In questo nostro calcio, sempre più improntato alla violenza verbale, con insulti e minacce amplificate dai social, che inevitabilmente danno voce e spazio a chiunque, con un becerume che, ogni giorno che passa, diventa sempre più infimo, ci mancano tantissimo le voci di coloro che, con la sola geniale ironia o con pensieri di una classe innata, ispirati alla propria squadra, spandevano germogli di civiltà sportiva e suscitavano in chiunque solo la riflessione e il sorriso. Come non ricordare, in proposito, le famose frasi dello juventino più noto al mondo, ovvero l'Avvocato Giovanni Agnelli, le cui dichiarazioni sull’amore per la Vecchia Signora rimarranno scolpite per sempre nell’immaginario collettivo bianconero e che in questa sede meritano di essere ricordate come autentiche chicche: "La Juventus è la compagna della mia vita, soprattutto un'emozione. Accade quando vedo entrare quelle maglie in campo. Mi emoziono persino quando leggo sul giornale la lettera J in qualche titolo. Subito penso alla Juve".

"La Juve è per me l'amo­re di una vita intera, motivo di gioia e orgoglio, ma anche di delusione e frustrazione, comunque emozioni forti, come può dare una vera e infinita storia d'amore"

"Di stile Juventus parlano gli altri, non noi"


Sono frasi che riescono ancora oggi ad emozionare, perché sono il collante che unisce tutti coloro (dal più famoso al meno conosciuto) che tifano per la squadra bianconera. Descrivono un modo di essere, identificano un’appartenenza. Ma l'Avvocato non era unico solo in questo senso. Dispensava battute ironiche sul proprio fronte e su quello avversario, senza mai trascendere e con un'eleganza quasi regale:

"Una volta scendevano in piazza per protestare contro la Fiat, oggi perché Baggio non vada alla Juve. Direi che il paese è migliorato"

"Buscetta ha detto di essere ossessivamente un tifoso della Juventus? Se lo incontrate ditegli che è la sola cosa di cui non potrà pentirsi"

"[Michel Platini] L'abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui ci ha messo sopra il foie gras"

"Un giorno mi dissero che Maradona si allenava cen­trando la porta con un tiro da centrocampo. Andai al Comunale e lo dissi alla squadra, Platini non disse nulla ma chiese al magazzi­niere di aprire la porticina dello spogliatoio che stava al di là della pista d'atletica, si fece dare un pallone e da centrocampo lo spedì negli spogliatoi. Mi guardò sorridendo e se ne andò senza di­re una parola"


Ma, nel ricordare l'indimenticato ed indimenticabile Avvocato, non si può in questa sede non tenere in evidenza e rendere onore (anche se posizionato sull'altra riva del fiume…) ad uno dei più grandi maestri di geniale ironia del passato, l'Avvocato Giuseppe (detto Peppino) Prisco, giurista di grande spessore (avvocato penalista e Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Milano) e dirigente dell'Inter (vicepresidente) per quasi 20 anni. Evidentemente, le origini partenopee (era nato a Torre Annunziata) hanno giocato un ruolo fondamentale nella sua formazione di uomo pregno di uno spirito ironico, tanto elegante quanto dissacrante, che ha fatto scuola. D'altra parte, la "napoletanità" - come ricordava un altro grande spirito libero di analoghe origini, come Luciano De Crescenzo - sta ad indicare uno stato d'animo, frammisto di ironia e malinconia, in un connubio quasi perfetto. Peppino Prisco ne è stato un interprete straordinario, con battute tanto efficaci quanto lapidarie e sempre scandite da quella "erre" arrotata, che, nel richiamare la grandeur d'oltralpe, ne esaltava forma e contenuto.

Prima di affrontare con grande successo la vita civile, l'Avv. Prisco è stato un Eroe di Guerra. Tenente degli Alpini si arruolò con le "Penne Nere" all’età di 18 anni e partecipò alla campagna italiana di Russia, nella mitica Divisione Julia. Il suo battaglione fu decimato e Prisco fu uno dei tre ufficiali superstiti. Guadagnò la medaglia d'argento al valor militare. Diventa avvocato nel 1946. Evidentemente, anche la ferrea disciplina militare impartì all'Avv. Prisco i dettami per un comportamento sempre entro i limiti del buon gusto. Per quanto fulminanti, le sue battute non furono mai blasfeme né tantomeno insultanti. Eccone un campionario, in cui si può apprezzare il livello sopraffino del contenuto:

"Se stringo la mano a un milanista mi lavo le mani, se stringo la mano a uno juventino mi conto le dita".

"Chi tiferò questa sera tra Juventus e Ajax? Purtroppo ho una nonna di Amsterdam"

"L'Inter nacque da una scissione del Milan… Ecco la dimostrazione che si può fare qualcosa di importante partendo da niente!"

"A Milano ci sono due squadre: l'Inter e la primavera dell'Inter"

"Prima di morire mi faccio la tessera del Milan, così sparisce uno di loro"

"Certe volte la gente per strada mi chiede di non parlare solo contro il Milan, ma anche contro la Juventus. E rispondo: ben volentieri, ma quando c'è l'occasione. Non posso dire 'porca Juventus': sarebbe una cretinata inutile"


Che dire! Una classe impareggiabile! Qui non c'entrano le diverse passioni del tifo (nel mio caso addirittura agli antipodi). Dinanzi a tale sagacia, arguzia, eleganza, dolce perfidia occorre solo inchinarsi e cercare di fare tesoro del suo modo di interpretare il calcio. Gli avversari vanno messi al tappeto con le battute ironiche, non ci si impone urlando o insultando ma annichilendo il tifoso contrapposto con battute che non lasciano spazio ad alcuna replica se non alla resa incondizionata ma scandita da un grande sorriso.

Insomma, Gianni Agnelli, da una parte e Peppino Prisco dall’altra, hanno dispensato pillole di saggezza, travestite da battute ironiche, senza rinunciare ad un'oncia della loro passione bianconera o interista e si può solo immaginare quali freddure possano essersi reciprocamente scambiati in privato due personaggi di tale livello intellettuale. Forse solo loro, se ancora viventi, avrebbero potuto colmare il solco che ormai divide le due società dopo le vicende di Calciopoli e Calciopoli bis. Mi piace pensare che la loro solo presenza avrebbe indotto l'Inter a rinunciare all’assegnazione dello scudetto 2006 perché i titoli si vincono sul campo e la Juventus a riconoscere pubblicamente che la condotta della dirigenza dell’epoca era stata tale da meritare, senza riserva alcuna, la sanzione inflitta. Ma entrambi lo avrebbero fatto, imponendosi, nelle rispettive realtà, con la loro autorevolezza e il loro carisma e se per l’Avv. Gianni Agnelli impartire direttive di un certo tipo significava imporre diktat da rispettare; per l’Avv. Peppino Prisco la strada sarebbe stata quella di convincere la propria dirigenza - sicuramente anche con qualche battuta al fulmicotone - che la gloriosa storia dell'Inter non era compatibile con l'assegnazione di uno scudetto di "cartone".

Nel corso delle ultime giornate di campionato stiamo assistendo ad un crescendo, in ogni stadio, di insulti di stampo razzista. Partite sospese (Roma-Napoli); calciatori (Balotelli) che scaraventano il pallone sugli spalti in segno di protesta (Verona-Brescia). E’ uno squallore, specchio di una società che sta sempre più perdendo di vista i cardini del vivere civile. A tutti questi pseudo tifosi vorrei ricordare che l’unica, reale ed eterna, forma di razzismo per l'Avv. Giuseppe Prisco era la seguente: "Io sono contro ogni forma di razzismo, ma mia figlia in sposa a un giocatore del Milan non la darei mai"