E' sufficiente riascoltarsi un brano di Lucio Battisti del 1978, Nessun Dolore appunto, per prendere atto, e non solo limitatamente al titolo ispiratogli dal mentore Mogol, del fatto che a Napoli non si sta certo piangendo in ogni dove per l'ormai certo, già da tempo vociferato, ma solo ora, come un fulmine a ciel sereno, di cui s'avvertiva il presagio ma non il quando sarebbe apparso, addio di Marek Hamsik, destinazione Cina: prossima è ormai la firma con il Dalian Yifang, club che mettendo sul piatto 20 milioni di euro per la società di Aurelio De Laurentiis (e 8 a stagione per lo slovacco, per un contratto triennale) metterà fine ad una lunga e straordinaria storia d'amore.
Una società giovane, non certo il concetto esatto di club del calcio che conta, ma una realtà emergente di una nazione che storicamente col calcio ha poco o nulla a che vedere, ma che intende emergere con forza ed ergersi a feroce competitor delle blasonate compagini europee. Le si augurano, come all'intero alcio mandarino, le migliori fortune. 

Di certo, la Cina sta facendo la fortuna di altri cavalli che in Italia lasciarono in maniera controversa il segno, come Alexandre Pato e Graziano Pellè, o di altre mancate promesse, come Oscar: già etichettati come pensionati d'oro, stanno incidendo in un contesto dall'approccio facile, a giudicare dall'abbordabilità delle difese, come la Chinese Super League (con tutto il rispetto possibile). Pensionati d'oro che hanno approfittato del passaggio di un treno a cui dir di no non si può. Inutile criticarli: voi cos'avreste fatto al loro posto? Il vuoto da essi lasciato è stato in fretta colmato.
E si può altrettanto dire di Marek Hamsik, in forza al Napoli da quasi 12 anni, ormai fattosi leggenda, con le sue creste, i suoi tatuaggi, ma soprattutto il legame forte con la città, il governo assoluto del centrocampo, il senso della rete, il rifiuto di ripetute offerte da parte di club più blasonati e il suo tener bassa la voce fuori dal campo.

A Napoli non sarà una tragedia, benché altre testate 'partigiane', quasi sicuramente nordiche, pungolano il contesto lanciando frecciatine quali 'crisi del fatturato' e 'topi che lasciano la nave', ma l'atmosfera è di generale ottimismo, anche fra i tifosi che sembrano canticchiare serenamente rassegnati il vivace ritornello 'non c'è emozione, non c'è tensione, nessun dolore'. Benché siano fresche le ferite per gli addii di Francesco Totti e Gigi Buffon rispettivamente a Roma e Juventus, giocatori che hanno segnato un'era per le rispettive squadre, da condottieri prima e capitani (coraggiosi) poi. La loro maglia lanciata verso gli Dei del Calcio è già conservata dentro la stella della football walk of fame. Per Hamsik, la realtà è diversa e i punti di riferimento del presente sono altri, come le valide alternative Ruiz, Zielinski e Diawara nella medesima posizione. Con un'Europa League tutta da disputare e vivere, a posteriori si giudicherà saggia la scelta, sia da parte del Napoli che del giocatore, di essere giunti ad una consensuale e irrevocabile separazione?

OPPORTUNITA' IRRINUNCIABILE - L'addio ormai certo di Marekiaro, soprannome che solo la fantasia ed il calore del popolo partenopeo potevano affibbiargli, si tratta di un fatto incontrovertibile: s'attendono solo foto di rito e firma con il club che se n'è assicurato le prestazioni. Stupiscono le modalità, le dinamiche, il momento (siamo a febbraio e il calciomercato cinese chiuderà il 28) di un addio senza precedenti, che difficilmente si sarebbe concretizzato altrove: già al termine della scorsa stagione, in un club dalla storia e dal modus operandi differenti, avrebbe trovato il modo di accomiatarsi rivolgendo il proprio accorato applauso. Congedarsi dal proprio pubblico nell'ultima gara stagionale da giocarsi in casa, questa è la prassi. Non certo chiudere un sodalizio disputando una gara sensazionale contro la Sampdoria dando ai più l'idea di essersi ritrovati come non mai, per poi prendere improvvisamente le distanze, una volta per tutte, dopo il fragore della grancassa del calciomercato estivo, nonché di quello invernale appena trascorso. Una stagione dal leitmotiv anomalo, sghembo, in cui il capitano per la prima volta s'è trovato fuori dal progetto del neotecnico Carlo Ancelotti, che ha in tutta fretta accantonato i cardini del Sarrismo al fine di generare un gioco più europeo, magari meno fluido e spettacolare, ma votato al raggiungimento del risultato sopra ogni cosa, specialmente in ambito europeo. Il mister che "preferisce la coppa" sin da subito ha optato per una procedura classica, l'arretramento tattico di un giocatore anagraficamente sul viale del tramonto: ad Hamsik non è indubbiamente andato giù di doversi sacrificare davanti alla difesa, seppur non privo di una visione di gioco fuori portata e di una classe cristallina in qualità di uomo-assist, caratteristiche tecniche che a detta di un satanasso della panchina come il tecnico di Reggiolo potevano giovargli lontano dalle punte, e invece no. Il numero 17 del roster partenopeo, assoluto primatista di presenze e reti con la maglia azzurra, ha in questo scampolo di stagione tirato avanti finché ha potuto aggiornando gli almanacchi che dall'anno scorso lo videro sorpassare Maradona nella speciale classifica cannonieri di ogni tempo, recentemente staccando anche Bruscolotti, 'venerabile santino', nella classifica delle presenze, ma abdicando alla titolarità già da tempo, esattamente un girone fa, da una maledetta serata di inizio settembre allo stadio Luigi Ferraris di Genova contro la stessa Samp, assistendo impotente in campo ad una grandinata (3-0 insindacabile) che mise seriamente in discussione l'intero impianto di gioco partenopeo, generando un vespaio di polemiche, che il campo nelle successive settimane è riuscito a spegnere. Con un eccellente scalpo, quello dello slovacco. La fascia di capitano passò a Lorenzo Insigne, l'uomo che alla stregua di Hamsik non ha ancora riottenuto la 10 rimasta incollata addosso a Maradona quale intestatario della napoletanità, che da 28 lunghi anni ormai non ha trovato un erede, il coraggio di scartavetrarsi di dosso un tatuaggio così ingombrante e di sfuggire alla storia e alla nostalgia.

GLI 'INDOLORI' PRECEDENTI - Riavvolgiamo un po' più del dovuto il nastro, tornando indietro proprio alla fine degli anni settanta, al tempo in cui il sopracitato pezzo battistiano infiammava i mangiadischi: come l'ormai ex giocatore del Napoli, nel 1979 un'altra bandiera si accomiatava da un club, stavolta la Roma: Giancarlo 'Picchio' De Sisti, al termine di una stagione tribolata conclusasi con la salvezza in extremis - in cui più d'ogni altro il giocatore, già lento di natura, finì vittima di feroci contestazioni - concludeva in tutta fretta la propria carriera di calciatore (ormai trentaseienne, che per l'epoca era uno sproposito) con la maglia giallorossa (inframmezzata da una fortunata parentesi alla Fiorentina, in cui ha vinto anche uno Scudetto e conquistato la maglia azzurra e l'Europeo '68) per passare ad allenare; solo due stagioni dopo, nel 1981, lasciarono al termine di una stagione al di sopra delle aspettative altri due Cori de Roma, nientepopodimeno che Francesco Kawasaki Rocca, sfortunatissimo terzino falcidiato dagli infortuni, ma soprattutto Sergio Santarini, libero da oltre 400 presenze in giallorosso, passato alla storia per aver affiancato un suo omologo, Maurizio Turone, nella stagione '79-'80 quale titolare della retroguardia giallorosso, caso più unico che raro, le imbarcate subite da quel colabrodo rispondono al perché: l'ormai 34enne Santarini lasciò in sordina il club per svernare nella provincia, al Catanzaro che in A faceva tremare un po' tutti, senza che alla Roma se ne accorgessero, a differenza dell'ancor giovane Rocca, che nella partita d'addio fece piangere tutti un po' come Totti 36 anni dopo; nel 1999 il capitano dell'Inter Bergomi, di cui era si certi sarebbe stato rinnovato il contratto per un'altra stagione, con l'avvicendamento in panchina di Marcello Lippi si trovò fuori dai piani tattici e a 35 anni passò al commento tecnico, senza nemmeno dare il tempo ai propri tifosi di metabolizzare la sua uscita dal campo.

IL DOMANI - Il Napoli imprudentemente, sconsideratamente tirchio delle ultime stagioni sembra lavorare sottotraccia alla ricerca di un giovane centrocampista che possa irrobustire un reparto a cui in qualche modo peserà lo slot lasciato vuoto da Hamsik. Il nome di cui si parla con maggior insistenza è quello del classe '96 Pablo Fornals, mobile centrocampista 'dal multiforme ingegno', padrone della mediana del Villarreal, che si profila essere un van

taggioso esperimento dopo il colpaccio Fabian Ruiz. Un Napoli che con la Spagna ha sempre più feeling, che in Callejon, Albiol e Pepe Reina ha trovato alfieri in annate vissute pericolosamente, che per poco non hanno visto la Juventus schiacciasassi soccombere. Senza dimenticarsi dei gregari David Lopez e Victor Ruiz, validi tappabuchi. Il Napoli che intende voltare pagina e dimenticare un giocatore che resterà indimenticabile, ha già in mente la strada da seguire: tra gli altri papabili spicca il nome di Nicolò Barella, giocatore assai meno offensivo di Fornals (vero erede di Hamsik), che nei piani di Ancelotti avrà compiti senz'altro più di contenimento e costruzione, però l'attuale 18 del Cagliari sembra irremovibilmente deciso sul suo futuro, orientato ad indossare la maglia dell'Inter, complici gli ottimi rapporti tra la società nerazzurra ed il milanesissimo patron del club sardo Tommaso Giulini.
Come andrà a finire? Solo il tempo, il fato e la 'cazzimma' di presidente e diesse lo decreteranno.