Sono stati ufficializzati ieri i 30 nomi rientranti nella lista dei candidati alla vittoria del più ambito riconoscimento individuale nel mondo del calcio ed anche quest’anno la lotta tra CR7 e Messi farà da padrone nella corsa al trofeo istituito da France Football, con l’incognita di alcuni top player del Liverpool (Van Dijk su tutti) laureatisi campioni d’Europa e che potranno dire la loro in un anno privo di Mondiali ed Europei.

Senza mezzi termini, il Pallone d’Oro, a parere del sottoscritto, ha un fascino unico a livello simbolico, ma ha dei limiti che lo rendono meno “divino”: sicuramente, la generazione di una sorta di “duopolio” nell’ultimo decennio (interrotto solamente dalla vittoria di Modric dello scorso anno, che è invece l’escluso illustre di quest’ultima tornata insieme a Neymar e Pogba, altri grandi assenti pesanti) non ha apportato benefici in termini di attrattività, in quanto la corsa è sempre stata ristretta a due soli nomi, creando scarsa imprevedibilità che alla lunga porta a togliere pathos.

Ma guai a cadere nel tranello del classico “era meglio prima”: fino al 1995 il premio era riservato solo ai calciatori europei, i quali dovevano obbligatoriamente militare nei campionati affiliati alla UEFA, paletto anche esso caduto, sebbene solamente nel 2007.

Emerge in modo lampante, dunque, che già in origine qualcosa ha sempre stonato, in quanto, in molteplici occasioni, a trionfare non è stato realmente il calciatore più forte dell’anno, ma quello considerato migliore solo se in possesso dei prerequisiti (discutibilissimi) necessari per essere candidati alla vittoria finale.

Ci sono, poi, almeno un paio di questioni eternamente dibattute: il premio deve andare al giocatore più forte dell’anno o al giocatore ritenuto il migliore in assoluto? Il regolamento, in questo, parla abbastanza chiaro: a vincere dev’essere il calciatore che si è maggiormente distinto durante l’anno solare. Pertanto, le polemiche in merito dovrebbero essere azzerate, sebbene ciò provochi degli autentici paradossi: ci sono calciatori che hanno indovinato una stagione memorabile e che sono riusciti a portarsi a casa il titolo (penso al nostro Paolo Rossi o a Michael Owen) e ci sono fior fior di professionisti che hanno avuto un rendimento costante ad altissimi livelli per tutta la durata della loro carriera ma che, per motivi differenti, non sono mai riusciti ad ottenere l’agognata incoronazione (i mitologici Pelè o Maradona, fino ai vari Baresi, Maldini e Raul).

Maggiormente condivisibile è la critica sulla disparità nel trattamento tra giocatori d’attacco e difensivi: la visibilità dei talenti offensivi è chiaramente superiore a quelli del reparto arretrato, ancor più marcata se parliamo dei portieri, i quali possono vantare un solo trionfo, ormai arcinoto, targato Jasin nel 1963.

Per avere maggior consenso, la prima grande svolta dovrebbe essere quella di differenziare per ruolo: si creerebbe una vera cerimonia da Oscar, con tanto di nomination distinte per ogni categoria, assegnando il trofeo ai migliori in assoluto e non ad un singolo, in quanto i parametri di valutazione sono troppo eterogenei per decretare il numero uno generale.

Gli scontri non mancherebbero neanche in questo caso: in un’epoca in cui anche con l'introduzione della tecnologia sui campi si riescono sempre a trovare spunti di discussione, avremmo sempre la polemica dietro l’angolo anche con queste modifiche.

Non di rado, infatti, le decisioni dei deputati alla votazione hanno fatto storcere il naso: senza andare troppo indietro nel tempo, a Milano (sponda neroazzurra) e a Monaco di Baviera, ad esempio, ancora si chiedono cosa possa esserci più di un Triplete per vedere trionfare un proprio tesserato.

Alla luce di queste considerazioni, il Pallone d’Oro è sicuramente un riconoscimento gratificante ma che non rende giustizia in pieno.

Prendiamolo per quello che è: un importante titolo ma che dobbiamo ridimensionare.

C’è poi un ultimo aspetto più filosofico che tecnico: il calcio è un gioco di squadra. L’obiettivo, nel gioco del football, dovrebbe essere quello di porsi dei traguardi di team e fare il possibile per conseguirli.

Quindi, la vittoria di un premio individuale, per quanto affascinante, non dovrebbe mai essere considerata più importante anche solo di una semplice Coppa nazionale, perché a calcio si gioca in undici e mai, ma realmente mai, da soli.

Il palmares che conta è quello dei risultati della propria società o Nazionale di appartenenza; tutto il resto, è contorno.