C’eravamo lasciati più o meno così, con il Sassuolo vittorioso ai danni del Brescia e con l’attaccante neroverde, Francesco Caputo, che esultava per una sua marcatura esibendo un cartello verso le telecamere: “Andrà tutto bene, restate a casa”.
Era il 9 marzo del 2020, sono passati più di tre mesi da quell’ultima partita di Serie A prima dello stop forzato a causa della pandemia del Coronavirus, e no, non è andato tutto bene, purtroppo.
Sono stati mesi difficili, se non addirittura drammatici, tra le paure, le ansie e le incertezze che attanagliavano tutti noi. Ma sono state anche settimane durante le quali si è fatta largo la solidarietà, l’altruismo e la voglia di ricominciare, al più presto, a vivere normalmente.
Un periodo lungo e complicato, che ci ha messo a dura a prova, le cui conseguenze, molto probabilmente, continueremo a patirle anche nel prossimo futuro. Un contesto particolare, dove non sono mancate certamente le polemiche e le recriminazioni.

Anche nel mondo del calcio dove, dopo la sospensione del campionato, abbiamo assistito ad un susseguirsi di dichiarazioni, posizioni e accuse da parte di vari personaggi più o meno noti di questo ambiente. Tra chi si era schierato, fin da subito, per lavorare al fine di riprendere al più presto, e chi invece ha preferito ostacolare questo processo, per lo più per tutelare i propri interessi di bottega. Tanti hanno parlato, spesso a vanvera, così come spesso tanti hanno taciuto, colpevolmente.
Tra cristalizzazione della classifica, algoritmi vari, playoff e playout a 20 squadre e presunti titoli assegnati per presunti meriti sportivi, siamo finalmente giunti al 12 giugno. Una data per certi versi storica, sicuramente significativa. Oggi la palla riprenderà a rotolare. Oggi 22 atleti torneranno in campo, per affrontarsi in una semifinale di Coppa Italia. Il primo trofeo calcistico che, come ha giustamente ricordato il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, verrà assegnato in Europa nella fase post-Covid.
Le chiacchiere stanno a zero. O, almeno, si spera. Oggi torna a parlare il campo. E poco importa se, almeno per il momento, intorno a quei 22 calciatori non ci sarà il solito pubblico pronto a sostenere e ad ammirare le gesta dei propri beniamini sul terreno di gioco. Avevamo bisogno di ritrovare una parvenza di normalità. E quel manto erboso e quella palla che rotola rappresentano, perfettamente ed indiscutibilmente, la normalità della nostra società. E’ inutile negarlo. Anche per chi il calcio non lo segue e non lo sopporta assolutamente.

Siamo tornati a vivere. Siamo usciti dalle nostre case. Stiamo tornando ad affollare le vie del centro, i negozi, i ristoranti e i locali delle nostre città. Abbiamo bisogno fortemente di tornare a riprenderci le nostre vite, così come le avevamo lasciate. E in quel passato, in quella quotidianità, che sembra così lontana, ma dista poco meno di quattro mesi, c’era anche quello che viene considerato lo sport più bello del mondo.
E allora, godiamoci il ritorno del calcio. Così come ci stiamo godendo tutto quello che ci stiamo, mano a mano, riprendendo. Nel pieno rispetto di chi non c’è più e senza assolutamente dimenticare ciò che è successo.
Perché in effetti, no, non è andato tutto bene. Ma almeno oggi si ricomincia…