Quando sei il migliore, è praticamente inevitabile avere dei nemici: sono davvero in molti infatti, a aspettare altro se non la tua dipartita, per poi esultare al momento giusto, come se fossero stati proprio loro a trionfare. Succede quasi come tra i leoni nella savana, in cui il capo branco è per sua natura il bersaglio principale dei maschi più giovani in cerca di supremazia: per ottenere il potere è necessario battersi con il più forte. Ma se nel cuore dell'Africa non esiste altro modo, se non quello di affrontare faccia a faccia il "migliore", nel mondo del calcio esistono altri stratagemmi, sicuramente più meschini, come la pratica di additare da lontano l'operato di qualcuno, gridando allo scandalo nel nome di quella che dovrebbe essere una critica "sana". Purtroppo però, certi commenti velenosi hanno ben poco di costruttivo, perché in realtà non sono altro che gli strascichi di un risentimento passato, il quale si sfoga soltanto adesso, nell'istante in cui il "migliore" cessa di ricoprire tale ruolo.

E così, a circa 9 anni di distanza dal suo ultimo leggendario successo, un ormai bistrattato Pep Guardiola, sotto un cielo pezzato di stelle, perde l'ennesima occasione di ritornare a farne parte. Con il suo Barcellona infatti, il tecnico catalano non si era limitato a vincere, ma era diventato a tutti gli effetti una specie di mito, capace di emanare una luce propria, quasi come gli astri collocati lì sopra nel firmamento. Con la sua creatura blaugrana aveva dato vita ad una vera e propria filosofia di calcio, il "tiki taka", un sistema di gioco capace di esaltare al massimo ogni singola qualità della sua squadra, a partire dal portiere Victor Valdes, fino al fuoriclasse assoluto di quella formazione, la micidiale pulga di Rosario, Lionel Messi. È proprio in quegli anni gloriosi che Pep Guardiola diventa un maestro del proprio mestiere: la stampa lo venera come una divinità, i suoi calciatori lo scelgono come guida per dirigerli verso il trionfo, il Barcellona è a tutti gli effetti come una famiglia. Nel giro di poche stagioni, dal 2008 al 2012 l'allenatore catalano vince la bellezza di 14 trofei tra cui 3 campionati, 2 coppe di Spagna e 2 Champions League, iscrivendo la propria squadra all'albo delle formazioni più forti di sempre. In quegli anni si accende una rivalità ormai quasi dimenticata, la storica disputa con il portoghese José Mourinho, approdato al Real Madrid in seguito al suo triplete con l'Inter: l'eliminazione in semifinale del Barcellona per mano dei neroazzurri infatti, aveva impedito ai campioni d'Europa e del mondo di consacrarsi ulteriormente, proprio nel tempio degli acerrimi rivali dalle casacche bianche, il Santiago Bernabeu di Madrid. All'epoca, il portoghese non rappresentava soltanto i colori di un'altra città, ma una vera e propria contrapposizione filosofica al calcio di Pep: il pragmatismo del primo contro il pensiero ragionato dell'altro, la verticalizzazione veloce contro un gioco armonico ed elegante, costruito per vie orizzontali; insomma come nei grandi film d'azione, anche l'eroe Pep aveva il suo irriducibile nemico.

Di quel che fu oramai non resta che il ricordo, soprattutto per quello scomodo rivale, che forse in realtà così cattivo non era: da quando infatti, il loro antagonismo ha cessato di esistere, Pep ha incredibilmente smesso di brillare, ed è vero che ha continuato a vincere, ma non alla sua maniera. La Champions League, che ai tempi del Barcellona sembrava più un obbligo che una suggestione, è diventata a 9 anni di distanza dall'ultima volta, un clamoroso dolore che si ripete ogni anno con una fragorosa eliminazione, e che stavolta avviene per mano di un non irresistibile Lione. Mi viene in mente una celebre canzone di Eduardo De Crescenzo dal titolo "Ancora", con Guardiola che metaforicamente, da quella sera di maggio del 2011, ha smesso di far l'amore con la Coppa dei Campioni. Chissà se continuerà la sua avventura a Manchester, luogo nel quale si sono moltiplicati i milioni spesi sul mercato rispetto alle sue precedenti esperienze, ma lo stesso non hanno fatto le soddisfazioni, davvero poche per uno come lui. Quale futuro lo aspetta prossimamente? Sarà ancora tormentato dagli insuccessi?

Soltanto il tempo potrà dircelo, anche se per il momento non appare altro che come un uomo solo, lontano anni luce dalla sua epoca d'oro, con addosso l'odore di un dopobarba che sa di pioggia, come quello citato dai Pooh, e con un enorme carico di rimpianti ancora una volta da smaltire.