A meno di un mese dalla chiusura del calciomercato tutte le squadre sono ancora un cantiere aperto. Anche la Juve che pure, alla fine di Giugno, sembrava aver completato la rosa. I tifosi chiedono rinforzi, anzi campioni. Parlano di milioni come fossero noccioline, dimenticando che i conti non si fanno senza l'oste. In questo articolo ci occuperemo principalmente della Juventus, oggetto di un radicale rinnovamento che, per definizione, apre dubbi sulla futura competitività della squadra. Per meglio comprendere e giudicare il lavoro di Marotta e Paratici, non si può prescindere dal definire quali sono gli obiettivi per la prossima stagione. Qui nasce la prima difficoltà. Sappiamo, per esempio, che l’obiettivo della Roma è innanzitutto la riconferma del secondo posto, con una malcelata speranza (legittima) per lo scudetto. Per le milanesi, al netto dei proclami e di certi fantasmi che aleggiano sulla città lombarda, tipo Ibrahimovic, l’obiettivo più realistico è tentare di tornare in Champions League. Il Napoli è un mistero. La svolta imposta da De Laurentis è, innanzitutto, filosofica. Dall’internazionalizzazione degli azzurri, proclamata per due anni, che aveva in Benitez il suo alfiere e, bisogna riconoscerlo, miseramente fallita, si è passati ad una maggiore modestia. Sarri, Valdifiori, Allan. Nomi che non accendono le fantasie dei tifosi, fermo restando che l’ultima parola spetterà al campo. Per il momento è doveroso registrare una clamorosa piroetta. E la Juve? Scudetto, Coppa Italia, Finale di Champions. L’ultima stagione è stata favolosa, quasi trionfale. In linea di principio sarebbe lecito attendersi l’ennesima riconferma in Italia e la conquista della Coppa dalle grandi orecchie. E’ un obiettivo raggiungibile? Il campionato, certamente si. La Coppa, probabilmente no. E’ possibile anche dimostrarlo, magari facendosi aiutare dai numeri che, se adeguatamente analizzati, non mentono mai. E’ doveroso ricordare che 10 anni fa il calcio italiano era estremamente diverso da quello di oggi. Era, allora, un calcio competitivo. Talmente competitivo che le (quattro) squadre italiane che ogni anno partecipavano alla Champions, in particolare Juve e Milan, erano sempre giustamente considerate fra le pretendenti alla vittoria finale. Oggi, non più. Oggi, le tre italiane (più spesso soltanto due) che difendono l’onore italico nella massima competizione continentale riservata ai club, partono senza speranze di vittoria. Né può essere presa, a confutazione, la scorsa stagione della Juve che, per una serie di circostanze, oltre i meriti innegabili, è arrivata ad un passo dal trionfo. I numeri, si diceva. Vediamoli, partendo da quelli di dieci anni fa, elencando le squadre europee che disponevano delle maggiori risorse: 1° Real (275 mln), 2° ManUnited (245 mln), 3° MILAN (235 mln), 4° JUVE (230 mln). Dieci anni dopo, la situazione si è radicalmente modificata. Ecco i fatturati delle principali squadre europee, riferiti al 2014: 1° Real (550 mln), 2° ManUnited (520), 3° Bayern (490), 4° Barcellona (485), 5° PSG (475). E le italiane? La prima, in questa speciale classifica è la Juve, 10° con 290 mln. La prima considerazione che viene in mente è che il crollo è stato verticale. Ovviamente in campo vanno i giocatori, non i conti correnti delle squadre. E’ di tutta evidenza, però, che per avere squadre competitive servono i campioni. Notoriamente i campioni costano. Per pagarli servono i soldi. Ergo, no soldi, no campioni. No campioni, no Champions. In effetti il calcio non è poi così difficile da capire… Un’altra considerazione che questi dati fanno emergere è che, tra l’avere due squadre fra le quattro più ricche e che queste due squadre possano ragionevolmente vincere la Champions, c’è una evidente attinenza. E’ logico anche desumere che una differenza, in termini di ricavi, con la squadra più ricca, contenuto entro 50 milioni, pur essendo importante, non permette a quella squadra di razziare, solo lei, il meglio che il mercato offre in quanto a campioni. Anche le altre hanno, in queste condizioni, la possibilità di annoverare tra le proprie fila calciatori in grado di fare la differenza. Possiamo quindi ritenere che, se dieci anni fa le squadre italiane iniziavano ogni stagione tra le favorite per la Champions, era principalmente dovuto alle possibilità economiche di cui, quelle nostre squadre, disponevano allora? Evidentemente, si. Vediamo l’oggi. La Juve, come detto sopra, è l’italiana con maggiori risorse economiche. L’incremento dei ricavi, rispetto a dieci anni prima, è di circa il 30%, o 60 milioni in volume. Tanto? Poco? Il Real, allora come oggi prima in classifica, ha raddoppiato le sue disponibilità: il 100% in più in percentuale, 275 milioni come valore assoluto. Non c’è paragone. Il ManUnited, incredibilmente, ha fatto addirittura meglio: un incremento del 115%, altri 275 mln. Semplicemente mostruoso! Bayern, Barcellona e PSG, che 10 anni fa erano fuori dalle prime quattro, sono a ridosso dei due mostri sacri. Questi sono i dati e non sono in discussione. Sarebbe invece molto utile discutere dei motivi per cui l’Italia ha avuto un crollo così devastante. Talmente enorme da non consentire, oggi, a nessun club italico di guardare alla Champions League come ad un obiettivo raggiungibile. E non è detto che possa tornare ad esserlo. E comunque non in tempi brevi. Probabilmente si potrebbe parlare di Calciopoli, per spiegare questo tracollo. Si potrebbe parlare degli effetti che esso ha avuto sul sistema calcio, dei danni che ha arrecato a tutto il movimento. Ma nessuno ne parla. Semplicemente perché, in quella vicenda, in troppi, per non dire tutti, hanno qualcosa da nascondere. A cominciare dai veri motivi per cui lo scempio fu attuato, per finire con i modi utilizzati. Quindi, nessuno ne parlerà. Una cosa si può dire con certezza, perché anch’essa fatto accertato dalla storia e non semplice opinione: finchè a trainare il calcio italiano erano Juve e Milan, l’Italia era una potenza. Quando questo compito è stato, diciamo così, “trasferito” all’Inter, è arrivato il naufragio. Ovviamente, la Champions vinta dai nerazzurri nel 2010, non è la prova del contrario. Piuttosto, la conferma: il vero e proprio canto del cigno del calcio italiano. Del resto, una società che fa fatica a sorreggere se stessa, poteva trainare l’intero movimento? No, non poteva. Infatti… Se, come sottolineato con riferimento alla situazione di dieci anni fa, un gap di 50 milioni dalla più ricca consentiva di avere comunque formazioni competitive, qual è oggi la situazione? La situazione è che, con una media di 200 milioni annui in meno da poter investire nella squadra , rispetto ai principali competitors, la competizione non è sostenibile. Lo scarto è troppo ampio. Più precisamente, 200 milioni di euro sono esattamente quello che manca, per esempio alla Juve che domina in Italia, per poter competere anche in Europa. Provate a pensare chi si può comprare e pagare con 200 milioni in più (ogni anno!) e aggiungete quei giocatori alla rosa bianconera. Avete davanti agli occhi una squadra che può vincere la Champions. Invece, mancando quelle risorse, certi sogni (o pretese) di mercato sono destinati a rimanere tali. Certe operazione di calciomercato, che troppi tifosi criticano, sono l’unica, stretta, impervia strada che si è costretti a seguire nel tentativo di accorciare il gap tecnico. E’ in quest’ottica che vanno valutati acquisti come quello di Dybala: giovane, grande talento, grandi prospettive e un ingaggio ancora accettabile. Sperando che esploda, che sul campo possa valere quanto altri campioni celebrati e inarrivabili per le casse delle squadre italiane. Nella consapevolezza che, se ciò avvenisse, non sarà possibile trattenerlo per sempre. Così come non sarà possibile per sempre indovinare tutti gli acquisti. Qualcuno di questi, per la legge dei grandi numeri, prima o poi fallirà. E in quel momento sarà meglio che, negli anni buoni, si siano messe da parte un po’ di risorse per rimediare… Insomma, questo è il calcio italiano dieci anni dopo dieci anni fa. E ai tifosi italiani, guardando le partite di Champions, non resta che questo: sperare, sperare, sperare. Senza dimenticare la fine che fece chi visse sperando… I sogni sono belli. Forse la parte più bella della vita. Sognare è giusto. L’importante è non scordarsi, di tanto in tanto, di accertarsi di essere svegli.