Il Liverpool sarà, anzi è di certo, più forte del Milan. Ieri, tuttavia, era infarcito di riserve e, nella seconda parte della ripresa, Klopp ha schierato un ulteriore lotto di rincalzi. Era venuto a San Siro per vincere, dal momento che è un professionista serio, ma non lo ha fatto con la cattiveria di chi vuole sbattere fuori dalla competizione l'avversario a tutti i costi. C'erano tutti gli ingredienti, quindi, per giocarsela. Il Diavolo, tuttavia, ha mostrato per l'ennesima volta di non disporre di meccanismi adeguati quando cerca di uscire dalla propria area di rigore o se è in possesso palla sulla trequarti difensiva. Uno scempio che non si può attribuire a episodi o errori isolati, perché si ripete da troppo tempo, troppo spesso, anzi sempre più spesso.

I rossoneri schieravano un 4-4-2, in cui il duo Kessie-Tonali proteggeva la linea arretrata Kalulu-Tomori-Romagnoli-Hernandez. Krunic era la mezz'ala di raccordo fra il settore difensivo e l'attacco. Messias cercava di surrogare Saelemaekers e Diaz giocava molto vicino a Ibra. Klopp usava le 3 punte per pressare alto con un complesso di 5 giocatori, ma rimaneva abbastanza lungo per non esporsi al contropiede. La scelta di pressare altissimo, già nelle corde del gioco dei Reds, serviva proprio a braccare i rossoneri nel momento e nella zona in cui, come si è detto, sono più a rischio: il possesso palla sulla trequarti arretrata. Fiorentina e Sassuolo avevano fatto man bassa e perfino contro la Salernitata c'erano stati scricchiolii sinistri. Alla lunga, mettendo sotto stress i rossoneri, i Reds hanno finito per sparare sulla Croce Rossa.

Va detto che Krunic è stato a dir poco ottimo, un'autentica mezz'ala di raccordo, capace di portare e mantenere palla in attacco, ma anche di recuperi efficaci e di catturare palloni importanti in difesa. In altre occasioni aveva corso molto a vuoto in fase difensiva e si era parlato di lavoro oscuro per giustificare l'inefficacia del gioco in copertura, però ieri sera il bosniaco è stato sempre all'altezza della situazione. E non lo ha fatto contro una squadra qualsiasi. ma contro il Liverpool. Se giocasse sempre così, potrebbe essere un autentico titolare.

Se proprio c'è stata una scelta che ha lasciato perplessi, è stata quella di Messias nel ruolo di Saelemakers. Il brasiliano si è applicato molto e non ha giocato male. E' stato, però, meno efficace del belga dal punto di vista quantitativo, senza però sviluppare il proprio potenziale al 100% in attacco. Si è intuito nel finale, quando è entrato Saelemaekers ed è uscito Diaz, cosa avrebbe potuto dare Messias, se non fosse stato consumato nel ruolo più consono ad Angelo Colombo. Eppure, a mio avviso, questa scelta azzardata non è stata decisiva quanto lo è stata la scontatezza dei movimenti rossoneri sulla trequarti arretrata.

Il Milan era passato in vantaggio con Tomori alla mezz'ora. I Reds avevano difeso male sul primo palo in occasione del calcio d'angolo, proprio come aveva fatto la Roma di Mourinho contro l'Inter di Inzaghi. Allison, ex-romanista, era stato più bravo di quanto lo fosse stato il portiere giallorosso attuale, Rui Patricio. Infatti, Allison era riuscito a ribattere la palla sbucata all'improvviso, ma Tomori era entrato come un falco portando il Milan in vantaggio.

Fino a quel momento, la partita era stata equilibrata, anche se si era visto che gli Inglesi non lasciavano respirare molto i rossoneri in uscita dalla propria area. Il vantaggio, comunque, durava un pugno di minuti, perché Kessie si faceva aggirare da Origi e, sulla conclusione, Maignan reagiva in maniera approssimativa. Era uno scherzo per Salah mettere dentro, come lo era stato per Tomori in precedenza. Maignan è un ottimo portiere che ricorda molto Nkono, estremo difensore dell'Espanol degli anni '80 oltre che del Camerun contro l'Italia nel Mundial di Spagna. Ora, come Nkono, Magnan non sempre è soccorso dai fondamentali del ruolo, avendo la dote migliore nell'esplosività delle gambe e del colpo di reni . Queste sono sì doti importanti per un estremo difensore, ma sono spesso cattive consigliere, in quanto spingono i portieri a fidarsi delle proprie capacità di recupero. Mi diverto sempre molto a vedere giocare questo tipo di giocatori, autentici elastici umani, ma a volte mi lasciano un po' perplesso.

Nulla era perduto, anzi nella ripresa arrivava la notizia che l'Atletico aveva rotto l'equilibrio in Portogallo. Non solo, quindi, nulla era perduto, ma era anzi tutto in ballo.

A questo punto, proprio sul più bello, gli inglesi hanno dato una bella martellata ai piedi d'argilla del diavolo, che si sono sbriciolati senza opporre resistenza. Per l'ennesima, disgraziata, sciagurata volta in tutta la stagione e anche nel match di ieri, i rossoneri hanno reagito al pressing avversario con un passaggio in orizzontale che sembrava dire ai Reds "Intercettami... intercettami...". A quel punto è bastata una distrazione di Tomori per regalare la sfera agli avversari, i quali andavano in vantaggio con Origi dopo un breve batti e ribatti nel quale, questa volta, Maignan non aveva colpe.

La staticità dei rossoneri nell'uscire dalla difesa li lasciava in balia del pressing alto avversario, come era accaduto soprattutto nei match contro il Porto. Il Milan avrebbe avuto bisogno di andare avanti, ma le belle statuine in maglia rossa e nera si rivelavano bersagli facili.

L'incapacità di uscire in scioltezza faceva sì che il Diavolo riuscisse a costruire una sola occasione, nel finale, parata da Allison in uscita su Kessie. Se il Milan avesse segnato, forse i giovani leoni del Liverpool si sarebbero innervositi, ma era troppo poco per chi doveva vincere a forza.

Come in altre occasioni, molti faranno, anzi stanno facendo, gli struzzi con la testa sotto terra per non  vedere la realtà. Parleranno di errore individuale per l'ennesima volta. E' un errore gravissimo. Sempre più grave ogni volta che viene ripetuto. Il pressing alto, infatti, esiste e occorre essere pronti a fronteggiarlo. Chi è in possesso di palla deve avere un compagno smarcato cui darla agevolmente, cosa praticabile se ti proponi senza palla, evitando soprattutto la pratica suicida di passare la sfera in orizzontale sulla trequarti. Il calcio, come la vita in generale, è una questione di probabilità. Staticità, approssimazione e soluzioni inutilmente rischiose alzano il rischio di pagare a caro prezzo una sbavatura, come l'attimo di distrazione di Tomori. Perché sbavature e distrazioni ci saranno sempre, visto che i giocatori sono esseri umani e non macchine.

L'uscita dalla propria area non è una formalità burocratica, un compitino scolastico, ma una fase nevralgica del gioco. E visto che ci siamo, aggiungiamo che il possesso palla in difesa, non deve limitarsi ad attendere che arrivi un avversario che faccia fallo. Un fallo può essere anche non fischiato o può anche non esserci.

La larga vittoria dell'Atletico sul Porto elimina i rimpianti, ma non toglie che il Milan abbia confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, di essere troppo vulnerabile in certe situazioni e non crescerà mai mai mai mai mai, se si scaricherà ogni volta la responsabilità sulla concentrazione e l'attenzione dei singoli. Ieri, come in altre occasioni, nessuno ha tradito nessuno. C'è poco da tradire, quando sei vulnerabile. Come detto sopra, gli errori ci sono e ci saranno sempre. Sono inevitabili, a causa della fallibilità della gente, in quanto il proverbiale fattore umano non è elminabile. Se, tuttavia, i meccanismi sono efficienti e non scricchiolano, le conseguenze di un'imprecisione sono veniali oppure diminuisce il rischio di essere imprecisi.

Forse il Liverpool avrebbe vinto anche senza i difetti rossoneri, come il Milan ha vinto contro la Salernitana nonostante quei difetti. La stagione, però, è fatta in gran parte di incontri con squadre di valore intermedio fra quello dei Reds e quello della Salernitana, contro i quali certi dettagli fanno e faranno la differenza.

In conclusione, ritengo doveroso ribadire i complimenti a Rade Krunic, cui ho voluto dedicare il titolo e l'immagine in un contrasto con un top-player come Salah. Il bosniaco è stato un giocatore degno di una sfida delicata contro un grande avversario.

Applausi.