Il calcio, almeno dal punto di vista dei tifosi, sembra fatto per dividere.
Ma c'è qualche caso in cui un personaggio riesce a superare a barriera del tifo, ispirando ammirazione ed emozioni in ognuno di noi, semplicemente toccando un pallone.

Ecco, Alessandro Del Piero è una di quelle figure. Compie oggi 43 anni un monumento del nostro calcio, un campione ed un uomo vero, un cavaliere che non ha mai lasciato la sua Signora, nemmeno nel momento più buio della sua storia. Era quasi logico che finisse con quella maglia, ce l'ha tatuata sulla pelle e nel cuore. Alex Del Piero è stato il capitano e sempre lo sarà. Era un leader silenzioso, uno che non amava troppo le parole, ma quando se ne aveva bisogno, si faceva sentire eccome.

L'Avvocato lo soprannominò "Pinturicchio" per la capacità di pennellare con il suo destro traiettorie incredibili, per la sua eleganza, per la sua classe. Il tiro a giro "alla Del Piero" nacque in una fredda serata di Champions in Germania, da lì sarebbe diventato marchio di fabbrica di Pinturicchio. Eleganza che Del Piero si è portato anche fuori dal campo. Mai una polemica, mai una parola fuori posto, anche se il palmares glielo avrebbe consentito; nemmeno quando si è trattato di firmare in bianco il suo ultimo contratto con la Juventus. Perchè non c'è cifra che tenga, lui avrebbe lasciato davanti al suo pubblico, da vincitore, alzando al cielo lo scudetto nel debutto allo Juventus Stadium. Del Piero e la Juve, una storia di grandi gioie e grandi dolori. Si sono accompagnati sempre, nel bene e nel male. Il "10" che fu di Sivori e di Platini, è diventato suo e lo sarebbe stato per quindici lunghi anni. Ha ricevuto standing ovation ovunque, persino all'Old Trafford e nel sublime Santiago Bernabeu, dove ancora oggi si stropicciano gli occhi per quella meravigliosa doppietta inflitta ai blancòs.

Ha fatto piangere tutti quando, per segnare il gol del 2-0 a Dortmund contro la Germania, nella semifinale del 2006, attraversò alla massima velocità tutto il campo per urlare a squarciagola a Gilardino di assisterlo per concludere a rete. Era una rivincita e un debito che aveva con gli italiani per quel maledetto errore a Euro 2000 nella finale con la Francia. Perchè la sua carriera è fatta di rivincite dopo grandi cadute. Il grave infortunio del 1997, lo scudetto perso nel burrascoso pomeriggio di Perugia, le panchine con Capello, la Serie B.
Ma il calcio è così, si può vincere, si può perdere.

Non si potrà mai però cancellare l'amore per i campioni. Un giorno ai nostri nipoti racconteremo di un pittore del calcio, di un grande uomo, di un modello, di un esempio, capace di far innamorare tutti. Difficile riuscire ad unire ciò che il calcio ed il tifo dividono, ma non impossibile.
Non se ti chiami Alessandro Del Piero.