Le bandiere suscitano sentimenti di identificazione nei tifosi, il cui affetto nei loro confronti sconfina a volte nel culto della personalità. Le bandiere rappresentano un capitale inutilizzato per i presidenti e i direttori sportivi che, volendo monetizzarne il talento, si trovano di fronte un muro insormontabile di "no" alla loro cessione.
Contro questo muro si scontrarono, per esempio, la Juventus e gli altri squadroni del Nord negli anni Sessanta, impediti a godere delle prestazioni di Gigi Riva dai ripetuti dinieghi dell'attaccante dal sinistro al tritolo, inamovibile dalla Sardegna. Enrico Albertosi, al tempo portiere del Cagliari, undici anni fa ancora ricordava con malcelato rimpianto: "La Juventus voleva acquistare me e Riva in blocco, gli inseparabili. Gigi rifiutò e a Torino ci finì Zoff. Fu la sua fortuna. Da bianconero sarei stato nazionale a vita, forse anche nel 1982".

Le bandiere sono un esempio e una guida per i giovani e i neoacquisti. Nell'arco di trent'anni, tra il 1979 e il 2009, Franco Baresi e Paolo Maldini - prima Franco, poi insieme, poi Paolo - al Milan hanno rappresentato un modello di comportamento dentro e fuori dal campo. "Da giovane ho provato a crearmi l'ideale di leader prendendo spunto da tanta gente. Tra gli esempi c'è anche Baresi, ho un carattere diverso da Franco ma ho preso spunto da lui. Non sono mai stato un capitano chiacchierone ma un capitano rispettato. Puoi dire anche cose non belle nello spogliatoio ma alla lunga il rispetto ti viene dato", ha sottolineato Maldini.

Le bandiere possono fare ombra. Il loro sventolio non di rado copre e sovrasta l'ego di allenatori e compagni. Tanto da far venire la voglia di ammainarle. Alla Juventus, di fronte alla bandiera un po' sbiadita ma ben salda sul pennone di Alex Del Piero, il neo presidente Andrea Agnelli pensò bene di risolvere il problema a ottobre 2011, dichiarando subito che quella sarebbe stata l'ultima stagione di Del Piero con la Juventus. Le accuse di mancanza di tatto si sprecarono, in primo piano quella, vagamente di parte, di Francesco Totti, la bandiera giallorossa che ancor oggi si starà chiedendo perché Spalletti non lo faceva più giocare e ha costretto l'ex capitano giallorosso al ritiro.
Questa settimana è stata quelli degli addii, con altre bandiere che appendono le scarpe al chiodo come Abate per il Milan,  il professore dei difensori, come lo ha definito Allegri, Barzagli, Sergio Pellissier icona e capitano del Chievo Verona e infine Daniele De Rossi che lascia la Roma, ma non il calcio giocato. Onore a loro perché questo genere di calciatori e di uomini oggi non esistono più.

ZANETTI CAPITANO LEGGENDARIO "E io, di notte, sognavo. Sognavo di essere Diego, di dribblare tutta la difesa avversaria, di saltare il portiere e segnare, per poi lanciarmi in un'esultanza senza freni e raccogliere l'abbraccio e l'urlo della folla. Sognai ancora per due anni, poi la mia carriera giunse a un bivio. O meglio, a un punto morto. A soli quindici anni, dopo essere riuscito ad entrare nelle giovanili dell'Independiente, la mia squadra del cuore, mi ritrovai a spasso. Tagliato. Fatto fuori. Eliminato. Niente futuro per me tra le stelle della Primera division argentina. Motivo? "Il ragazzo è troppo magro, troppo gracile, troppo piccolo. Non ha speranza di sfondare nel calcio." Restai fermo un anno. Senza più toccare il pallone nemmeno per divertimento. Neppure con gli amici del campetto. Per un po' la delusione ha preso il sopravvento sulla passione. Era svanita, per poi fortunatamente tornare più forte di prima. Perchè è quella, la passione, a spingere un ragazzo oltre l'ostacolo. E' quella, la passione, a far la differenza...". Dall'essere scartato dalla sua squadra del cuore, l'Independiente, da ragazzo, agli infiniti record con Inter e Argentina. L'incredibile storia della leggenda nerazzurra, di uno dei "Jolly" più forti di sempre.  Passato all'inter nel 1995, diventando capitano nel 1999 e tenendo questa fascia fino al 2014, al momento dell'addio. In carriera ha vinto ben 5 scudetti, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe Italiane, 1 Coppa UEFA, 1 Champiopns League e 1 Coppa del mondo per club FIFA. Vanta 858 presenze con la maglia dell'Inter, in tutta la sua carriera ha disputato tantissime partite: più di 1000. viene denominato "EL tractor"", essendo uno dei pochissimi giocatori a non mollare fino all'ultimo. Per tutti è da sempre un esempio sia dentro che fuori dai campi di calcio.

Nel calcio moderno non esistono più le bandiere. Quei calciatori che legano la propria carriera a una sola maglia, sin dagli esordi, o che dopo il trasferimento della vita decidono di tatuarsi una maglia sulla pelle e sul cuore. Calciatori e uomini di razza come Franco Baresi, Paolo Maldini, Alessandro Del Piero, Javier Zanetti, Francesco Totti. Esistono ancora giocatori di questo tipo? Non più. Adesso il calcio è in mano ai procuratori, non comandano più le società come una volta e il destino dei giocatori dipende da chi li assiste. In questi ultimi anni abbiamo l'esempio lampante di Ibrahimovic, dove gioca con Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan dove bacia maglie di questi club e gli giura amore eterno per poi cambiare maglia l'anno successivo.
Ibrahimovic è solo il primo della lista, ci sono i vari Balotelli e Pogba, solo per citarne alcuni, che sono assistiti dal potente agente procuratore Mino Raiola che gli ha trovato sempre una squadra e gli ha fatto guadagnare fior di quattrini.

Il calcio di adesso non ci piace più perché i giocatori pensano più ai soldi e non gliene frega niente se un anno giocano con la maglia del Milan e l'anno dopo con quella dell"Inter.