Correva l'anno 1993 ed io ero poco più che adolescente, giocavo nella mia squadra che distava da casa pochi chilometri, se non erro poco meno di quattro, se rifaccio la strada che facevo al tempo con mio padre a bordo della sua auto. Ricordo che ero un chiodo; magro e una montagna di capelli, che dovevo ogni due settimane tagliare, tanto veloce fosse quella ricrescita, mi alzavo la domenica alle prime luci dell'alba, controllavo gli occhielli della serranda della finestra e fin quando la luce non filtrava e mi portava ad alzarmi di fretta, i miei ancora dormivano, e io sgusciavo fuori al balcone e cominciavo a lustrare i miei scarpini, sbattendoli fuori dalla finestra per staccare la vecchia terra che si era attaccata nell'ultimo allenamento appena due giorni prima. Quel baccano svegliava anche la famiglia che abitava di sopra "Oh! Ma chi cazz. è che sta facendo questo casino! Ma te sembra un orario giusto per sbattere le scarpe!", rientravo e restavo in silenzio, tanto prima o poi sarebbe rientrato visto che nessuno gli avrebbe risposto. Mentre asciugavo gli scarpini, dopo averli passati con l'acqua, voltavo il borsone a testa in giù per far cadere la terra che si era piazzata su gli angoli, sempre fuori dal balcone. Mia madre si alzava e arrivava subito sul balcone "Ma che ti sei impazzito! Hai fatto svegliare il signore qui sopra? Questo oggi sicuramente viene a suonare e ricomincia il suo monologo di proteste. Devi stare più attento e la prossima volta gli scarpini sbattili il pomeriggio stesso che li riporti a casa dopo l'allenamento".
Mentre pulivo il fondo del borsone e riponevo gli scarpini e le ciabatte e tiravo la lampo, mia madre mi chiamava per andare a fare la colazione e intonto mio padre si preparava per accompagnarmi al campo, sia che giocavamo in casa che fuori casa. Mia mamma nel frattempo mi preparava la tuta acetata che dovevo indossare prima di uscire da casa, accappatoio, bagnosciuma e mini fono, e dopo aver abbassato i capelli davanti lo specchio, visto che al mattino sembrava che fossi stato lanciato in picchiata dal K2, e avevo i capelli stile criniera del leone o pavone con tutto il 'ventaglio' aperto.
Una volta al campo, mi preparavo e poi sentivo "Oggi sei in panchina". Tutta quella verve iniziale scemava un po', ma poi questa frase cominciò a sentirsi spesso, e ancora e ancora. Sedevo in panchina e vedevo giocare tutti, nella speranza che l'allenatore girandosi mi dicesse "Tocca a te", ma questa cosa non accadeva mai, e quella panchina alla era divenuta la mia migliore amica, tanto che un giorno stufo di stare a guardare, mi portai in campo dei giornaletti di Dylan Dog. Mio padre da fuori spesso mi gridava: "Alzati e andiamocene questa squadra non ti merita", ma la mia speranza era quella di giocare. Ma più il tempo passava e più i numeri erano di conseguenza...13...14....15...16...17...18...19...20 tutti numeri da panchina. Così per l'infortunio del portiere, mi proposi come suo sostituto, la stazza c'era e potevo giocare, ma il tecnico tirò fuori dal cilindro, un nuovo giocatore, che poi si scoprì essere un suo nipote. Un nanerottolo di un metro e venti o poco più, che non sapeva nemmeno cosa significava giocare al calcio, in quel momento capii che alla fine della stagione me ne sarei andato in un'altra squadra. Soltanto nelle ultime partite con il campionato compromesso e con tanti ragazzini che non si presentavano più nemmeno agli allenamenti, fu 'costretto' a farmi giocare, tanto che riconobbe in me un buon giocatore: "Ma come mai non mi ero mai accorto della tua bravura?", mio padre dietro la rete gli rispose: "Perchè non capisci nulla di calcio". Quell'anno rimase come una ferita aperta, perchè mi fece perdere il treno dei provini per le squadre romane, che proprio in quel periodo orbitavano intorno alla nostra squadra.

L'anno successivo cambiai squadra e ebbi la consacrazione tra gli adolescenti, conquistando ben due premi importanti: Miglior giocatore del campionato e miglior giocatore del torneo Axa. In quel campionato mi trovai contro la mia ex squadra, nella quale ero cresciuto  come giocatore e che dovetti abbandonare con grande tristezza per un allenatore che non mi vedeva nella sua squadra. Segnai due reti entrambe festeggiate con la mia panchina e una occhiata stile frecciata contro quell'allenatore, che si stava mangiando i gomiti, e che spesso, mi vergognerei fossi stato in lui, a dire ai suoi giocatori di buttarmi in terra con frasi stile: "Dagli un calcione quando ti supera", oppure: "Fai di tutto ma non farlo passare", e che dire? Ho preso tante di quelle botte, che a fine gara non riuscivo nemmeno a camminare, ricordo che passai due giorni con dei lividi sugli stinchi, anche perchè, questa è una cosa che non sapeva nessuno altrimenti non avrei potuto giocare, io odiavo mettere i para stinchi, quindi mettevo dei calzini dentro i calzettoni, che davano l'impressione di essere para stinchi.
Quella stagione mi fece capire due cose, che oltre ai pianti che mi facevo per ogni volta che partivo da casa con la voglia di giocare, e mi ripetevo "Oggi mi farà giocare e farò vedere di che pasta sono fatto" e poi non mi faceva giocare. E che ogni allenatore ha una sua mentalità e che il non farti giocare non significa che tu non sia un buon giocatore, ma solo che non ti vede, e puoi anche essere un Maradona in terra, ma se è fisso su quel pensiero resterà tale. Dall'altra parte però lo voglio ringraziare a distanza di 18 anni, perchè mi ha fatto crescere caratterialmente, mentalmente, e mi ha fatto capire che quando un tecnico non ti vede è inutile sforzarsi in allenamento, basta solo cambiare squadra, perchè certamente in un'altra c'è un tecnico che apprezza il tuo vero valore di calciatore, e grazie proprio a questa mia intuizione ho potuto costruirmi una carriera di tutto rispetto, non di altissimi livelli, anche se per me giocare in Serie D e nelle serie minori mi è bastato eccome, sempre con il sogno fisso di giocare in Serie A, in Champions League, e in Nazionale.
E questo è quello che ogni ragazzino deve sognare fin da subito, partendo con il divertirsi a giocare al calcio, e cominciare a prenderlo sul serio quando si ha un'età tra i 10 e i 14 anni, periodo nel quale può esplodere in modo definitivo e ritrovarsi magari nelle Giovanili di un club importante.