Avrei voluto scrivere dell’Inter di Antonio Conte. Questo sarebbe stato il mio obiettivo dopo la clamorosa eliminazione dalla Champions in un girone con Shakhtar Donetsk, Real Madrid e Borussia Monchengaldback. Il giorno successivo, però, mi sono svegliato e non ho potuto altro che constatare della triste scomparsa di Paolo Rossi. Allora ho pensato: “Giovanni, tu non lo conosci abbastanza per parlarne. Se lo fai, rischi di apparire finto. Non sapresti cosa dire e il lettore si accorge sempre di ciò”. Ho atteso e ho notato che i media sportivi hanno dato enorme risalto all’avvenimento mentre non ha avuto grande eco su quelli generalisti. Non è giusto. Ho immediatamente collegato la questione a quanto è accaduto con Maradona e non ho potuto far altro che pensare: “Ubi maior minor cessat”. Pablito, però, non se lo merita. Per nulla. Lui è un grande eroe italico e deve avere la gloria che si concede ai magnifici. Così, nel mio piccolo, ho deciso di dedicargli un pezzo. Solo per Lui. E per “contestare”, con la massima stima e il più grande garbo, la scelta editoriale di molti mezzi di comunicazione non troppo dediti al mondo del pallone.

PABLITO E DIEGO

Il 25 novembre 2020 il calcio ci ha lasciato. Si tratta evidentemente di un’iperbole. Come ho già dichiarato nell’articolo scritto per El Pibe de Oro, non credo che Lui vorrebbe fosse così. Tale fantastico gioco ha la necessità di superare la morte dei suoi attori principali perché è un grande dono che qualcuno, nell’Inghilterra ottocentesca, ha regalato al Popolo. Questo sport, infatti, è proprio suo: della gente. Ha uno schema semplice e banale. Lo capisce pure un bambino. Per apprendere le regole base di una partita sono sufficienti pochi minuti. E’ necessario fare in modo che una sfera corra sino a un piccolo spazio posto su un lato di una forma geometrica, possibilmente rettangolare. Con un po’ di fantasia, però, ci si può esercitare anche in un trapezio o in un quadrato. Basta davvero un nulla. Bisogna fare gol e centrare la porta che si può disegnare su un muro con il gesso oppure segnalare con uno zainetto, delle scarpe, dei bastoni piantati a terra. Vale tutto. Tale semplice componente rende il pallone così amato. E’ arrivabile. Non vive sulla luna. Volete confrontarlo con il tennis? Per carità, lo adoro. Ma ho impiegato parecchio tempo a comprenderne la struttura. Game, set, tie brack, fallo, net, i rettangoli in cui deve cadere la pallina dopo la battuta, l’ice. Insomma, non è così scontato. E’ necessario, inoltre, disporre di maggiori somme di denaro per praticarlo. La racchetta, l’iscrizione al circolo… Durante il lockdown abbiamo visto Fognini e Pennetta allenarsi simpaticamente con uno stendino come rete, ma non è un’operazione semplice. Non vedo molti bambini cimentarsi con tale divertimento in giardino. Noto, invece, tanti piccoli calciatori. Mi direte che ciò è dovuto alla grande passione per il pallone, ma inverto il concetto. Forse, lo spirito che si nutre per tale disciplina è la conseguenza. Non la causa. Ecco perché non perirà mai. E’ troppo amato. Nulla muore nel cuore di chi gli vuole bene. L’addio a Diego ha riportato “la Chiesa al centro del villaggio”. Ha rimesso tale sport al proprio posto a livello mondiale perché ormai si stava demolendo il suo rapporto con la gente. Per molti era diventato il male che ha alimentato il covid-19 e, per altri, un semplice giochino evitabile in quanto non essenziale. Non è così. Napoli e l’Argentina sono chiaramente i luoghi che più hanno risentito della situazione legata a Diego, ma l’intero globo ha ricordato El Diez.

Pablito è qualcosa di diverso. Non ammetterlo, sarebbe un tantino ipocrita. Non sto dicendo che Rossi non abbia il medesimo valore di Maradona, ma ritengo normale che l’eco straniero per la morte del secondo sia superiore a quella relativa al primo. Penso sia un torto, invece, che sia avvenuto lo stesso dalle nostre parti. Come scritto all’inizio del pezzo. Non conosco così bene la figura di Paolo Rossi, ma sono perfettamente conscio di ciò che ha rappresentato per il mio Paese. Al medesimo tempo, so cosa significhi il calcio alle Nostre latitudini. Non chiedo certamente la reazione popolare, a tratti persino scomposta, che ha suscitato la morte di Diego. Ci mancherebbe. Ciò che viene dalla pancia delle persone è sempre una perfetta radiografia delle interiora sociali. Domando venia per l’immagine non certo molto delicata, ma utile a rendere l’idea. La scomparsa del Pibe ha movimentato le masse. Ha esagerato rispecchiando così la vera figura a cui si rendeva onore. La medesima risposta della gente è la fotografia della vita sopra le righe del Diez. Non è un giudizio di valori. E’ una constatazione dei fatti senza alcuna accezione. Pablito non è la stessa icona. Ha un’immagine diversa e non si può chiedere al Popolo una medesima risposta. Significherebbe snaturarlo e non renderebbe merito all’uomo. Alcuni media, però, avrebbero potuto esprimersi in maniera più attenta alla faccenda. Non mi permetterei mai di consigliare esperti professionisti ma, proprio per la passione viscerale che il pallone muove in Italia, Rossi deve essere ricordato diversamente. Non mi riferisco alla qualità che è sempre più importante della quantità. Se fosse possibile esprimersi con un algoritmo che le contempla entrambe, credo che parecchi mezzi di comunicazione non otterrebbero un punteggio elevato. Il calcio è della gente. Occorre ricordarlo sempre. Paolo Rossi è uno e unico. Fortunatamente un avvenimento simile non capita tutti i giorni. Avrebbe meritato di più.

PABLITO MUNDIAL

Vorrei, quindi, ricordare a chi è stato un po’ sbadato, cosa Pablito rappresenti per l’Italia! Nato a Prato nel settembre del 1956, inizia la sua carriera da giocatore vestendo la maglia del Santa Lucia. Si tratta di un piccolo comune sulle colline toscane. L’avvio del suo rapporto con il calcio lo rispecchia in toto. Una vita senza eccessi. Un ragazzo normale. Un uomo come noi. Si trasferisce poi nelle giovanili della Juventus per passare al Como, al Vicenza e al Perugia prima del ritorno in bianconero. E’, però, soprattutto con la Lanerossi che dimostra tutte le sue potenzialità segnando 60 gol in 94 presenze. In Veneto sfiora anche l’impresa di centrare uno Scudetto, soffiatogli proprio dai sabaudi, che sarebbe stato molto simile all’impresa del Verona di Bagnoli. La “sfortuna” vuole che saranno poi gli scaligeri a potersi fregiare di questo traguardo tanto inseguito dai cugini biancorossi. Paolo si leva comunque lo sfizio di trionfare nella classifica dei cannonieri della serie A. Nell’estate successiva Rossi è protagonista di una bizzarra vicenda. La Vecchia Signora e il Vicenza non trovano l’accordo risolutivo della comproprietà relativa al cartellino del ragazzo. Si va alle buste e i veneti offrono più di 2 miliardi di lire. Wikipedia spiega come, per il tempo, una simile cifra fosse “scandalosa” e la stessa fonte riporta le parole del Presidente Farina: “Mi vergogno, ma non potevo fare a meno: per vent’anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l’arte e Paolo è la Gioconda del nostro calcio”. Più chiaro di così… La stagione successiva è iellata tanto che la squadra retrocede. Paolo si trasferisce in Umbria dove vive la querelle relativa al “calcioscommesse”. E’ una terribile vicenda che Rossi ha sempre ricordato con estremo dolore. Tutto somiglia a un terribile misunderstanding pagato con 2 anni di squalifica. Pablito passa alla Juve ed è soprattutto grazie al c.t. Bearzot che riesce a superare le difficoltà provocate dalla lunga astinenza dal pallone. Nel 1982 conquista il Mondiale. Non è un titolo qualunque anche perché non si tratta di una qualsiasi Coppa Rimé, ma la prima degli azzurri dopo le 2 centrate nel ventennio fascista. E’ storico. Nella finale di Madrid contro la Germania Ovest, Rossi segna e la Nostra Nazionale supera i teutonici per 3-1 pure grazie ai centri di Tardelli e Altobelli. La gente festeggia per le strade. Che emozione! Torneremo a vivere questi momenti! Il Presidente Pertini esulta come un tifoso qualunque sulle tribune del Bernabeu. Qualcosa di magico. A questo proposito, mi sia consentito un piccolo appunto all’attuale ospite del Quirinale, Mattarella. Il calcio è importante per la Sua gente. E’ il motore delle passioni più naturali dell’uomo. Una ripartenza come quella che vi fu la scorsa estate con la Coppa Italia avrebbe meritato maggiore considerazione. Le Istituzioni non si recarono alla finale dell’Olimpico perché ritenevano che, essendo a porte chiuse, non dovessero avere privilegi. Penso sia stata una scelta anacronistica. Non l’avrei fatta. Non è realistico che il mal comune divenga mezzo gaudio. Il pubblico non avrebbe comunque partecipato all’incontro. A Lui, nulla è cambiato. La presenza del Ministro dello Sport e del Presidente della Repubblica, invece, avrebbe mandato un segnale all’Italia così amante di tale gioco. Vabbè. La vedo come una grande occasione sprecata. Torno a Pablito. In quell’anno Rossi centra il Mondiale e il titolo di capocannoniere del torneo. Resta un record detenuto solo ed esclusivamente da lui. In bianconero, invece, conquista tanti trofei come la Coppa Campioni, la Coppa Uefa, la Supercoppa Europea e naturalmente lo Scudetto. Conclude la carriera a 31 anni perché falcidiato da problemi al ginocchio. Le sue ultime avventure sono al Milan e al Verona.

IL RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO

Questo, signori, era Paolo Rossi. Il “Bello e Possibile” del pallone. Sì, perché Pablito piaceva eccome alle signore. Ciò che si evince però, è soprattutto la sua grande umiltà. Era un uomo come noi anche nel nome. Il ragazzo della porta accanto. Pochi giorni fa scrissi un pezzo su Alvaro Morata. Concedetemi un paragone. Credo che nessuno dei due possa risentirsene perché sono figure enormi del nostro calcio. Si tratta di bomber di razza. Hanno il gol nelle vene. Circola come i globuli rossi all’interno del loro sangue. Sono campioni normali e li ho sempre amati. Talentuosi, sì. Ma non numeri 10. Non si tratta di Maradona, di Totti, di Del Piero, ma di atleti diversi che, proprio per le loro peculiarità difficilmente riconoscibili, devono faticare il doppio al fine di entrare nel cuore dei tifosi. Il mio l’hanno conquistato sin da subito. Quando Pippo Inzaghi vinse il titolo di capocannoniere con la maglia dell’Atalanta, ho sperato che la Juventus, di cui sono tifoso, potesse immediatamente condurlo all’ombra della Mole e così è stato. Ero davvero piccino. Ero alle elementari e iniziava un immenso amore per tale sport che è stato ricambiato sotto tanti punti di vista. Si formò, quindi, il tandem d’attacco composto dal centravanti piacentino e Pinturicchio. Alle loro spalle, agiva un certo Zinedine Zizou Zidane. Credo che quello abbia rappresentato uno dei reparti avanzati più forti della storia del pallone. Nonostante tanta grazia, anche se Alex era l’uomo di punta che aveva posto la mia squadra sul tetto del mondo, pur con l’attrazione nutrita per giocatori come il fantasista transalpino, i miei occhi erano tutti per il più “semplice”, SuperPippo. L’aggettivo ha esclusivamente un valore positivo. Quando Inzaghi lasciò la Vecchia Signora per accasarsi al Milan, decisi di seguirlo e per un breve periodo supportai i rossoneri. Poi, però, tornai alla casa madre. Filippo è come Rossi e Morata. Sono atleti raggiungibili che non paiono neanche troppo baciati dal fato. Credo, però, che proprio per questo dispongano di qualcosa di magnetico.

L’HOMBRE DEL PARTIDO

Pablito è l’emblema di un Paese. La maggior parte di noi è come lui. Non soffre all’interno del barrio. Non deve affrontare le sparatorie di Fuerte Apache. Non è costretto a combattere una miseria assoluta e dilagante. Per carità, non voglio mancare di rispetto perché tali situazioni esistono pure in Italia. Anzi, l’attuale emergenza da covid-19 impoverirà ulteriormente le persone implementando i disagi. Ciò detto, nel Bel Paese si dispone di un tessuto economico, sociale e culturale diverso da altre parti del pianeta. Rossi lo rappresenta in toto. Le nostre fatiche coinvolgono una quotidianità differente, ma non per questo meno complessa. Ognuno ha le proprie difficoltà e nulla è mai semplice da raggiungere. Nonostante tutto, il toscano è riuscito a divenire “l’hombre del partido” riferendosi a un match fondamentale disputato contro la Polonia nel mondiale 1982 in cui Pablito è stato fenomenale e determinante.

Ciao Paolo! Sei il ragazzo della porta accanto che ha condotto ognuno di noi sul tetto del mondo! Grazie, leggenda!