Chi tifa Roma, chi conosce davvero questa squadra, non può aver vissuto bene le poche ore che separavano la trasferta in terra tedesca da quella di Parma, dove i giallorossi sono atterrati venerdi, senza passare per la Capitale. Una scelta intelligente, dettata dalla volontà di evitare alla truppa di Fonseca ulteriori strapazzamenti da viaggio. Ma anche una scelta che mette a nudo, semmai ce ne fosse ancora bisogno, le difficoltà di una squadra che, al momento, può contare su 14-15 calciatori. Quelli che sono andati in campo negli ultimi venti giorni, disputando sette partite. Un tour de force che ha inevitabilmente presentato il conto nel momento più delicato, complicando la qualificazione ai sedicesimi in Europa League e la rincorsa al quarto posto in campionato. 

La Roma vista ieri sera è una squadra che definire "sulle gambe" è fin troppo riduttivo. La Roma di ieri sera si trascinava per il campo su ginocchia e gomiti in balìa dei ben più freschi avversari, aiutati anche da una certa dose di fortuna in occasione del palo di Kolarov e del gol di Sprocati, sostituto dell'infortunato Gervinho, sulla carta la più temibile freccia all'arco di D'Aversa. Storie romaniste. Come quella di Spinazzola, rimasto a Roma giovedi per recuperare da un infortunio, e giunto a Parma venerdi per giocare una manciata di minuti prima di rifarsi male, lasciando il posto a Santon. Piove sul bagnato, ma la Roma è già con l'acqua alla gola. Lenta come Dzeko, scarica come Kolarov, goffa come Zaniolo, la Roma dà fin da subito la sensazione di aver dato fondo a ogni risorsa, anche dal punto di vista mentale. 

Escluso Pastore e qualche guizzo di Kluivert, costretto però a farsi ottanta metri di campo per arrivare solo e poco lucido sulla trequarti avversaria, lì davanti si è combinato ben poco. E meno male che dietro ci hanno pensato il solito Smalling e l'ottimo Pau Lopez, perché altrimenti staremmo parlando di un risultato ancora più rotondo a favore del Parma. I ragazzi di D'Aversa sono stati bravissimo ad infilarsi in ogni spiraglio lasciato da una Roma in perenne affanno, soffocandone gli stanchi, macchinosi tentativi di manovra. Esclusi i quattro citati, difficile trovare altri giallorossi sopra la sufficienza. Potrebbero salvarsi i due di centrocampo, Mancini e Veretout, autori di buoni recuperi, anche se ciò è sintomo di quanto poco abbia funzionato il filtro in mediana.

Di certo non si salvano gli altri due subentrati: Diawara, reo di aver perso la palla con cui Cornelius ha chiuso i giochi a giochi già ampiamente chiusi; e Under, autore di una mezz'ora incolore, in cui si segnala solo per il tiro dalla lunga distanza che l'attento Sepe alza sopra la traversa. E' vero che i due classe '97 erano praticamente al rientro dopo lo spezzone concessogli al Borussia Park, ma da loro è lecito aspettarsi ben altro. Ci si aspettava ben altro dalla Roma tutta, chiamata a riprendersi il terzo posto solitario, ma stavolta la Roma non ha risposto. Per farlo, sarebbe stato necessario andare oltre i limiti già superati in Germania. Troppo, per una squadra così spremuta, più che mai bisognosa di tirare il fiato. Stavolta sì, benedetta sosta. A patto che in queste due settimane non si riaccendano le solite polemiche inutili su squadra, allenatore e società. Perché significherebbe non vedere i miracoli fatti finora.