Palleggiare tra le nuvole
Ci sono persone, volti, momenti che rimangono segnati nella vita di ognuno di noi. Attimi in cui abbiamo preso decisioni, abbiamo assistito ad eventi eccezionali con consapevolezza di vivere la Storia o con la necessaria e stupida normalità dell’esistenza. Giorni che sarebbero diventati gloriosi, cantati dai poeti e dalle mille voci del coro dei media e dell’informazione, e che nei nostri cuori rimangono in un angolo, quello dei bei ricordi e delle emozioni forti.
Molti di questi ricordi, ammettiamolo, restano legati al mondo del Calcio. Sarà per la diffusione endemica attraverso gli schermi di troppe televisioni immerse nelle nostre abitazioni; sarà per il senso di appartenenza che ci ispira la curva dello Stadio (uno dei pochi luoghi in cui l’uomo moderno è ancora segnatamente diviso in caste e sprigiona il suo diritto sacrosanto di rivalsa sociale e battagliero), sta di fatto che il mondo del pallone ha sostituito nell’immaginario popolare l’antico torneo medioevale, la singolar tenzone, il duello ottocentesco, la battaglia con le baionette. Quindi, tutto quello che viene catapultato da questo mondo nella vita reale diventa Mito. E diventano Mito gli eroi che si muovono sul campo, qualsiasi colore rappresentino, qualsiasi maglia abbiano addosso.
Certo che noi del Toro, soprattutto chi ha una certa età, col Mito abbiamo convissuto per anni e non solo per le imprese calcistiche degli eroi granata ma, troppo spesso, per le disgrazie che hanno colpito la squadra. Le disgrazie, le morti. Ecco anche gli Invincibili muoiono, ad ogni latitudine, in ogni attimo, diventando Leggenda e Storia da raccontare.
Qualche mese fa, il mondo ha perso un uomo piccolo e grasso, ricco e disperato nel corpo e nell’anima. Non ci sarebbe stato nulla di speciale se quel signore di mezza età non si fosse chiamato Maradona. Da avversario, da amico di alcuni suoi amici, mi sono sentito di scrivere, allora, queste parole che propongo ai lettori appassionati, soprattutto a chi, di lui, conserva ricordi che, personalmente, vorrei avere io.

A Diego Armando Maradona.
No, non ti ho conosciuto.
Ti ho visto giocare, ti ho amato da appassionato, odiato da tifoso e seguito nella tua folle vita durante il calcio, dopo il calcio. Ho saputo tanto ma veramente poco di te. O meglio ho saputo quello che hanno sempre scritto di te i giornali, quello che ho visto alla televisione, quello che capivo con le mie piccole forze. Ma di te ho ricordi bellissimi, legati al periodo più bello della mia vita. Sono nato un anno prima di te. Non che questo importi, ma le mie esperienze sono legate al periodo storico e reale in cui anche tu hai vissuto. Anche se eri dall’altra parte del mondo abbiamo condiviso quegli anni, difficili, duri.
L’anno prima della maturità, il 1977, un articolo di Tuttosport mi informava della tua presenza (sì ho i miei motivi per usare questa parola, la querida presencia, della canzone del Che), qualcuno ti voleva al Toro e c’era la tua foto, piccolo e smilzo, riccioluto e caparbio.
Maradona e la Maratona.
Oddio, c’era da tremare solo al tuo nome.
Nessuno ti conosceva ancora. Poi sei diventato famoso.
Io ho aperto il negozio a Torino e dall’84 fino al 90, almeno, quel piccolo magazzino, pieno di frigo, lavatrici, televisori, computer e colmo di novità sensazionali, è diventato un ritrovo di gente granata, di amici, di giocatori che, finito l’allenamento al Filadelfia, venivano a vedere cose nuove, a ridere un po’ e a prendere aperitivi e cappuccini con il sottoscritto. Ero fornitore, amico, confidente di tanti ragazzi granata e qualcuno della Juve, molti miei coetanei e molti ancor più giovani di me.
Io, che non ti ho mai conosciuto, ancora oggi, a mesi dalla tua morte, stamattina, poco fa, ho pianto per te. Vedere i ragazzi dell’Italia esultare per la vittoria contro gli Spagnoli mi ha fatto pensare a te ed al dolore che, so per certo, hai lasciato nel cuore di tanti amici, non solo degli ammiratori, e non solo nel mondo del calcio. La tua storia, la tua leggenda, non è finita mesi fa, anzi, si alimenterà ancora di aneddoti, di particolari anche confusi e sprezzanti, ma si alimenterà. E vivrai ancora, sempre, nei cuori di tutti, anche di quelli che, ancora adesso, hanno il coraggio (sentono il dovere) di parlare male di te, invidiosi, come al solito, anche delle sofferenze e degli errori degli altri.
Io, che non ti ho mai conosciuto, ho una maglia del Napoli a casa, una di quelle che indossavano i giocatori quando c’eri tu in squadra. Me l’aveva mandata un ragazzo che era tuo compagno di squadra, uno che aveva pianto per lasciare Torino e venire giù a Napoli: -Sei forte- gli dissi - vai a giocare con Maradona, vai a vincere e godere- e venne e vinse.
Io, che non ti ho mai parlato assieme, ho confidenze e racconti su di te, come uomo, come calciatore, che potrebbero riempire libri di storia e di situazioni umane. Sei stato il più grande su quel campo enorme, attorniato da folle urlanti e mille occhi che aspettavano una tua magia per applaudirti o un errore per fischiarti.
Ma so per certo, che nei piccoli gesti, in ogni cosa che facevi dentro e fuori dal campo, traspariva la tua essenza di uomo. Un uomo dal cuore buono, dalla personalità sensibile e schietta. Un uomo, come tanti, finito, forse spinto a forza, nel mare della droga ma sempre, con la mente e negli eccessi del tuo essere, dalla parte dei poveri, dei deboli, degli ultimi. Questo lo so. I ragazzi di allora, i tuoi avversari, quelli che ti menavano in campo e che prendevano botte da te, ed insulti per tutta la partita, e che poi abbracciavi sorridendo, mi raccontavano questo, allora.
Eri il loro idolo. Parlavano di te come di un Maestro, e questo mi basta per ricordarti. Sapere che gli amici di un tempo (ma si perde l’amicizia o rimane nel cuore per sempre?) stanno ancora soffrendo per la tua morte, raddoppia la mia tristezza.
La tua presenza, amabile, carissima, rassicurante, rimarrà nei nostri cuori. Il resto, le questioni dei saggi, per ora le lascio a chi parla.
Per me tengo il silenzio, ed una maglietta da mostrare ai miei figli.
“Qui rimane la chiara, penetrante trasparenza della tua cara presenza” dice il testo della canzone dedicata al Comandante Che Guevara, tuo connazionale e Mito assoluto di tante generazioni di cuori agitati e ribelli, e nulla è più vero.
Addio Diego, o meglio arrivederci. Mi piace pensare che ora, in qualche prato lassù, stai correndo con tutti i grandi che ti hanno preceduto. Stai palleggiando sulle nuvole mentre Dio, che finalmente ti ha tutto per sé, non ha più bisogno dell’abbonamento alle pay tv per guardarti. Un bel risparmio.

Clay Mc Pants