“Caro Rivera… sono certo che continuerò ad essere, quale voglio essere, un modesto testimone della sua felice operosità sul campo, là dove lei inventa con grazia fulminea ed irripetibile il gioco. Il calcio è come la poesia, un gioco che vale la vita. Voglio dirglielo: anche il poeta ha il proprio campo ove parole, colori e suoni vanno verso l’esito felice. Fa anche lui il gol o lo lascia fare, dando spazio alle ali, al lettore che cammina al fianco e che entra in porta con lui, nella felicità di aver colpito il segno”.

E’ un brano – forse il più lirico e suggestivo – della lettera aperta che Alfonso Gatto, poeta tra i più insigni del ‘900 e dell’ermetismo -.indirizzò, il 7 maggio del 1975,  dalle pagine de Il Giornale di Montanelli, dove curava una rubrica settimanale di calcio, a Gianni Rivera. Gatto era un grande appassionato di calcio, ma soprattutto nutriva una passione immensa  per il Milan e per Gianni Rivera della cui eleganza tecnica era invaghito tanto da definirlo il Nureyev del calcio. Diciamocela tutta: Gatto era un passionale, tifoso da Curva Sud. Sono celebri le sue dispute con Vittorio Sereni, altro grande protagonista della letteratura italiana, ma di fede interista. Nel suo studio aveva un poster gigante del mitico numero 10 milanista. Così abbiamo la misura di quanto grande era la passione di questo eclettico poeta per il Milan.
La compagine rossonera – forse per via dei colori stendaliani della sua maglia – ha stimolato la fantasia e l’estro di molti letterati. Primo Levi, l’autore de ‘ La tregua’ e ‘Se questo è un uomo’, in suo racconto dal titolo ‘Trattamento di quiescenza’ immagina di segnare un goal con la maglia rossonera. Molti tra noi, sicuramente, ricordano, Fabio Cudicini, spilungone guardiano della porta rossonera nell’epoca più felice della società, che suscitò invece  la curiosità e l’estro dello scrittore Michele Prisco che lo fece protagonista di un suo racconto del 1975.
Storica, invece, fu la risposta dello scrittore Luciano Bianciardi a Pier Paolo Pasolini che aveva sminuito le qualità di Gianni Rivera. “Dante Alighieri – replicò piccato Bianciardi – lo aveva previsto settecento anni fa, quando scrisse “Io vidi lume in forma di rivera“.
Antonio Skarmeta,
autore de ‘Il postino di Neruda’ da cui , nel ’94, è stato tratto l’omonimo film con Troisi – cesellò, con grande maestria letteraria, le figure di Schnellinger e Rivera. Grande e intenso il ritratto di Marco Van Basten di Kazuo Ishiguro, premio Nobel 2017 per la letteratura. La corrente letteraria, incentrata sul  Milan, annovera anche le performance di grandi giornalisti e scrittori come Beppe Viola, Giulio Nascimbeni e Oreste Del Buono.

CALCIO E LETTERATURA
Ovviamente il binomio calcio-letteratura non si è avvalso solo del Milan come fonte ispirativa. Ma, confessiamolo, abbiamo pagato un pedaggio sentimentale alla nostra passione di tifosi rossoneri. D’altronde, come si dice, nessuno è perfetto. Scopo di questo nostro excursus è capire quali connessioni e quali contaminazioni letterarie o poetiche si sono sviluppate, nel tempo, intorno a questo sport universale.
E’ materia sterminata! La nostra è solo una sintesi, certamente imperfetta. Confidiamo nella comprensione di quanti avranno la bontà di leggerci.

Il primo grande poeta e scrittore, a frugare nel fascinoso mondo pedatorio, è stato Giacomo Leopardi. Nel contesto della sua opera del 1821, Canzoni Civili e patriottiche c’è la poesia A un vincitore nel pallone. La chiave di lettura interpretativa è legata al contesto politico del tempo che il poeta recanatese giudica negativamente. La poesia è dedicata a Carlo Didimi di Treia che eccelleva nel ‘gioco del pallone’. Era, in pratica, quello che oggi definiremmo un fuoriclasse. Ma Didimi è soprattutto un patriota e carbonaro e nella poesia il poeta ne esalta “l'agonismo e il rischio come unici rimedi ad un'esistenza svuotata di qualsiasi valore”. Leopardi, “oltre ad elogiare il ragazzo, lo incita a continuare così e, anzi, a fare ancora di più. Che sia una vita attiva e anche rischiosa, che offra la possibilità di salvarsi dall'infelicità e dalla noia cercando di passare dall’ignavia all’azione”.

Facciamo adesso un ardito salto temporale e arriviamo a un altro grande cantore dell’ars pedatoria: Pier Paolo Pasolini. Proprio in questo mese  iniziative editoriali, mostre e programmi Tv hanno celebrato i 100 anni della nascita del grande scrittore friulano. Molte immagini lo ritraggono in tenuta da calciatore. Ecco, Pasolini il calcio lo amava, ma soprattutto lo giocava nel ruolo di fantasiosa ala destra. Scrisse moltissimo di pallone. Definì il calcio come “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Arrivò, successivamente, alla formulazione di un linguaggio legato ai protagonisti di questo sport. Diceva, ad esempio, che “ i cifratori sono i giocatori e, noi, sugli spalti, i decifratori”. La sua precisa lente immaginativa metteva a fuoco le caratteristiche tecniche dei grandi calciatori., “Corso – diceva Pasolini – gioca un calcio in poesia. Rivera, invece” un calcio in prosa, ma la sua è prosa poetica, da elzeviro”.E ancora:”anche Mazzola è un elzevirista che potrebbe scrivere sul ‘Corriere della Sera’, ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti”. E infine: “ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica”.

FUTBOL
“Mi ricordo i tempi in cui abbiamo cominciato a rotolare insieme, la palla e io. E’ stato su un prato a Rio Cuarto de Cordoba che ho scoperto la mia vocazione  di attaccante”. Osvaldo Soriano, promessa del calcio argentino e poi giornalista sportivo e romanziere è forse il più grande narratore di calcio. Per meglio inquadrare il binomio Calcio-Osvaldo Soriano ci soccorre un termine che proviene dalla teologia: consustanzialità, ovvero identità di sostanza (o natura) pur nella differenza. “Soriano con il calcio aveva un rapporto intimo e appassionato – ha scritto Paolo Collo che ha curato le raccolte dei testi di Futbol - Soriano, a causa di un incidente, deve rinunciare al calcio e, per nostra fortuna, diventa giornalista sportivo e narratore di Fùtbol  di grande talento. L’accostamento letterario che viene immediatamente spontaneo è quello con l’altro grande argentino della letteratura Jorge Louis  Borges che nelle sue opere ha riproposto un ideale di classicità e un caotico mescolarsi di sentimento e ragione che è l’essenza della storia e trova la sua prefigurazione nei sobborghi sconvolti di Buenos Aires. Nella narrazione di Soriano spiccano “gli eroi picareschi del calcio, l’Argentina dei padri della patria, le magiche visioni dell’adolescenza”. In ‘Pensare con i piedi’ l’altra raccolta di testi sul calcio, appare ‘Il rigore più lungo del mondo’ che è considerato dai critici un capolavoro. Probabilmente il racconto di calcio più conosciuto al mondo.

LE PARATE DI CAMUS
“Tutto quel che so sulla morale e sui doveri degli uomini, lo devo al calcio”. Una
frase forte, decisa, che non concede spazio a ripensamenti. In perfetta aderenza al carattere e al tratto intellettuale di chi la pronunciò, più o meno, cento anni fa. Albert Camus, scrittore, giornalista, filosofo. Vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1957. Alla base della sua opera sono i temi dell’esistenzialismo, dell’assurdo e della disperazione risolti in forme mitiche e in uno stile classicamente composto. Tra le sue opere ricordiamo ‘Lo Straniero’, ‘La caduta’, e La Peste‘allegoria dell’occupazione nazista. Camus non ha scritto niente sul calcio, ma lo amava intensamente. Una passione che lo accompagnerà per tutta l’esistenza: dall’infanzia in Algeria fino al periodo parigino. Prima ancora della letteratura, Camus, giovanissimo, puntava le sue fiches esistenziali sul calcio. Voleva diventare calciatore professionista. Giocava in porta  e con un certo successo. Giocò con la sua squadra al liceo e poi nella RUA, la compagine universitaria di Algeri. Qualcuno ha scritto che giocò anche alcune partite con la nazionale algerina che all’epoca giocava partite non ufficiali dato che faceva formalmente parte della Francia. Mancano, però, giusto dirlo, prove concrete a sostegno delle performance di Camus come portiere della nazionale algerina. Purtroppo il sogno di Camus si spense a 17 anni. Nel 1930, infatti, contrasse la tubercolosi che gli impedì di continuare a giocare. Davanti al sogno frantumato reagì con grande forza d’animo. Anni dopo, nel corso di un’intervista, rammentando quel periodo pronunciò una frase da incorniciare: “Imparavo, finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate”.

UN CUORE COSI BIANCO

“Se perdere o vincere una partita non viene vissuto come un evento cruciale e con una trama e una storia, con una svolta o una catastrofe, che riguarda il passato, il presente e il futuro, la dignità e il decoro e naturalmente la faccia con cui uno si alza l’indomani, allora lasciamo perdere”.  A pensarla così è Javier Marìas, scrittore spagnolo ammirato per “Un cuore così bianco” e “Domani nella battaglia pensa a me”, e di recente anche per Tomàs Nevinson e Berta Isla. Collaboratore di El Pais con una rubrica fissa appunto sul calcio. Anche Marias, come il nostro Alfonso Gatto, è un ultra del tifo. Javier è un vero merengue, tifoso appassionato del Real Madrid. Se siete attratti da una lettura del calcio di più alto livello, rispetto alle baruffe gossipare cui indulgono alcuni media, non esitate a leggere Selvaggi e Sentimentali, raccolta dei commenti di Marais sul calcio scritti per El Pais.L’autore non fa mistero del suo tifo, del proprio essere di parte. Non usa nascondersi dietro lo scudo – spesso ipocrita – del politically correct. Tra le righe si coglie una certa nostalgia per una formazione nelle cui file hanno indossato la casacca bianca giocatori come Di Stefano e Puskas .Quella casacca sotto cui, secondo Marìas, dovrebbe sempre battere un cuore così bianco”.

FEBBRE A 90’
Se ancora non avete visto il film Febbre a 90’ vuol dire che continuate a farvi del male come diceva Nanni Moretti a chi non aveva mai mangiato la celebre torta Sacher. Chi lo ha visto, ed è un tifoso appassionato di calcio, si sarà identificato  nel protagonista mirabilmente interpretato da Colin Firth. Il film è tratto dall’omonimo libro di Nick Hornby che racconta la sua vicenda umana di tifoso e della sua gioventù scandite dalle partite dei Gunners ovvero i giocatori dell’Arsenal. La storia, tra un goal e l’altro, filtrata dalla brillante ironia dell’autore, mette insieme aspetti umani come la famiglia, l’amore e il lavoro. Nel binomio Calcio-Letteratura compare anche il thriller. Ricordiamo Il centravanti è stato assassinato verso sera dello spagnolo Manuel Vazquez Montalban, scomparso qualche anno fa.
La trama prende a pretesto una vicenda sportiva – sulla quale indaga il personaggio mitico di Montalban, il detective Pepe Carvalho – per raccontare una Barcellona immersa nel caos dei lavori e dalle speculazioni per i Giochi Olimpici del ’92.
L’altro inquietante thriller è Prima del calcio di rigore di Peter Handke, che nel 2019 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura per aver esplorato con ingegnosità linguistica la periferia e la specificità dell’esperienza umana”. Il libro è incentrato sulla inquietante figura di Josef Bloch, ex portiere di calcio, che, licenziato dal lavoro, comincia a girare per le strade di Vienna. Va al mercato, allo stadio e al cinema. Prova a chiamare gli amici, ma nessuno risponde. Si rifugia in una camera d’albergo e trova una donna disposta a stare con lui.
Block la uccide senza motivo e l’angoscia che lo attanaglia dopo l’omicidio è la stessa che provava quando da portiere si preparava a respingere un calcio di rigore.