Niente da fare per la Nazionale, che per la seconda volta di fila non andrà ai Mondiali.
Come nel 2017 sono i play-off a sancire la fine del sogno e se quattro anni fa fu la Svezia ad eliminare gli Azzurri, questa volta tocca alla Macedonia stoppare il cammino della Nazionale impartendo alla squadra di Mancini una lezione che sarà difficile da dimenticare ma che al tempo stesso deve servire (come doveva servire quella di San Siro) a far capire a tutto il calcio italiano che bisogna cambiare e farlo in fretta.
La Nazionale, infatti, è solo la punta di un iceberg fatto di problemi molto più profondi: dal 2010 solo quattro volte un club italiano è arrivato a giocarsi una finale di una competizione europea (2 volte l’Inter con la vittoria di Madrid nel 2010 e la sconfitta in finale di Europa League del 2020 e 2 volte la Juventus con le due sconfitte contro Barcellona e Real Madrid in Champions) per non parlare delle difficoltà delle ultime stagioni dove spesso il cammino si è interrotto già agli ottavi (come quest’anno).
Per non parlare dell’appeal del campionato che dopo essere stato uno dei più importanti (soprattutto dagli anni '80 fino ai primi 2000) ora si trova (forse) ai livelli di quello francese fino all’annoso problema stadi (con la burocrazia che spesso rallenta i nuovi progetti) e ai proventi dei diritti televisivi che oltre ad essere ridistribuiti male sono anche “pochi” rispetto ad altri campionati.
Insomma, è tutto il movimento da rifondare (e questo lo si dice da anni) non soltanto una Nazionale che è evidente specchio del calcio italiano.

Contro la Macedonia la squadra di Mancini aveva l’obbligo di vincere per poter così giocarsi l’accesso ai Mondiali contro la vincente di Portogallo-Turchia (con i lusitani che hanno confermato la loro supremazia vincendo per 3-1 nonostante una buona Turchia). Un obbligo ancora più grande se consideriamo il titolo Europeo vinto la scorsa estate ed il fatto di aver buttato via una qualificazione già in tasca con le oscene partite post vittoria contro Svizzera, Irlanda del Nord e soprattutto Bulgaria, visto che proprio quel pareggio ha poi influito sull’andamento del girone.
Per passare il turno (perché il turno andava passato) Mancini si è affidato al suo collaudato 4-3-3 anche se per via delle assenze ha dovuto puntare su una difesa inedita: davanti a Donnarumma (chiamato a mettere da parte le ultime prestazioni fuori forma in quel di Parigi) spazio a Florenzi sulla destra (fuori Di Lorenzo infortunatosi nell’ultimo match di campionato) e ad Emerson sulla sinistra. In mezzo senza la coppia titolare Bonucci-Chiellini (con il secondo recuperato almeno per la panchina) tocca a Mancini e Bastoni dimostrare di essere il presente e soprattutto il futuro della Nazionale. In mezzo solito trio con Barella-Jorginho-Verratti, mentre davanti tocca a Berardi ed Insigne agire sulle fasce con Immobile (capitano di giornata) riferimento centrale.

Primo tempo di marca Azzurra (come ampiamente prevedibile) con la squadra di Mancini che crea senza eccessiva pericolosità e la Macedonia che lascia abilmente il pallino agli avversari concentrandosi prevalentemente sulla tenuta difensiva chiudendo gli spazi centrali ed obbligando gli avversari ad agire sulle fasce (e considerando la poca dimestichezza di Immobile come rapace d’area la cosa crea non pochi problemi alla manovra dei padroni di casa).
Tante pseudo occasioni, quindi, per gli Azzurri ma mal sfruttate da un attacco che può contare unicamente su Berardi. L’esterno del Sassuolo è infatti l’unico che prova a saltare l’avversario e a calciare più volte verso la porta anche se sempre senza precisione (clamoroso l’errore a metà frazione quando servito da un errato rinvio del portiere avversario spreca a porta vuota l’occasione del vantaggio calciando malamente tra le mani del portiere mentre rientrava verso la porta). Insomma, almeno il giocatore del Sassuolo ci prova a differenza di Immobile che sembra sempre spaesato e che finisce per fare sempre la scelta sbagliata quando si ritrova con il pallone tra i piedi ed Insigne praticamente un fantasma finché è in campo.

Non cambia la musica nella ripresa con l’Italia che continua imperterrita nel proseguire sugli stessi errori con l’aggravante di abbassare il pressing lasciando così tempi e spazi agli avversari. Un atteggiamento strano soprattutto se consideriamo i tanti errori in uscita fatti dai macedoni quando la pressione aumentava.
Così si arriva al 93’, quando al primo vero tiro verso la porta la Macedonia si porta in vantaggio con un tiro dalla distanza di Trajkovski (uno che il Barbera ben conosce) che si infila all’angolino.

Potremmo passare ore a dare colpe ad una squadra che negli ultimi minuti sembra essere con la testa già ai supplementari, a Jorginho e Chiellini con il primo che anziché provare a limitare l’avversario perde tempo in proteste inutili ed il secondo che prova a chiudergli lo specchio di tiro con la propria figura invece di cercare un contrasto, a Donnarumma che forse quel gol poteva evitarlo. Oppure alla sfortuna visto che l’azione nasce da un rimpallo fortuito dopo il rinvio del portiere avversario.
La colpa principale però non è nell’episodio in sé, ma è a monte, visto che la partita andava sbloccata prima (e le occasioni ci sono state) e che come detto in precedenza la qualificazione era praticamente una formalità prima dell’Europeo.

Ora non resta che resettare e ripartire sperando che da qui a quattro anni la situazione del calcio italiano evolva in fatti e non solo in parole.