Non è più la Juve di Allegri. E non è nemmeno la Juve di Sarri. Ma è una Juve autodidatta.
Contro la Roma all’Olimpico ha vinto in questo modo, vale a dire autogestendosi. Infatti in campo la squadra sembra fare da sola. Con  Szczesny che si sbraccia verso i compagni  nei calci piazzati, Bonucci che indica con la mano la posizione da assumere ai compagni, e in avanti CR7 che  fa la stessa cosa; dice a chi passare la palla e suggerisce all’orecchio cosa fare.
La squadra dà l’impressione di non seguire lo stesso copione, nel senso che non tutti i giocatori danno l’idea di dover o di voler fare le stesse cose. 
Se ne è avuta una conferma chiara anche in occasione della sostituzione di Dybala, che è uscito dal campo piuttosto scocciato;  e che pur coprendosi la bocca con la mano (per salvarsi dalle telecamere), ha protestato (forse ha fatto qualcosa di più) sia con Martuscello che con Sarri, come a dire: ma che cavolo fate? La stessa cosa è già successa diverse volte in questa stagione; troppe volte. Basta ricordare  l’uscita dal campo di CR7 nella gara col Milan allo Stadium, o quella di Higuain nel finale di gara contro la Sampdoria a Genova.
In entrambe le occasioni Sarrri aveva fatto da pompiere e si era limitato a fare i soliti discorsi; vale a dire che è normale che un giocatore si arrabbi quando viene sostituito, perché sta a dimostrare che ci tiene, vuole bene alla maglia e vorrebbe giocare sempre. E aveva sempre concluso la sua giustificazione con la chiosa finale che si sarebbe preoccupato se i due giocatori non si fossero arrabbiati, perché in questo modo  avrebbero dimostrato poco attaccamento alla maglia.
Insomma, vecchi concetti, triti e ritriti, di un calcio che fu e che forse non è mai esistito. Ma in questa occasione la strategia di Sarri è cambiata, e nel giustificare la reazione di  Dybala  ha chiuso drasticamente l’argomento con un secco: ”non me ne frega nulla se è arrabbiato per la sostituzione”. Insomma, fra le righe, un altro segnale di un modo di fare e di una conduzione dello spogliatoio faticosa, quasi fuori dai denti, che denota che il gruppo non è compatto e che non sta tutto dalla  parte dell’allenatore.

E un altro segnale o forse sarebbe meglio dire una conferma ancora più forte di questa situazione arriva dal campo, dove del credo calcistico del tecnico, del cosiddetto Sarrismo, si continua a vedere poco o niente.
E nella partita con la Roma del “famoso gioco” se n’è visto ancora meno del solito. Infatti tutto si è deciso nei dieci minuti iniziali, ed è stato sufficiente approfittare degli svarioni difensivi della retroguardia giallorossa, entrata in campo con la “tremarella” come tutto il resto della squadra. Poi la Juve fino alla mezz’ora ha anche cercato il possesso palla attraverso il solito palleggio orizzontale; ed ha tentato pure il  pressing quando bisognava recuperare il pallone. Ma è sembrato più un abbozzo di gioco, una sorta di idea ancora inespressa; un tentativo di mettere in pratica un progetto che sta ancora tutto nella testa dell’allenatore. Infatti basta vedere il proseguo della gara con i giallorossi per rendersene conto; perché 13 calci d’angolo a due a favore della Roma, stanno ad indicare che il resto della partita è stata giocata prevalentemente nella metà campo della squadra bianconera. E  quello che si è visto, non solo è stato un lontano parente del Sarrismo, ma si è rivelato soprattutto un “cugino stretto” del gioco di trapattoniana memoria. Vale a dire di quell’intramontabile sistema di gioco basato su “difesa e contropiede”. La Juve ha vinto all’Olimpico giocando semplicemente all’italiana.

Naturalmente fino a quando i risultati daranno ragione a Sarri, che fino a questo momento sono tutti dalla sua parte (campione d’inverno con 48 punti, e ottavi di Champions con due turni d’anticipo), criticare diventa quasi pleonastico.
E’ chiaro che sarà il tempo, come sempre, ad emettere le sue sentenze e a farci conoscere certe verità. Recentemente Cesc Fabregas, vecchia bandiera del Chelsea, in una intervista ad un giornale tedesco ha parlato anche di Sarri dicendo in sintesi che è un tecnico che ha le sue tattiche e muore con quelle; ma che è una brava persona ed è un buono. Si può dire che è un giudizio che sotto certi aspetti fotografa appieno quell’integralismo di cui il tecnico bianconero viene accusato; e conferma anche la veridicità e la schiettezza dell’uomo. Anche se ad onor del vero bisogna dire che a Torino di questo famoso integralismo se n’è visto di meno. A cominciare dal cambio di modulo in corsa, vale a dire dal 4-3-3 di inizio campionato, all’attuale modulo col trequartista dietro alle punte.  E non si è visto affatto soprattutto nella scelta degli uomini, perché per ben 25 partite ha messo in campo 25 formazioni diverse. Infatti contro la Roma, per la prima volta da quando siede sulla panchina bianconera, ha schierato la stessa squadra della partita precedente (quella col Cagliari).

Per cui in conclusione si può dire che il Sarri bianconero è una via di mezzo fra l’integralista convinto ed il pratico “costretto”; nel senso buono della parola. D'altronde quando ci si ritrova all’interno dello spogliatoio con gente come Buffon, Bonucci, Chiellini, e con un certo CR7, senza considerare Barzagli che gli lavora a fianco; allora prendere decisioni in modo autonomo diventa “quasi impossibile”.