Boxing day. Finalmente anche in Italia si assiste allo spettacolo della Serie A durante le feste. Tutte le partite in un’unica lunghissima giornata che ha registrato 34 goal in totale e un big match combattuto fino all’ultimo minuto a coronare un successo sportivo su cui sarebbe stato facile scommettere.

Eppure non è andato tutto bene, anzi, la giornata cominciò con le dichiarazioni di De Laurentiis, presidente del Napoli, che lamenta alcune designazioni alimentando un clima di cui Allegri – va detto, a caldo – ha approfittato, per gettare sconforto su una situazione “difficilmente risolvibile” dimenticando che i principali attori di questa risoluzione sono proprio chi, nel contesto di una partita, si accomoda ai microfoni a sputare sentenze contro arbitri, VAR e chi più ne ha più ne metta.

Al peggio, però si arriva sul far della sera, quando ormai manca poco a Inter-Napoli: gli scontri a due km dallo stadio lasciano un bollettino di quattro feriti di cui uno, il più grave, morirà nella notte.
Si tratta di un uomo di 35 anni, ultras del Varese, due daspo nel CV, che sarebbe stato coinvolto in un assalto ad un pulmann di tifosi del Napoli per poi essere fatalmente investito da un van da chi, adesso è accusato di omicidio. Sul luogo degli scontri sono stati ritrovati picconi, coltelli e martelli.

Non entro nel merito né mi permetto di giudicare fatti che al momento sono oggetto di un’indagine ma questi episodi, per niente sporadici, devono far riflettere sulla deriva in cui sta andando il nostro calcio e più in generale, lo sport. Un contesto del genere diventa sterile di ogni iniziativa leale, sportiva e se assume i connotati di una guerra, è il segnale che veramente si è toccato il fondo.

Dentro allo stadio poi, il difensore del Napoli, Koulibaly è stato oggetto di ululati razzisti provenienti da una parte dello stadio. La partita è proseguita, nonostante l’annuncio intervenuto a far desistere quel numero indefinito di ignoranti, condizionando – secondo Ancelotti, ma non fatichiamo a credergli – la serenità dello stesso giocatore che verrà espulso per un applauso nei confronti di Mazzoleni in seguito ad un’ammonizione.
Doveva essere una giornata di festa, è diventata un’inquietante rappresentazione della povertà culturale che è radicata nei nostri stadi. L’Inter, che nel frattempo si è dissociata da “atteggiamenti razzisti che non appartengono alla storia né agli ideali del club” è stata multata con due partite a porte chiuse, tre senza curva.

Ho circa 30 anni, mi chiamo Daniele, e sono morto prima di Natale. Ho circa 30 anni, mi chiamo Kalidou, e in Italia non posso giocare senza che mi diano della scimmia. Ho circa 30 anni, mi chiamo Francesco, e non andrei a vedere una partita di calcio con mio figlio.

Bisogna per forza chiedersi, a questo punto, come estirpare tale cancro dai nostri stadi: togliere ogni spazio al razzismo, ad episodi intimidatori, mafiosi, osceni, violenti. Questo calcio sta da anni urlando l’urgenza di una risposta forte e coraggiosa da parte delle autorità che restano spaventosamente mute. C'è bisogno di una risposta che faccia rima con tolleranza zero nei confronti dell’odio e a sostegno del tifo sano, che comprenda pure il sacrosanto sfottò ma che non dia più fiato o spalti alla parte cattiva della nostra società, che c’è, ma che lo sport che da sempre rappresenta un modello di collettività (si fermava la guerra per le Olimpadi) deve debellare. E' un problema che ha a che fare con la cultura, con l'educazione e che si fa tradire dai colori sociali, millantati da delinquenti per spaccare auto, menare, distruggere. E' il tempo di svuotare gli stadi dai violenti, dai mafiosi, da pregiudicati. Credo che nessuno ambisca al cantico delle creature in Curva Nord, rione San Siro, ma da anni si è sfondato un limite inaccettabile per una finestra mondiale come il calcio in Italia. Basta. Bisogna coinvolgere le scuole, le famiglie, le stesse società che molto spesso sono ricattate dagli stessi ultras, bisogna fare luce e impedire sul nascere certi scontri; e bisogna fare in fretta, perché siamo già tardi.

Altrimenti no, non giochiamo più.