E' una tradizione, da diversi anni a questa parte, quella di accostare giocatori del presente a quelli del passato: la "vintagemania" fa sì che ci sia una sfilza enorme di ragazzini argentini che, dopo 1 anno giocato bene, sono "Il nuovo Messi", "Il nuovo Aguero" etc... A mio parere non è un caso, vedendo la crisi tecnica che attanaglia l'Albiceleste. Per quanto riguarda il campionato portoghese, ogni ragazzo con un po' di fantasia viene ribattezzato come "Nuovo Ronaldo", anche se talvolta è solamente per il look o per una partita giocata particolarmente bene. 

In questo calderone, ci sono "cascati" diversi giocatori anche nel nostro calcio. Dybala fa parte delle centinaia di novelli Messi. Ci sono poi sottocategorie di questo "feticismo per le comparazioni": Under, per esempio, per il ruolo e per una certa somiglianza fisica, è divenuto il nuovo Dybala, in un circolo vizioso per cui nella Super Lig turca ci sarà probabilmente qualcuno soprannominato nuovo Under etc... Queste etichette, sebbene lusinghiere per alcuni di loro, sono probabilmente una fonte ulteriore di pressione: quando si gioca con o contro "l'originale", per esempio, tutti metteranno in risalto la differenza di prestazione fra i due; un anno di pausa sarà utilizzato per dire che ci si è sbagliati, che i giornalisti e i suoi tifosi si sono lanciati in comparazioni troppo audaci e che il "Nuovo..." è un altro giocatore, normalmente più giovane. 

Questo articolo, è facile comprenderlo, si scaglia proprio contro questo atteggiamento che, lungi dal far bene ad un calciatore, spesso lo deprime. Poi ci sono tutte le attenuanti del caso (il grande stipendio, il fatto che si viene pagati per fare qualcosa che si ama, la vita non sempre irreprensibile dei giocatori), ma non è questo il punto su cui ci si vuole concentrare. Piuttosto, vogliamo far notare che sempre più spesso, gli stessi calciatori cercano di calmare le acque, dicendo di voler semplicemente "Essere sé stessi". Scelta saggia, quella di diminuire un po' le aspettative, per crescere con calma. 

Un campo, però, che era ancora rimasto abbastanza vergine da questa "Vintagepatia" era stato quello degli allenatori: si trovavano dei modelli, si trovavano delle similitudini, ma erano poche le comparazioni. E le stesse, spesso, si sono rivelate spesso dannose per l'allenatore stesso: Villas Boas, per esempio, ha l'ombra di Mourinho che incombe su di lui da anni; Luis Enrique, grande allenatore, sarà sempre messo in comparazione per i risultati con Guardiola (forse è per questo che ha scelto la Spagna, almeno lì Pep non ha mai allenato). Però questi erano pur sempre dei fenomeni isolati. Adesso, c'è una nuova pericolosa tendenza da bloccare: la concettualizzazione di Sarri.

Il Nuovo Lippi- Quando Marcello Lippi (1994) veniva ufficializzato alla Juve, il trentacinquenne Maurizio Sarri allenava la Cavriglia, da cui si separò l'anno in cui la Juventus vinse l'ultima Champions (1996); nell'ultimo anno del viareggino coi bianconeri (dopo la parentesi interista del 1999-2000), allenava la Sangiovannese. Già questo basterebbe a spiegare la differenza, anche temporale, fra i due tecnici. Malgrado questo, diverse testate giornalistiche, a partire dal giorno dell'ufficializzazione dell'allenatore toscano all'Empoli, si sono divertite a paragonarlo al tecnico campione del mondo con l'Italia del 2006. Le ragioni, più che tecniche, sembrano estetiche qui: entrambi toscani, entrambi gran fumatori, entrambi abbastanza schietti (anche un po' troppo talvolta), entrambi più a proprio agio in tuta che in giacca e cravatta, entrambi hanno fatto il "salto" dalla panchina napoletana a quella juventina. Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, pochi si sforzano di addentrarsi in questo tema: nei pochi articoli che ho trovato che sono andati un po' più nel profondo, nella sostanza, abbiamo visto scrivere in che "Entrambi sono cultori del gioco offensivo". Non per rovinare le speranze dei tifosi, ma Sarri e Lippi non hanno il copyright su questa caratteristica: senza scomodare i mostri sacri Klopp e Guardiola, ad amare questo tipo di strategia sono anche Zeman, Di Francesco, Fonseca, Spalletti, Nagelsmann e praticamente i tre quarti degli allenatori che provengono dalla "scuola spagnola". E la maggioranza di questi allenatori ha uno stipendio più leggero di quello del "prescelto" della Juve.

Negli articoli più specifici poi, ci si lancia in comparazioni della formazione attuale con la squadra di Lippi; un gruppo che, fino a tre mesi fa, per la maggioranza dei tifosi era a fine ciclo e da cambiare radicalmente: e quindi Pjanic (che tanti volevano vendere) diventa un nuovo Paulo Sousa; Dybala (che ha avuto una stagione difficile)-Ronaldo-Bernardeschi sono Ravanelli-Vialli-Del Piero; Chiellini e Spinazzola sono magicamente trasfigurati in Vierchwood e Torricelli. Ora, cominciamo da una cosa: se proprio si volessero fare dei paragoni, quelli andrebbero fatti con il Napoli di Sarri, perché l'ex allenatore dell'Empoli non è la reincarnazione del collega di Viareggio (per fortuna ancora vivo e vegeto). Ma poi, va detto, la Serie A era diversa, alcune regole erano diverse, soprattutto i giocatori erano diversi, a partire dall'età anagrafica: Paulo Sousa aveva 24 anni quando arrivò alla Juve. Pjanic ne fa 30 l'anno prossimo; Vialli, con tutto l'amore per il giocatore, non è proprio la stessa cosa di Ronaldo; così come Emre Can non è Deschamps (anche se gli auguriamo di diventarlo). Quindi per il momento, il paragone fra Sarri e Lippi è abbastanza campata in aria.

Anti Allegri - Un'altra cosa che viene detta è che il gioco di Sarri è la negazione di quello di Allegri, che era diventato il difensivista per eccellenza del campionato italiano. Finalmente, con il nuovo allenatore, arriva più spettacolo, più corsa, un gioco più europeo. "Un calcio" dicono alcuni "più operaio". Ora, trascurando il fatto che tutti questi palati fini del bel gioco e della fantasia al potere, spesso, erano gli stessi che rispondevano ai detrattori della Juve con l'oramai arcinota frase "Se voglio vedere lo spettacolo, posso andare al circo" (che poi ci si potrebbe chiedere chi va al circo nel 2019, ma lasciamo perdere).

Però insomma, il Napoli di Sarri era bello da vedere, giocava bene e rendeva i propri tifosi orgogliosi. La cosa che qui ci sentiamo di rimproverare a chi dice ciò è una sopravvalutazione del ruolo dell'allenatore: come spesso dicono i giornalisti, non è lui che scende in campo. E, escluso Higuain, per altro ai ferri corti con Sarri, nessuno dei suoi vecchi giocatori del Napoli è alla Juve al momento: non ci sono né Mertens, né Insigne, né Jorginho in questa Juve, e pare difficile che agnelli si compri in blocco la squadra di De Laurentiis. Quindi, bisognerà lavorare con il materiale a disposizione, e quello è di buonissima qualità. Ma ha i propri meccanismi, il proprio stile di gioco, perché costringerli a fingere di essere qualcosa che non sono, con l'evidente rischio di farli rendere di meno?

E poi, siamo sicuri che il ciclo di Allegri sia tutto da buttare? In fondo, il vecchio allenatore ha portato due finali di Champions, 5 titoli nazionali, non si sa più quante Coppe e Supercoppe Italia. E l'ultimo anno, malgrado un cammino in Europa deficitario, ha lasciato le briciole ai propri avversari sino all'ufficializzazione della conquista del titolo. E, escluso l'ultimo anno di Sarri al Napoli, lo Scudetto non ha mai avuto una contendente seria. Riguardo al gioco europeo, si può fare qualche appunto, ma non si può pretendere che arrivi Maurizio da Empoli, prenda in mano una bacchetta magica e trasformi la squadra in una vincente dal gioco europeo. Questo non succederà immediatamente, e il rischio è di andare a sbattere contro delusioni.  

Let him be- Nel comparare Sarri con il passato prossimo e il passato remoto, dunque, si rischia a nostro parere di fargli del male. E, quando si comincerà a non vincere una partita, quando il Sarriball si incepperà (perché questo è successo a metà stagione con il Chelsea) o l'ex allenatore del Napoli sarà costretto a fare un gioco più difensivo per salvare un risultato, ci saranno detrattori pronti a dire che "Il nuovo Lippi è deludente" o che "A questo punto, avremmo potuto tenerci Allegri". La cosa che ci sentiamo di dirci è di smettere di farsi influenzare dalla stampa o da caratteri "estetici" per accostare il nuovo allenatore ai suoi due predecessori: loro sono il passato, ora è il momento di lasciare che Sarri sia solamente Sarri.

Anche perché non è che abbiano preso l'ultimo arrivato alla Juve: il toscano è stato l'ultimo allenatore a rendere la lotta per il titolo un minimo avvincente; Ancelotti, malgrado il suo palmares impressionante, non ha fatto di meglio. E' stato finalista in FA Cup quest'anno, dove si è dovuto inchinare al City di Guardiola (non proprio gli ultimi arrivati) e in Premier (non un campionato di secondo piano) è arrivato terzo dietro al già citato City e al Liverpool Campione d'Europa. E, soprattutto, è l'ultimo allenatore italiano ad aver vinto un titolo europeo. Per chi è interessato, il predecessore è Di Matteo con la Champions del Chelsea (2012), anche se parecchi hanno parlato di "Autogestione". Tornando a noi, l'Europa League di quest'anno è stata un capolavoro, considerando che il tecnico aveva uno spogliatoio in rivolta, un presidente che ha la fama di mangiallenatori e una tifoseria apertamente ostile nei suoi confronti. Perciò non deve prendere lezioni da Lippi, ma nemmeno essere incensato come il giustiziere del difensivismo dopo gli "anni da sbadiglio" di Allegri.

Quindi, cari juventini, lasciatelo essere sé stesso, non il fantasma di presunti "anni d'oro". Vedrete che le soddisfazioni arriveranno.