozione che vedo nei suoi occhi quando mi racconta di quelle partite e di quelle serate vissute solo in parte con i miei nonni per via del servizio militare è un sentimento che mi fa capire quanto Paolo Rossi e tutta quella nazionale resterà per sempre nei loro cuori. Me lo ha sempre detto chiaramente mio padre: “il mondiale del 2006 è stato bello, per carità, ma quello dell’82 fu tutta un'altra storia”, posso solo immaginare i nostri genitori, ragazzi di appena vent’anni, davanti all’unica tv della casa insieme ai nostri nonni, con immagini fatte di colori ancora sbiaditi e con la voce tonante del mitico Nando Martellini in telecronaca, esultare ad ogni gol fatto da Pablito e godere delle gesta di quegli eroi che batterono prima l’Argentina di Maradona, poi il Brasile di Zico e infine la Germania di Rummenigge.

Paolo Rossi era un uomo semplice e molto umile, lui non si definiva un fuoriclasse ma era un attaccante incredibile, un goleador con il fisico da “impiegato” che è riuscito a vincere nello stesso anno, record raggiunto anni dopo solo da Ronaldo il “fenomeno”, contemporaneamente la classifica di capocannoniere del mondiale con nove reti, la Coppa del Mondo con gli azzurri e soprattutto il più grande trofeo individuale del calcio planetario, il pallone d’oro. Questo importante primato fa certamente capire che non era un giocatore “normale” ma che in realtà fosse un fuoriclasse assoluto e l’ha pienamente dimostrato al mondiale spagnolo dove i casi della vita l’hanno portato ad essere il “mattatore” degli azzurri al rientro da una lunga squalifica per le note vicende legate al calcio scommesse. L’unico uomo che è riuscito nella storia del calcio a far piangere il Brasile più forte degli ultimi quarant’anni, soprannominato dopo quella partita il “ Churrasco do Brasil”, il boia del Basile, è riuscito a segnare una tripletta storica che lo faranno rimanere per sempre nella storia del calcio mondiale. Un nome quello di Paolo Rossi che solo a nominarlo in Brasile era motivo di sommossa popolare da parte dei brasiliani visto che gli aveva portato via un sogno che sembrava ormai a portata di mano. A rafforzare questa tesi sono stati i miei genitori che mi hanno raccontato un episodio curioso che conferma questa incredibile verità e che mi piacerebbe condividere con voi. Era il 1996 e i miei si recarono in Brasile per trascorrere delle vacanze, decisero un giorno di fare tappa nel più grande stadio del Mondo il Maracanà di Rio de Janeiro, visto che mio padre è un grandissimo appassionato di calcio. Ed è prima di entrare allo stadio per visitarlo che la guida turistica locale fece delle precise raccomandazioni al gruppo di italiani “mi raccomando non nominate Paolo Rossi al custode, vi prego diventa subito irascibile e poi chi lo calma”. Be sapete che noi italiani siamo un popolo che fa il contrario di tutto quello che gli si dice fu così che il gruppo credendo che fossero solo voci, gridò con cori da stadio “Pablito olèè , Pablito olèè, Pablito olèè”, il custode invipireto per tutta risposta in un primo momento negò l’accesso allo stadio “gridando noooooo el Churrasco Do Brasil, nao podes entrar” e fu solo grazie alla guida turistica che il custode si convinse a farli entrare visto che erano solo dei turisti “italiani” che avevano osato nominare colui che li aveva fatti piangere in un mondiale che mai avrebbero creduto di poter perdere soprattutto per mano dell’Italia e per i piedi di Pablito Rossi. Tuttavia anche lo stesso Pablito raccontò un episodio curioso a distanza di anni dal mondiale spagnolo:

“Erano passati sette anni ormai dal Mondiale in Spagna, ma per loro quella sconfitta con l'Italia era ancora una ferita aperta. Mi trovavo a San Paolo, dove mi avevano invitato a giocare un torneo tra ex calciatori. Un tassista brasiliano, dopo aver fatto con la sua auto un centinaio di metri, mi riconobbe dallo specchietto retrovisore, frenò di colpo e urlando come un pazzo mi ordinò di scendere: ‘Lei è il churrasco do Brasil' ('il boia del Brasile') che mi ha fatto soffrire da matti e ha gettato nel dolore, in quella notte spagnola, un’intera nazione. Fuori da qui!"

Tutti ricordano il Mundial dell’82: la grande gioia di un Paese intero che finalmente si lasciava alle spalle l’incubo del terrorismo e delle pagine buie del calcio che per troppo tempo avevano afflitto l’Italia e l’intera popolazione. Pochi però ricordano come Pablito giunse a quello storico appuntamento, dopo una squalifica, assolutamente ingiusta, di due anni per il primo filone di calcio scommesse e con un Italia che arrivava al mondiale attraverso una qualifica ottenuta per il rotto della cuffia. Una carriera che fu fatta di molti alti ma anche di tanti bassi, ma fu sempre grazie alla sua grande forza morale che ogni qual volta che prese delle batoste, riuscì sempre a risollevarsi e a diventare l’eroe che tutti conoscono. Secondo Paolo questo era il segreto della vita, perchè non tutto va sempre come deve andare e come si è programmato, c’è sempre una sorta di “giustizia divina” che riesce a rimediare a ciò che a volte la vita ti toglie ed è questa un po’ la storia di Paolo Rossi.

In quel 1982 c’era nell’aria una grande voglia di rilancio di un intero Paese, una nuova Italia stava per nascere e Paolo Rossi ne fu il simbolo per eccellenza oltre a rappresentare un periodo che fu bello per tutti i ragazzi che stavano per vivere quel nuovo decennio. Una nazionale che non era partita con i favori del pronostico e che si portava dietro un vento di polemiche anche per via delle scelte “impopolari” fatte dal “Vecho” Enzo Bearzot colpevole di aver lasciato a casa il capocannoniere del campionato “Roberto Pruzzo” per aver scelto al suo posto, quell’omino con i fianchi larghi e le gambe molli agli occhi della gente e tecnico e letale per il ct della nazionale. Nonostante ciò Paolo divenne il simbolo di una nazionale che vedeva nel più grande presidente della Repubblica, che l’Italia avesse mai avuto, Sandro Pertini il suo primo grande tifoso, nel suo allenatore un grande maestro di calcio e nel suo capitano Dino Zoff il leader silenzioso che dopo la falsa partenza dell’Italia faceva da parafulmine al silenzio stampa che era stato imposto alla nazionale.

E’ proprio strano come il fato in poco meno di un mese ci abbia portato via i due più grandi protagonisti dei mondiali degli anni 80'. Una strana coincidenza che mi lascia basito e con un amaro in bocca per gli anni che ancora questi due grandissimi campioni potevano vivere per ricordare ancora a lungo le loro grandi gesta alle generazioni future che cominciano ad approcciarsi al mondo del calcio. Un grande rammarico che lascia un vuoto incolmabile in un mondo del calcio sempre più privo di bandiere e più interessato al dio denaro. Rossi e Maradona erano dei campioni unici nel loro genere, uno un eroe l’altro una divinità, Rossi trascinatore dell’Italia nel 1982, Maradona dell’Argentina del 1986. Come se i due si fossero passati lo scettro di eroi dei Mondiali per i loro Paesi e che adesso si ritrovano lassù insieme magari a parlare di quella volta che Pablito purgò l’Argentina di un giovanissimo Maradona che a sua volta gli avrebbe usurpato il trono di re del mondiale proprio quattro anni dopo quell’incredibile vittoria nella coppa del mondo in terra spagnola da parte degli azzurri. Tutto il mondo del calcio è più triste senza di loro e anche se molti di noi non hanno avuto la possibilità di viverli intensamente e di provare delle grandi emozioni vedendoli giocare è innegabile che ciò che lasciano in eredità è un grande amore verso il calcio e verso quei tifosi che li hanno sempre sostenuti e amati per via delle grandi gesta da eroi “nazionali” che hanno compiuto e che resteranno per sempre impresse nelle memorie di ognuno di loro.

Paolo lascia anche un importante messaggio ai più giovani: 
"Voglio far capire loro che uno qualsiasi, uno normale, può farcela. Io non ero un fenomeno dal punto di vista atletico, non ero neanche un fuoriclasse. Ma ero uno che ha messo le sue qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport ma anche nella vita”.
Un ultimo saluto...
Addio Paolo, il tuo mito non morirà mai, hai fatto sognare milioni di italiani che nella tua semplicità hanno rivisto loro stessi, il tuo messaggio non verrà dimenticato così come le tue gesta che sono state eroiche, tu eri un ragazzo “come noi”, uno di famiglia, un amico sincero e soprattutto una persona umile che con grandi sacrifici è riuscita a realizzare il sogno di milioni di italiani”.
Ciao Paolo!!