Il 17 giugno scorso è arrivata la sesta Coppa Italia per il Napoli. Una partita esposta alle più mere contraddizioni e critiche: le prime, sempre inerenti al rispetto delle regole di distanziamento – in panchina ad un metro e mezzo di distanza, saluti con il gomito al momento del fischio d’inizio – ma poi evaporate dal fischio finale, con tutti l’uno sopra l’altro, sia all’Olimpico che a Napoli, dove cinquemila persone hanno festeggiato per le strade; le seconde, a causa di una coreografia artificiale. Voleva creare un effetto più realistico possibile, ma è stato un metodo autolesionista. Non c’è stato nemmeno un apprezzamento. In tutto questo climax, l’introduzione con l’inno d’Italia strozzato da Sergio ha scatenato numerose polemiche, facendo scendere in piazza (e quando mai non esiste un’occasione di propaganda?) anche i politici. Non mi voglio esprimere in merito a questo argomento, ma posso sottoscrivere che Sergio ha tutta la mia stima, come uomo e come straordinario cantante.

Una Coppa Italia per il Napoli arrivata nella notte, dopo uno 0-0 che non è stato sbloccato nemmeno nei tempi supplementari. Una partita che ha inaugurato il post-Coronavirus, ma che forse il termine più appropriato rimane with Coronavirus perché ancora non ci fa dormire sogni tranquilli, almeno a quelli più coscienziosi. Una partita che valeva triplo per i tifosi partenopei, lasciando sullo sfondo il trofeo stesso, perché quello è soltanto la ciliegina sulla torta.

Ho letto numerose affermazioni da parte di tifosi altrui: “sembra che hanno vinto lo scudetto”, “manco fosse la Champions”, “si vede che non sono abituati a vincere”, ecc.. Ma per i tifosi non è il trofeo in sé ad aver scatenato quella sciagurata ondata di gente a festeggiare nelle piazze. I napoletani sono una platea calda, passionale ed estremamente sentimentalista e, devo dire, anche ammirevoli per il calore che riversano ai calciatori. Ovvio che non sono da ammirare per quello che hanno fatto subito dopo la vittoria nelle piazze - e lo stesso vale per i tifosi del Liverpool che, dopo 30 anni, è tornata ad essere il re della Premier - ma sono da ammirare per la passione e la vicinanza che hanno quando i giocatori scendono in campo e che li prende per mano durante tutta la partita, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Non che le altre tifoserie non lo siano, sia ben chiaro, ma in questa, come anche in altre, c’è qualcosa in più, un qualcosa di magico, come l’urlo “the Champions” che ha fatto tremare la scala dei decibel.
Perché hanno festeggiato in modo così assiduo?
Beh il motivo non è solo quanto detto poc’anzi in merito alla calorosa piazza, ma riguarda principalmente tutto il contesto che si è generato.
Già il fatto di vincere ai rigori, per quanto sofferta e patita, è una cosa che ti appaga in un modo stratosferico: partita a bassa intensità, ma alta sul fronte delle emotività; una partita importante perché inaugura l’avvio dopo un lungo stop e, soprattutto, per quanto poco calorosa sul fronte spalti, rimane pur sempre una finale, quindi una convalida per il prestigio; infine, grazie ad un carico di adrenalina, seppur impareggiabile con il tifo e coreografie vere, andare ai rigori e vincere la partita, è una delle massime soddisfazioni. Come dimenticare Berlino 2006? È la versione concreta del piacere. Tutto questo per affermare quanto sia piacevole vincere ai rigori. Nel panorama fantastico appena descritto, conta anche chi mandi sotto la doccia senza niente in mano e, in questo caso, mandare sotto la doccia la Juventus non ha prezzo. Specie se hanno Sarri e Higuain come rappresentanti di quell’esercito

Si è spenta la forza di un impero egemone. Perché la Juventus aveva perso già la Supercoppa, rimandando il primo trofeo di Sarri al campionato che sappiamo essere tutt’altro che scontato. Ora, l’Inter non sembra avere gli stessi cavalli del motore bianconero e, con qualche intoppo di troppo, ha dovuto fermarsi più di una volta ai box; ma la Lazio sembra non vuole darle scampo. Perché sì, la Vecchia Signora è sempre avanti, ma in un duello tutt’altro che scontato. Se già l’armata di Sarri sentiva le pressioni dei media e delle inseguitrici, la sconfitta con il Napoli è stata una vera mazzata. Al cattivo gioco, finché si vince, non si può dire nulla. Nei ricordi e nelle bacheche rimangono i trofei e non il bel calcio. E con Allegri era così, il bel gioco non c’era, ma i risultati arrivavano. Con Sarri sembra tutto a fatica. Tutto a rilento. Per giunta, sfumato con due trofei stagionali. Eliminare la Juventus è stato motivo di grande soddisfazione. Aver mandato a casa la squadra più forte di sempre, quella con cui si coltiva un’eterna rivalità, sia calcisticamente che purtroppo anche socialmente, è fonte di grande, grandissima soddisfazione.

Se a tutto ciò vengono aggiunti due altri elementi considerati dei traditori per i tifosi del Napoli, la vittoria assume tutti quei contorni che rendono una manifestazione ancora più magica.
Il rapporto tra Sarri-Higuain-Napoli era così idilliaco. Un rapporto fenomenale che ha raggiunto il culmine con i 36 gol del Pipita che ha regalato una soddisfazione senza precedenti. Senza trofei, ma 91 punti in campionato; senza trofei, ma poco importa quando si vive di tanta passione, amore e attaccamento alla maglia. Anche perché tutto avrebbe perso valore non appena, l’argentino prima e il tecnico toscano dopo, gli idoli della città entrano a far parte della Corte di Agnelli. Una coltellata alla schiena priva di qualsiasi cura, nemmeno se avessero vinto il triplete. Mai e poi mai. L’unico modo per riprendersi qualcosa, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe è stato questo. E non importa se è una Coppa Italia, un campionato o una Champions, l’importante è averla alzata davanti alla Juventus, davanti a due persone che per i napoletani erano piezz’ ‘e core che adesso sono mutati in pupazzi da ripudiare.

Infine una vittoria meritatissima per Gennaro Gattuso che, pochi giorni prima della finale, aveva perso la sorella. Con lo spirito di un leone, quello che anche in campo lo ha sempre contraddistinto rispetto agli altri, è riuscito a non abbandonare la squadra, a spronarla e darle una vittoria così importante da un punto di vista simbolico. Un allenatore spesso troppo sottovalutato e che invece sta facendo benissimo in una piazza difficile come quella partenopea. Un uomo per bene, che non ha mai trovato giustificazioni nelle sconfitte e nelle partite giocate con poca caparbietà, facendo sempre da scudo al suo esercito.

Per questo i tifosi hanno festeggiato in un modo così “selvaggio”, perché vivono con passione; perché c’era qualcosa che andava ben oltre il trofeo stesso e che passava sopra le ferite di Higuain e Sarri: due figure dapprima idoli indiscussi e adesso da acerrimi rivali considerati codardi. Hanno festeggiato anche per Ringhio, il loro capitano, timoniere di una nave che più volte nel corso della stagione ha incontrato iceberg potenzialmente pericolosi.
Una vittoria che è impareggiabile rispetto ai trofei della squadra zebrata, ma quando in ballo ci sono i sentimenti, le emozioni e tutti questi elementi associativi appena descritti, allora tutto il resto non conta più nulla.