Pioli mi piace sempre di più per un semplice motivo: non è Pep Guardiola, ma è un pratico alla Gattuso. Capita l’antifona, e cioè capito che si trova in una società con due fotomodelli come direttori dell’area tecnica, una proprietà che si piace (e molto) per le proprie abilità finanziarie, ma non gliene frega niente di applicarle al Milan o non ne è in grado, visto che non ci sponsorizza neanche un venditore di caldarroste della Bovisa, ha optato per condurre una banda di disperati, che se la sono fatta sotto quando miracolosamente si sono trovati a lottare per arrivare quarti, a ficcarsi nelle capocce una minima idea della situazione drammatica in cui si trovano.

Siccome il resto della corte reale sproloquia di Milan che sta lavorando, soprattutto di notte, per tornare sull’Himalaya del calcio, il buon Stefano ha compreso che o inculcava umiltà, palla dritta e pedalare, classifica da incubo appesa ovunque a Milanello, o c’era il rischio che Biglia e compagnia impalpabile farneticassero ad oltranza di traguardi impossibili.
Non a caso a centrocampo si stanno facendo strada due giovanotti, Krunic e Bennacer, abituati mentalmente a giocare per conquistare, sputando sangue, la salvezza. E questo è un merito del tecnico emiliano. 

Pioli sta altresì mettendo un quanto mai appropriato freno ai deliri della comunicazione, dentro e fuori la società, che ancora oggi hanno la sfrontatezza di parlare di Milan come se fosse quello degli anni novanta: il tecnico, ancora una volta in modo più che opportuno, sottolinea che dalle parti di Milanello giocare per vincere, perdere o pareggiare sembra ispirato dalla medesima motivazione: lo zero.

La realtà, che sembra cogliere appieno il solo tecnico, è che raggiungere i 40 punti è diventata un’urgenza inderogabile, proprio perché così come NON costruita, questa squadra non sta in piedi e vaneggiare di recuperi da ingresso in Europa nel secondo quadrimestre, magari con Ibra in versione Brancaleone, è pura follia.

Auguriamoci, almeno questa volta, che i rovelli della messa in piega (così Carmelo Bene sbeffeggiava Strehler), ci portino un cagnaccio da area di rigore stile Pandev, perché Ibra non ha senso e Leao si mette a palleggiare col tacco al 94mo col risultato ancora in bilico; tradotto è un damerino tutto fuorché da combattimento e Piatek ha bisogno come il pane, e noi con lui, di trovare una seconda parte di stagione all’altezza dello scorso campionato, aiutato da una spalla con la bava alla bocca.

Gli acquisti, pochi, e di riparazione all’ennesimo mercato imbarazzante, dovranno quindi essere gladiatori che hanno nel DNA la lotta nella parte destra della classifica.

Questo prima che sia, davvero, troppo tardi.