Sentivo sussurrare una voce nel mio corpo che iniettava un forte senso di allegria, gioia e beatitudine per un qualcosa che avrei realizzato nell’immediato. Ero un bambino, dotato di molta curiosità e appartenente a quella corrente di pensiero che galleggia tra il mondo dello sport e l’universo musicale, due panorami diversi che presentavano però molti punti in comune. Ricordo le ultime ore scolastiche del sabato mattina, quelle in cui mi preparavo psicologicamente alla festa della domenica, vista da tutti i miei coetanei come la giornata dell’unione e del riposo. Era un momento unico, propiziato da un’attesa calcistica degna di nota; mi aspettava infatti, una volta uscito di classe, la magia della Premier League, campionato affascinante che si identificava nella squadra che forse per casualità o destino mi avrebbe tenuto compagnia, il Manchester United. Nel momento in cui mi rilassavo osservando il teatro dei sogni, mi veniva alla mente quella voce che imperversava lenta nel mio corpo e abbracciava l’etimologia della parola felicità.

Una sensazione che si manifestava anche in altri momenti, in alcune circostanze di tregua interiore che la vita ti pone per poterti aggrappare ad uno spiraglio di luce, che con il passare dei secondi ti abbandona con una "pacca di incoraggiamento sulle spalle", perché il tempo è prezioso e quando sorgono i problemi devi interdirli con un po’ di gentilezza e sconfiggerli, proprio come faceva il mio Manchester con tutti gli avversari. In quei momenti di relax potevo capire che cos’è la felicità, ma ancora oggi, incontrando ovunque ragazzini che amano parlare con me, non riesco a dare una definizione precisa di tale termine.

Posso solo far ricadere questo dilemma letterario sulla mia giovane esperienza e riflettere sulle avventure passate che mi hanno illuminato di una luce propria contenente un senso di gioia diffuso. Con molta spontaneità affermo quindi che la vera felicità è rappresentata dal sorriso di un bambino che mi viene incontro perché sa che ho trasmesso qualcosa di importante. Lo noto ogni qualvolta in estate mi trovo a parlare con questi ragazzini e, nel dar loro consigli su come affrontare l’anno scolastico o le competizioni sportive, rivedo quella fontana di curiosità sbattuta via dal tempo che passa; mi chiedono pareri, rispondono con battute, ma nei loro occhi veritieri riesco a vedere proprio quel senso di felicità che provavo io stesso anni prima, quando capire il mondo era un tema da rimandare a data da destinarsi.

Proprio questa presa di coscienza porta a pensare al fatto che spesso non si apprezza pienamente quello che si ha e non ci rendiamo conto che nella vita non è necessario procacciarsi sempre il ruolo da protagonista. Ha provato a dare una definizione tematica di tutto ciò uno dei cantanti più affermati nell'intero panorama musicale, Cesare Cremonini.
L’ex leader dei Lunapop, si è reso protagonista di un brano intitolato “Nessuno vuole essere Robin”, capace di far penetrare l’ascoltatore in un mondo astrale, ricco di note, ma prive forse di un significato corposo e scontato. Un pezzo che, come è stato ribadito a più riprese dal cantautore bolognese, è nato in un batter d’occhio a seguito di una riflessione portata avanti proprio da Cremonini. Lo stesso artista afferma: “Eccomi davanti al portone di una donna perduta. Davanti al rifiuto di una felicità ovvia. Meritata. Mai avvenuta. Come mai sono venuto stasera? Bella domanda. Ero lì per cercare rifugio. Rifugio dalla tempesta. Dentro a questa canzone, io credo ci sia tutto quello che ho perso e non ritrovato". Frasi che sembrano indirizzare ciascuno di noi alla convinzione che per essere felici bisogna esplorare quello che già si ha e imparare a coltivarlo, anche se dovesse trattarsi di un ruolo apparentemente secondario come quello di Robin, braccio destro del supereroe Batman.

E anche in termine sportivo, le piccole cose riescono a trasformare i sogni e l’amore infinito in un’arca stracolma di gloria. È successo a Claudio Ranieri, autore nella stagione 2015/16 di una cavalcata unica, degna delle avventure vittoriose idealizzate dai grandi registi americani. Qualcuno parla di miracolo, ma il termine giusto  è semplicità, quel modo di fare dal quale prende vita la felicità, animata in quell’anno dalla potenza di Vardy e dai riflessi di Schmeichel. Senza dimenticare il patron del Leicester Srivaddhanaprabha, che adesso riposa in pace nel ricordo di tutti coloro che hanno apprezzato la semplicità e l’amore per lo sport che quest’uomo ha portato avanti con bontà, ma soprattutto con rispetto e serietà.

Poi c’è chi viaggia in autostrada osservando il futuro senza farsi troppe domande. Stiamo parlando del Cholo Simeone, venditore di gioia per tutto il popolo dell’Atletico Madrid, in grado di appoggiare la squadra con cori e striscioni; l’ex centrocampista dell’Inter ha inserito nei suoi ragazzi una mentalità vincente basata sul detto "se vuoi puoi", perché nello sport il 90% si trova nella testa e non sempre vince il club più dotato tecnicamente.

Infine, che dire dello splendido Liverpool di Jurgen Klopp? Una rinascita capeggiata da una felicità casalinga che trova espressione nella bolgia di Anfield Road, palcoscenico da favola in grado di incantare anche i non appassionati di calcio. L’ex allenatore del Dortmund ha poi trasmesso la gioia di giocare a pallone, come ai vecchi tempi, quando il fruscio della sfera sull’erba fresca del prato faceva esaltare intere generazioni. Una svolta nel nome della storia e nella tradizione di un popolo che vive per i Reds e per i Beatles, cresciuti proprio nei sobborghi di Liverpool.

Insomma, racconti di imprese, cavalcate, sofferenze e prese di coscienza. Anche perché, come da piccoli, tutti vogliamo essere eroi per raggiungere il successo e la conseguente felicità. Ma come dice Cesare, abbiamo tutti il numero 10 sulle spalle e poi sbagliamo i rigori. Perché non siamo concentrati, oppure perché nessuno vuole essere Robin.