Affronteremo in questo articolo un argomento di psicologia dello sport, applicato al calcio.

Molti lettori hanno senz'altro sentito parlare o letto, circa la nikefobia (dal greco antico: paura della vittoria), sindrome psicologica da cui sono affetti alcuni atleti, che in gare individuali, pur essendo a volte nettamente favoriti sui rivali, perdono inaspettatamente la sfida decisiva a motivo di un 'deficit emozionale', che li conduce ad offrire nella gara finale, prestazioni al di sotto del loro standard abituale, con conseguente sconfitta individuale inaspettata.

Non ho visto finora trattato questo argomento in relazione agli sport di squadra, ma il cammino internazionale della Juventus, squadra plurivittoriosa in ambito nazionale in tutte le epoce, e specialmente ed in maniera dominante negli ultimi otto anni, pone senz'altro un interrogativo sulla presenza di questa sindrome anche in ambito di 'squadra' e di 'società sportiva', e non solo in ambito di un atleta singolo.

Molti sanno che la squadra torinese ha ottenuto anche successi internazionali, ma molto pochi in rapporto alla sua pressocchè continua presenza sullo scenario internazionale. Inoltre, le sue sconfitte spesso sono avvenute nella sfida decisiva, nella finale, e per di più, godendo la maggior parte delle volte, anche dei favori del pronostico.

Ben sette sono state le finali di Coppa dei Campioni - Champions League perse, record assoluto negativo, per una squadra europea nella massima competizione per club; in almeno quattro di queste finali, la Juventus partiva con i favori del pronostico. Ma il trend negativo, era iniziato già in Coppa delle Fiere (competizione, poi, sostituita dalla Coppa Uefa) nell'anno 1965, quando nell'unica finale disputata in una sola partita (e, per di più, proprio a Torino!), la squadra torinese venne sconfitta dagli ungheresi del Ferencvaros; altra sconfitta, sei anni dopo, sempre in finale di Coppa delle Fiere, contro gli inglesi del Leeds. Inoltre, la Juventus, venne sconfitta anche in Coppa Intercontinentale (disputata in gara unica, a Roma) contro la squadra argentina dell'Indipendiente nel 1974, dopo aver sbagliato anche un calcio di rigore sullo 0 a 0 (la Juve, sostituiva l'Ajax, che aveva rinunciato alla partita). Infine, c'è da annoverare anche una sconfitta in finale di Coppa Uefa contro il Parma, durante il ciclo vincente di Lippi.

Tutte queste sconfitte in finali internazionali (undici, in totale), superiori a quelle di ogni altro club, in arco temporale così lungo, indicano che evidentemente la squadra, pur ben allestita, si trova anche negli anni migliori a provare a scalare una montagna invalicabile. Probabilmente, la facilità ad ottenere successi nazionali, l'entusiasmo smisurato di una numerosa tifoseria, i continui investimenti sui migliori calciatori in circolazione, l'ostilità 'percepita e subita' da parte di tanti tifosi italiani di Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio, Fiorentina e Torino, il ricordo costante dei tanti insuccessi internazionali (soprattutto nelle finali, ovviamente), contribuiscono a formare un alone negativo, che psicologicamente grava sulla squadra in maniera sempre più pesante, man mano che ci si avvicini alle fasi finali delle competizioni internazionali. Il fatto stesso che la Champions League, duri ben nove mesi circa, con partite decisive in crescendo nel tempo, rende la competizione psicologicamente difficile da vincere. Per fare un esempio molto semplice, sulla Juventus, grava lo stesso peso che grava su uno studente molto volenteroso, sempre preparato nelle interrogazioni ordinarie, ma che fallisce molto spesso negli esami di fronte a commissari esterni, per un eccesso di emotività e di background negativo.

In definitiva, il caso dello Juventus, mi sembra quello paradigmatico per affermare che esiste una nikefobia anche nell'ambito degli sport di squadra, e specialmente nel calcio. Quest'anno la parabola della Juventus si è fermata ai quarti di finale, ma probabilmente mai la squadra torinese era partita ai nastri di partenza con una rosa così competitiva e con i favori del pronostico. Lo testimonia il fatto che dopo le due finali raggiunte negli anni scorsi (nel 2015 e nel 2017), le buone prestazioni (dal punto di vista dei risultati) ottenute anche negli altri due tornei disputati con l'allenatore toscano (eliminazione agli ottavi nel 2016 ed ai quarti nel 2018), e sopratutto l'acquisto di Cristiano Ronaldo, lo stesso Allegri, quest'anno, anche se con qualche semplice e formale dose di prudenza, aveva più volte ribadito come la Juve avesse l'imperativo di vincere finalmente la Champions, da 'favorita'.

La conclusione del mio 'studio' è che probabilmente, l'avversario più temibile per la squadra torinese, in campo internazionale, non è solo lo squadrone o l'outsider di turno, ma proprio questo 'mix di inferiorità psicologica', la nikefobia, un avversario 'nascosto', ma presente nello stesso spogliatoio bianconero: presente, ad esempio, dopo il pareggio in finale con il Barcellona (nel 2015), nei minuti finali delle partite di ritorno con il Bayern Monaco (nel 2016) e con il Real Madrid (nel 2018), dopo il pareggio in finale con lo stesso Real Madrid (nel 2017), e quest'anno, addirittura, manifesto, nelle due recenti partite con l'Ajax, dopo i due vantaggi ottenuti con Cristiano Ronaldo. 

Ecco, perchè, a mio modesto parere, al di là dei meriti degli avversari di turno, anche con Cristiano Ronaldo, la Juventus non è riuscita a trionfare in Champions: la nikefobia, si è resa manifesta, per l'ennesima volta!