Sono pagato per tacere, più di quanto lo fossi per lavorare fino a pochi anni fa. Eppure stavolta devo rompere il silenzio. Leggo tante cose su di me, ma sono tutte lontane dalla verità. No, non risolverò il contratto con la Juve. Ma non è acredine, non è ingordigia senile: sto giocando la partita più importante della mia vita (e anche delle vostre vite) e nessuno se ne rende conto.

Chiariamo un punto di partenza: io ho 61 anni, ho allenato la Juventus e sono l'allenatore campione d'Italia in carica, piaccia o non piaccia. L'ho fatto tra una polmonite e una pandemia, tra le sirene delle ambulanze e le ironie dei giornalisti, tra critiche altezzose e la supponenza di alcuni miei calciatori, che pensavano di sapere già tutto sul calcio. E non mancavano gli avversari: ho spento lo sguardo famelico di un grande tecnico leccese, uno che odia perdere e aveva tutto per vincere, ho messo nel cassetto dell'improbabile la stagione di un'Atalanta che sembrava ineluttabilmente spinta a imprese inaudite.

Dove volete che vada, ora? Non all'estero, perché voglio stare vicino alla mia famiglia e, alla mia età, è sempre più difficile stare lontano dal mio Paese. E in Italia, se permettete, ogni soluzione sarebbe scendere un gradino: ci ho messo decenni per arrivare qui, ed io, campione d'Italia con la Juve, dovrei ripartire da un progetto incerto, da un outsider, o da una squadra di minime ambizioni?

È proprio qui l'errore: il mio tempo alla Juventus non è finito. Devo giocare la partita più importante, per me e per voi. Non è la finale di Champions, è molto di più. Ancora non capite?

Io ho ammirato Pirlo, immenso giocatore. Che però non ha mai allenato neanche una scolaresca. Nato dalla parte giusta della vita, si è subito ritrovato al mio posto, là dove io ho impiegato decenni ad arrivare, tra fatiche assurde e umiliazioni da parte di gente che ne sapeva molto meno di me.

Io ho impiegato una vita per scoprire la pietra filosofale, il modo per trasformare il gioco di posizione in una perfetta strategia difensiva, per rendere finalmente italiano il calcio che abbiamo invidiato agli olandesi e agli spagnoli. Ed ora lui, senza colpo ferire, è già lì, come se la competenza non contasse nulla, come se decenni di fatica, ragionamenti ed esperimenti valessero meno della consuetudine a giocare a golf con le persone che contano.

Ma anche lui dovrà fare i conti con giocatori che non hanno voglia di pressare e vogliono la palla sulla figura. E anche lui dovrà assistere al presuntuoso declino di alcuni "padroni dello spogliatoio". E quando i risultati non arriveranno, anche con lui saranno altrettanto spietati. E mi richiameranno ad assisterlo o sostituirlo. Quella sarà la mia grande, immensa vittoria: più grande di andare alla Juve, c'è soltanto il gusto di vedere i proprietari della Juve costretti a richiamarmi. E i giornalisti tornare ad esaltarmi un minuto dopo la notizia.

Non è soltanto la partita della mia ambizione: è la partita di tutti voi, per tutte le volte che una persona meno competente di voi, ma nata dalla parte giusta della vita, vi è passata davanti. Per tutte le volte che la vostra fatica non ha contato nulla contro la fortuna e il privilegio altrui.


Questa ovviamente non è un'intervista a Sarri, non sono sue parole o pensieri raccolti in alcun modo. È il tentativo di entrare nella testa di un uomo che ho seguito attentamente per un anno e che ho ammirato come allenatore e come persona.