Il Pallone d’Oro è un premio annuale che France Football assegna al giocatore distintosi per particolari meriti durante il corso dei 365 giorni. Nel 2020 non verrà assegnato. Come riportato da SkySport, la decisione è stata operata da Pascal Ferrè, caporedattore del citato settimanale d’Oltralpe, in accordo con l’Equipe, noto quotidiano connazionale. La motivazione è legata alla particolarità del periodo che ci coinvolge con le sue stranezze e peculiarità dovute purtroppo alla terribile emergenza provocata dal covid-19. La commissione decidente ha ritenuto che, con soltanto 2 mesi routinari, non si possa definire un migliore. Il calcio senza il pubblico e le Finals con gara secca di Champions ed Europa League potrebbero avere fatto la differenza. E’ una scelta assolutamente sensata, ma che non condivido. Convivere con le novità, positive o negative che siano, non bloccarsi per esse. Vuol dire accettarle, esserne consapevoli e adattarsi alle stesse. “La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”. Così parlava Albert Einstein. La dote citata è davvero molto complessa da raggiungere, ma il moto è il segreto per trovarla. Bisogna fare. In sicurezza, è necessario proseguire. La realtà che viene interrotta è una resa nei confronti del male incombente. Occorre avere la forza di marciare per non cadere nella disperazione e condurre un’esistenza non degna di essere definita tale. E’ chiaro che il Pallone d’Oro non può fare la differenza in un momento così difficile, ma è uno dei molteplici tasselli che compongono il puzzle. Bisognerebbe assegnarlo anche perché il calcio di prima non tornerà più. Dovremo attendere a lungo per recuperare la normalità e il mondo sarà cambiato pure in quanto il solo trascorrere del tempo lo modifica. Convivere con il virus significa adattare la proclamazione del vincitore al nuovo modo di intendere lo sport. Non si è trattato di un anno calcisticamente meno importante, ma di un periodo nuovo con le sue diversità rispetto al passato. La decisione adottata risulta un precedente piuttosto pericoloso perché, d’ora in poi, si potranno addurre molteplici casi particolari che spingono a una data determinazione. A parte qualche rara eccezione, i tornei si sono eseguiti anche se non tutti con format canonici. Chiudo con una provocazione. Se tali peculiarità divenissero la norma, non si concederebbe più il più prestigioso trofeo individuale? Non credo sarebbe una soluzione plausibile. Non voglio proporre illazioni che poi non riuscirei a confermare con il supporto di prove. Riporto, quindi, solo un fatto. La Ligue 1 si è fermata mentre gli altri campionati migliori d’Europa non hanno chiuso i battenti in anticipo. France Football è transalpina.

A volte, tra la sfortuna e le ingiustizie, la distanza è davvero breve. La differenza è molto esigua tanto da pensare che queste viaggiano di pari passo. Sarà capitato in miriadi di occasioni e gli esempi sono molteplici. Basti pensare a chi, purtroppo, viene condannato per un reato che non ha commesso o chi ha sempre tenuto le massime precauzioni, ma viene colpito da una malattia infettiva. E’ triste scrivere di certe situazioni, ma questa è la vita. Esistono persone che conducono un’esistenza perennemente serena e altre che, invece, patiscono solo sofferenze. Vi sono individui che “si spaccano la schiena sul lavoro” guadagnando montagne di denaro, ma non hanno nemmeno il tempo per salutare i loro famigliari. Altri, invece, vorrebbero riuscire a mantenere i propri cari e non ne hanno la possibilità. Potrei proseguire per ore, ma mi fermo perché non voglio elencare tutte le infelicità di un mondo davvero particolare. Qualcuno sostiene che: “la Dea Bendata è cieca, ma il suo opposto ci vede benissimo”. E’ proprio ciò che intendo affermare. In troppi casi, è una nuda e cruda realtà.

Il paragone è di certo forzato e non apportabile, ma Lewandwski vive una situazione simile. Ultimamente il Pallone d’Oro non viene assegnato al giocatore più bravo e vincente, ma ci si rivolge a un discorso più generale. Lo vince il Campione Assoluto. Non è un caso se, dal 2008, l’unico in grado di rompere il duopolio targato Ronaldo-Messi è stato un fuoriclasse come Modric. Il successo del croato è giunto, tra l’altro, tra giusti moti opposti. Penso che si debba mantenere una linea e, se si opta per un dato principio, poi occorre che sia rispettato. Nel 2010 Iniesta conquistò il Mondiale con un gol in finale dopo una stagione super straordinaria. Sneijder centrò il triplete da protagonista e giunse sino all’ultimo atto del torneo più importante del globo, ma la Pulga alzò il trofeo individuale. L’argentino non aveva vissuto l’annata gloriosa dei citati colleghi, ma il suo talento lo incoronò come lo premiò anche nel 2019 a fronte dei vari Salah o Manè, componenti del Liverpool epico di Coppa. Può starci. Con quella logica, però, nel 2018 avrebbe dovuto trionfare CR7. Il lusitano fu campione d’Europa come Modric, ma sicuramente più rappresentativo e decisivo con reti come quella in rovesciata contro la Juve o il rigore spartiacque per il passaggio del turno realizzato con freddezza nel match di ritorno sempre con i bianconeri. Così il riconoscimento sarebbe stato ancora egemonia della coppia sino a quest’ultima edizione assolutamente meritata da Lewandowski. I due marziani, infatti, non hanno disputato i soliti 365 giorni né a livello di trionfi, né individualmente. Robert non ha soltanto azzeccato la tripletta di successi stagionali, ma ha pure realizzato 55 gol in 47 presenze così suddivisi: 34 centri su 31 comparse in Bundes, 15 su 10 in Champions e 6 su 5 in Coppa DFB. L’unica competizione senza reti è la Supercoppa Tedesca. Mostruoso. Fantascientifico. A questo si deve aggiungere il valore generale del giocatore che è magnifico e la longevità del suo livello eccelso che perdura ormai da anni. Sarebbe assolutamente inutile specificare le qualità di un campione arcinoto che ha già superato la soglia dei 30 anni. Rappresenterebbe un vano esercizio di stile che non voglio propinarvi. La sfortuna, però, ha voluto che, proprio nel 2020, non si assegnasse il trofeo. Poco male per Lewa che, stando alla foto nel letto con la “Coppa dalle grandi orecchie” circolante sui vari media, non mi pare poi così sconfortato dalla vicenda. La iella non finisce qui. Inizio con lo specificare che il mio discorso è prettamente calcistico ma, allo scopo di centrare bottini con la maglia della Nazionale, l’avere il passaporto polacco non rappresenta un grande vantaggio. Nonostante compagni come Sczchesney, Glik, Zielinski, Piszczek, Blaszczykovski, Milik e Piatek, il bomber dei bavaresi non è mai riuscito, nemmeno in passato, a conquistare una competizione. D’altra parte, Robert vanta miriadi di motivi per essere fiero del Paese in cui è nato. Non sarà sicuramente l’inerzia citata a modificare la sua opinione.

L’attaccante si leva le sue soddisfazioni tramite il Bayern Monaco con cui ha vinto una Champions, un Mondiale per Club, 6 Maisterschale, 3 Coppe di Germania, 3 Supercoppe Nazionali e una Supercoppa Uefa in 6 stagioni. A queste si devono sommare 2 campionati e una Coppa DFB vinti con il Borussia Dortmund oltre ad alcune competizioni conquistate in patria. Scusate se è poco e mi sento piuttosto sicuro nell’affermare che la liaison tra l’attaccante, i rossoblù e le vittorie non si interromperà così. Si parla infatti di una compagine magnifica che sta insegnando come ci si deve muovere all’interno del sistema calcio. La scelta di Niko Kovac nel ruolo di allenatore non ha portato i frutti sperati così i campioni d’Europa, nel mese di novembre, hanno virato su Hans-Dieter Flick. E’ un ottimo tecnico ben voluto dai suoi giocatori. A dimostrazione di ciò basti ascoltare le dichiarazioni rilasciate da Coman dopo la finale di Champions. L’ala francese ha esaltato le qualità del suo allenatore senza grandi elucubrazioni. La società, condotta da mostri sacri come Rumenigge, Kahn o Salihamidzic, ha messo a disposizione del manager questa compagine: Neuer; Kimmich, Boateng, Alaba, Davis; Thiago Alcantara, Goretzka; Perisic, Muller, Gnabry; Lewandoswski. Uno squadrone devastante. Nel tempo, i bavaresi hanno avuto la forza di formare qualcosa di straordinario senza spendere patrimoni per “provare a raggiungere tutto e subito”. Si sono affidati ai giovani, ma concedendo loro lo spazio per crescere. Il riferimento è, per esempio, a Kimmich e Coman. Altri, come Goretzka, si sono dimostrati subito pronti per il grande palcoscenico. Gnabry era un talento di buone speranze cresciuto altrove. In Baviera ha trovato l’ambiente giusto per completarsi e divenire un top player. Nonostante un periodo di difficoltà, Neuer, Alaba e Muller sono tornati su livelli egregi fungendo pure da chiocce per un gruppo che nutriva la necessità della loro esperta presenza. Si parla di giocatori che avevano già trionfato in Champions nel 2013. I 2 tedeschi hanno alzato pure la Coppa Rimè nel 2014. Gli ingredienti per il triplete, quindi, erano perfettamente amalgamati. A questo si aggiunge un quadro tattico magnifico. La fase di non possesso, come quella di transizione passiva, non è propriamente devastante. La perfezione, però, non è parte dell’essenza umana e il Bayern è un sistema composto da elementi della specie. La “palla dietro” la retroguardia crea sempre qualche problema che può essere dovuto al posizionamento. D’altronde i membri del reparto hanno caratteristiche piuttosto offensive o comunque non vantano la concentrazione come dote migliore. Per il resto è una compagine praticamente senza macchia. Davis è un motorino instancabile ed è uno dei giocatori più veloci al mondo. Il suo soprannome è piuttosto chiaro, Beep beep. Il riferimento palese è al noto struzzo del dei Looney Tunes che, grazie alla sua scaltrezza e alla rapidità, riesce costantemente a non terminare tra le fauci dell’acerrimo nemico Willy Coyote. Le sfuriate del canadese sulla fascia sono il simbolo della stagione rossoblù. Thiago ha una visione di gioco fenomenale. Goretzka è fedele scudiero. Muller ha un senso della posizione e della porta che vantano in pochi al mondo. L’esperienza ha rafforzato questa capacità innata. Gnabry denota qualità, potenza e un tiro devastante con le spalle ben coperte da Kimmich. Perisic è in grado di lasciare il giusto spazio alle sortite di Alphonso e Coman è abile nel medesimo compito. Lewandwski è la punta di diamante. Il vertice di un iceberg inaffondabile e non sgretolabile. E’ una macchina assolutamente magnifica che rispetta al meglio i canoni del pragmatismo tedesco. Come non assegnare il Pallone d’Oro a un membro di tale gruppo?

In ultima istanza: il premio sarebbe la perfetta ciliegina sulla torta del capolavoro tedesco. La Germania ha mostrato di essere il Paese che ha meglio gestito il rapporto tra la pandemia e il calcio. Le Istituzioni Politiche e Sportive sono sempre riuscite a collaborare efficacemente garantendo una ripartenza della Bundesliga quando la stragrande maggioranza degli altri Stati era ancora in alto mare. Questo ha permesso loro di finire la stagione e di compiere tale attività entro il 30 giugno. Così hanno potuto affrontare le competizioni europee senza la stanchezza palesata dalle compagini di altri tornei. Hanno potuto anche analizzare meglio la situazione relativa al calciomercato. Un discorso molto simile si potrebbe adottare per la Francia con la differenza che l’interruzione prematura ha causato molti ricorsi e il risultato sportivo della Ligue 1 è stabilito con l’assenza di parecchie gare. Non si tratta proprio di una situazione idilliaca. E’ logico che, davanti all’emergenza attuale, non si può certo sindacare su un discorso di tempistiche o di logorio dei giocatori, ma i teutonici hanno avuto coraggio e mostrato a tutti la via. Si poteva e doveva andare avanti in sicurezza soprattutto per salvaguardare il sistema con la sua miriade di posti di lavoro.