Alla fine quello che moltissimi giornalisti e semplici tifosi avevano vaticinato da tempo si è avverato: Josè Mourinho non è più l'allenatore del Manchester United. Un vero fulmine a ciel sereno, che giunge a qualche giorno dalla sconfitta contro il Liverpool per tre a uno, e che ha visto in Xherdan Shaqiri, ex-interista, il boia del tecnico che proprio all'Inter celebrò lo storico triplete. Il Dio del Calcio, quando vuole, sa essere davvero cinico.

La domanda non può essere che una sola: e adesso cosa succederà?

Il collegamento più logico sarebbe quello del ritorno all'Inter, laddove Luciano Spalletti sembra essere in discussione, e che potrebbe lasciare presagire una clamorosa staffetta con il "mago di Setubal". La mente non può che andare ai ben più felici ricordi dei tempi che furono, quando ancora il Fair Play Finanziario era del tutto inesistente, quando i nerazzurri erano la squadra migliore in Italia e stabilmente in Champions. Ricordi indubbiamente confortanti, ma che bisogna lasciare intatti senza che vengano sporcati da un ritorno del portoghese sulla panchina dell'Inter. E il perché, anzi, i perché, sono presto detti.

Innanzitutto, il fattore "minestra riscaldata". Raramente gli allenatori che tornano nelle panchine dove hanno ottenuto grandi successi riescono a bissarli, sia per obiettiva impossibilità sopravvenuta per mancanza dei giocatori che al tempo sono stati gli artefici delle vittorie, sia per mutate situazioni che si potrebbero definire politico-economiche, come ad esempio un avvicendamento in presidenza, oppure la non più florida economia societaria. Una situazione del genere la si è vissuta all'epoca del ritorno di Mancini, il quale non è riuscito a ripetersi in una Inter profondamente cambiata rispetto a quella della metà degli anni 2000. Mancini che, oltretutto, volle fortemente Shaqiri all'Inter, giusto per parlare di ironie del destino. Senza dimenticare che, spesso, è proprio l'allenatore a non voler tornare nella squadra con cui ha vinto tanto, per non sporcare la sua immagine. E quella del tecnico portoghese all'Inter è più di una immagine, è una reliquia. Vorrà davvero rischiare sino a questo punto?

Va inoltre considerato, come prima si è accennato, il fattore economico.
Mourinho non è certo un allenatore dalla mentalità passiva o che lascia ai dirigenti il compito di svolgere il mercato per lui, al contrario è uno che cerca sempre di condizionare il mercato delle sue squadre, sia nel bene (Sneijder nel 2009/2010, decisivo ai fini del raggiungimento degli obiettivi stagionali), sia nel male (Lindelof allo United, un affare da circa trentacinque milioni di euro che, al netto delle prestazioni, sono andati in fumo). L'Inter odierna, che sta per terminare finalmente il calvario del Settlement Agreement iniziato tre anni fa, non può dirsi pronta a spendere cifre da capogiro come poteva fare un tempo, per via del Fair Play Finanziario e di una oculata gestione delle risorse da parte della proprietà cinese, che pare voler puntare a un progetto di lungo periodo e sostenibile nel tempo. Un allenatore come Mourinho, in questa ottica, sarebbe non adatto, anzi, sarebbe a dir poco deleterio.

Un altro punto da non sottovalutare, è il carattere. Il Mourinho che tutti in Italia hanno ammirato o odiato aveva una caratteristica fondamentale che sono pochi allenatori veramente posseggono: quella di saper lavorare non solo con i giocatori, ma anche con le loro menti, come dei veri psicologi sportivi. La sua capacità di saper fare gruppo, di unire lo spogliatoio e di farlo marciare compatto verso l'obiettivo prefissato è stata la vera chiave di volta per la vittoria del triplete del 2010. Da quel momento in poi, le cose sono radicalmente cambiate: la vicenda Casillas ai tempi del Real Madrid prima, e quella di Pogba di più recente memoria in quel di Manchester, hanno mostrato la degradazione di quel suo talento. Da generale vittorioso sulla scia del Napoleone Bonaparte della Campagna d'Italia, che seppe comandare un manipolo di uomini da lui stessi definiti "nudi e malnutriti" divenendo il loro idolo e quasi divinità, sino all'immagine molto più simile dell'Alessandro Magno della Campagna Indiana, con i suoi condottieri stanchi e pronti all'ammutinamento dopo l'eccessiva brama di conquista e di esplorazione del loro comandante e stratega. In una Inter che in questi ultimi anni è sempre stata una polveriera, il divide et impera è un concetto che si deve abbandonare. Serve un tecnico che non porti divisioni, ma unione. E il Mourinho attuale questo non può più garantirlo.

Inoltre, anche da un punto di vista tecnico tattico, l'Inter attuale è molto diversa da quella delle sue squadre, maschie e chiuse in un difensivismo quasi esasperante che in Italia ormai ha ben pochi estimatori, nonostante la nomea di "patria del calcio difensivo" di cui gode storicamente il Belpaese del pallone.

Insomma, quella di Mourinho sarebbe una scelta fallimentare per svariati motivi, e alimentare voci circa un suo ritorno rischia di fare traballare la già delicata posizione di Spalletti, in un momento dove invece bisogna fare quadrato e puntare a risollevare le sorti di una stagione che ancora non è così fallimentare come alcuni la dipingono.
Anche Spalletti dovrà fare del suo meglio, questo è chiaro, ma chissà che invece, a fine stagione, il popolo interista possa tornare con la mente al 6 maggio 1998 e tracciare dei parallelismi.
Cosa accadde? Ecco, perché non iniziare da ora? Provate a ricordare cosa successe quella notte al Parco dei Principi di Parigi. E' sempre bello immergersi in memorie felici.