Non è una canzone dei Litfiba, ma soltanto una possibile chiave di lettura. Una delle tante, per carità, non certo l’unica, vista la multiformità del personaggio. Ma almeno un’angolatura diversa rispetto al solito “10” conseguito alle Olimpiadi di Montreal nel 1976. Perché quel voto, così perfetto, così rotondo e non migliorabile può azzerare ogni sfumatura e fare il funerale di Stato a chiunque. Tanto più a una ragazzina che in quel momento non ha ancora compiuto 15 anni. È Nadia Comaneci, colei che sta alla ginnastica come Pelé sta al pallone e la Vezzali alla scherma. La vicenda paradossale di una stella dello sport che, come direbbe Il Gattopardo “è vissuta a cavallo tra due mondi e a disagio in entrambi”. Una vita che inizia nella Moldavia romena il 12 novembre 1961 e che prosegue oggi dall’altra parte di un Muro che (dicono) non esiste più. Un corpo che cambia sembianze e postura a seconda della realtà in cui vive: oro (e muscoli) alla patria ieri, molto “american woman” oggi.

GRAZIA E MUSCOLI. È un corpo in apparenza esile e difficile da definire quello che il mondo osserva volteggiare in televisione nell’estate del 1976. Ci sono le Olimpiadi a Montreal, Canada, ed è di scena la ginnastica. In apparenza esile solo perché è un fisico minuto, se visto da una tv in bianco e nero. Difficile da definire perché non può più essere più quello di una bambina ma non ancora quello di una donna. Tuttavia è quello di una campionessa “bonsai” e anche chi osserva distrattamente quella ragazza dell’Est europeo senza conoscerla, sta per accorgersene. Non è soltanto l’insieme aggraziato e tonico di una ginnasta, è una sorta di marchio politico “in fieri”. Un’icona quasi a sua insaputa. È, né più né meno, l’atleta come la vuole il regime: fondamentalmente né maschile né troppo femminile, ma funzionale alla gloria di un Paese e di un’Idea. E soprattutto vincente. Il mondo sta per stupirsi ma nell’ambiente ginnico internazionale si parla da tempo di una ragazzina che è la sintesi ideale fra talento smisurato e una forza di volontà direttamente proporzionale. Non viene da Marte, la ragazzina, bensì da una cittadina della Romania orientale denominata Onești.

L’INCONTRO GIUSTO. In lingua russa Nadežda (di cui Nadia è diminutivo) significa Speranza ed è proprio la speranza quella che i signori Comaneci ripongono nella loro bambina, quando all’età di 3 anni la mandano a fare ginnastica. Si applica ma per intravedere talento individuale in quella selva indifferenziata di coetanee ci vuole un occhio particolarmente acuto. Lo sguardo giusto è quello di Bela Karolyi, classe 1942, un allenatore bravo quanto esigente che a Onești ha aperto una scuola assieme alla moglie. In un contorno di normalità scorge in una ragazzina che ha da poco compiuto 6 anni le stimmate di un potenziale talento superiore. Comincia a lavorare su di lei e con lei è particolarmente duro. Va scolpito il corpo, vanno armonizzati i movimenti, una mente sgombra e concentrata deve sovrintendere al tutto. Il maestro diventa così una sorta di Pigmalione e lei, una casta Galatea pronta a sacrificarsi pur di valorizzare la dotazione che la natura le ha concesso. Quando diventa allenatore della nazionale romena di ginnastica artistica nel 1974, Karolyi ha in mano l’asso di briscola. Una tredicenne che al volteggio, alle parallele asimmetriche e alla trave sembra guardare le altre dall’alto verso il basso. E non per snobismo o presunzione.

CRONACHE DA MARTE. Il 18 luglio 1976 l’atleta romena è la prima ginnasta nella storia dei Giochi olimpici a ricevere il massimo punteggio ottenibile alle parallele asimmetriche. La votazione, dopo una prestazione stupefacente, viene ritardata poiché i computer sono programmati per registrare votazioni fino al 9,99. Il "10" non è assolutamente previsto, data l’impossibilità di riceverlo. Al posto del 10 è inserito nel computer il voto 1,00, moltiplicato per dieci volte. La piccola Nadia vince tre medaglie d'oro (concorso generale individuale, trave e parallele asimmetriche), una d'argento (concorso generale a squadre) e una di bronzo (corpo libero). E’ dunque la più giovane atleta di sempre a vincere un titolo olimpico. Con la revisione dei regolamenti, l'età minima per la partecipazione alle competizioni di ginnastica verrà alzata a 16 anni. Quel fatidico 18 luglio Nadia Comaneci ha 14 anni e 8 mesi, il che rende impossibile per il futuro battere il record di precocità per il titolo olimpico nella ginnastica.

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA D’ORO. Stakanov sta al suo lavoro come Nadia Comaneci sta al suo corpo e alle sue vittorie. Da qui a eroe nazionale nella Romania di allora il passo è brevissimo. La sua figura è icona di regime, tutte le connazionali (e non soltanto loro) vorrebbero essere leggere ed eteree come la campionessa e lei è spesso ospite di casa Ceaușescu. Troppo spesso, mormora a voce bassissima qualcuno. Il prezzo di una simile notorietà è alto e svilisce grazia e professionalità nel ruolo da quattro soldi che il potere le impone. È costretta per lungo tempo a essere l’amante del terzogenito Ceaușescu, Nicu. Lei deve essere non soltanto come il regime la vuole, ma anche quella che il figlio del dittatore pretende che sia. Nonostante ciò, per il popolo Nadia è un eroe al femminile e i suoi movimenti continuano a essere sogni a occhi aperti per chi osserva. Nel 1980, a voler bissare il titolo olimpico è una veterana di non ancora 19 anni. Una ragazzina con lo sguardo di una donna determinata e insieme malinconica. Anzi, triste. Occhi che hanno visto il meglio ma anche il peggio che quella vita e quelle frequentazioni possono offrire. Due ori e due argenti ripagano degli sforzi, ma non colmano voragini interiori. La carriera della più grande di tutte termina nel 1984, poco prima delle Olimpiadi di Los Angeles. Ha 23 anni e decide di fare l’allenatrice.

1989, FUGA DA BUCAREST. Nadia Comaneci è sempre stata avanti. Avanti nella concezione della sua disciplina. Avanti nell’anticipare tempi e modi. Non attende il crollo del regime per fuggire da un Paese che le ha dato gloria ma anche inflitto sofferenze e privazioni forse nemmeno raccontabili. L’icona fugge dal quadro, il dipinto farà a meno di lei e non sarà più lo stesso. Nella notte del 27 novembre 1989, poco prima dello scoppiare dei moti rivoluzionari in Romania, Nadia è già irreperibile. Cammina per 6 ore attraverso il confine con l'Ungheria dove c'è un amico in macchina, pronto ad attenderla. Gli Stati Uniti l'accolgono come rifugiata politica. Nicolae ed Elena Ceaușescu vengono giustiziati il giorno di Natale, al termine di un processo della durata massima di 10 minuti. In un’intervista l’ex campionessa dichiarerà che avrebbe voluto fuggire molti anni prima ma che non aveva mai trovato nessuno disposto ad aiutarla. Da Eroe del Lavoro Socialista non fa neppure in tempo a passare da traditrice del sistema, perché il sistema stesso nel frattempo implode. O perlomeno cambia faccia. Nel frattempo, Nadia Comaneci cambia corpo.

LIVING IN AMERICA. Una volta giunta negli Stati Uniti, si occupa della promozione di prodotti di abbigliamento sportivo e diventa perfino modella per abiti da sposa. In poco tempo le sue forme si modificano. Pochi lo notano, ma un po’alla volta l’icona è uscita da uno sfondo per andare a comporne un altro. È sempre più tonica, ma non come lo sarebbe una ginnasta di quella generazione. Piuttosto, come un’istruttrice di fitness. La sua diventa una femminilità poco da Est europeo, molto americana. Bella e procace, ma non più aggraziata come era. Non più lei, per certi aspetti. È come se, per la seconda volta nella sua esistenza, Nadia Comaneci, abbia aderito a un preciso standard: stavolta, quello del sistema occidentale. Nel 1994, si fidanza con il ginnasta americano Bart Conner. I due si sposano in Romania nell'aprile del 1996. 10 anni dopo, a 44 anni, l’ex ginnasta di Onești diventa madre. Con il marito è oggi proprietaria dell'Accademia di ginnastica Bart Conner (che conta oltre 1000 allievi), dell'International Gymnast Magazine, della compagnia di produzione The Perfect 10 e di 4 negozi di articoli sportivi. È inoltre vicepresidente del consiglio di amministrazione dell'International Special Olympics, presidente onoraria della federazione romena di ginnastica e del comitato olimpico del suo Paese, ambasciatrice dello sport della Romania, vicepresidente del consiglio di amministrazione di un'associazione per la lotta alla distrofia muscolare. Una donna realizzata, insomma. Una di quelle che guardano sempre avanti, forse proprio per non guardare indietro. “Si muore un po’ per poter vivere”, diceva una canzone di tanti anni fa. Per certi aspetti quel verso sembra scritto proprio per la signora Nadežda Comaneci in Conner.

Diego Mariottini